di Daniele Greco
Quando viene sequestrato da degli sconosciuti, l’anarchico italiano Guido Santandrea non sa che i suoi carcerieri sono i membri del Partito operaio di unificazione marxista (Poum), che aveva cercato di tenere a bada uno dei tanti fuoriusciti del resto d’Europa, volontari per combattere la dittatura fascista spagnola.
Guido, il protagonista del romanzo Dalla parte delle viole di Mario Visone (edizioni Homo scrivens, 2015) giunge in Spagna divorato dall’ossessione di vendicare l’uccisione dell’amato poeta Federico Garcia Lorca, ma la sua ostinazione viene fin da subito placata dalla complessa realtà di un conflitto atroce in cui i volontari stranieri – peggio se italiani o tedeschi – erano sempre tenuti in sospetto di essere fiancheggiatori, infiltrati fascisti o, addirittura, la causa prima di quel conflitto.
“Torna in Italia. Questa non è la tua guerra; voi laggiù avete Mussolini, la Germania ha Hitler. Senza di loro la Spagna non starebbe ammazzandosi e il nostro popolo non soffrirebbe. Combattete loro, invece di combattere tutti qui in Spagna” (p. 44).
A partire dalla scoperta amara di come le proprie intenzioni fossero quasi d’intralcio alla resistenza antifranchista, “Guido l’italiano” o “il pazzo” – come prenderanno a chiamarlo – decide di entrare a far parte della ventinovesima brigata del Poum e mette tutte le sue energie al servizio della resistenza spagnola. Qui conosce Maria con la quale ha inizio una breve stagione fatta di lotte, esecuzioni sommarie, lutti e, sopra ogni altra cosa, del timore di essere invisi non solo al regime militare, ma anche agli stalinisti che volevano garantirsi la supremazia nella lotta ai fascismi europei senza l’intralcio degli anarchici.
Meticoloso nella ricostruzione storica – Visone è un saggista e uno studioso di filosofia politica – e nelle parti descrittive che fanno da cornice al racconto delle vicende, il romanzo mi pare peccare nello stile letterario, nei dialoghi e nell’eccessiva consapevolezza storica dei personaggi.
Troppo spesso gli eventi sono raccontati e non mostrati – che mi pare il dovere più importante di un narratore; – quanto ai dialoghi, poi, sono eccessivamente retorici e sentimentali. Infine i personaggi sembrano sapere troppo degli eventi storici a loro contemporanei e i loro pensieri coincidono con le conoscenze dell’autore che ha studiato questo periodo, ma solo diversi decenni dopo quegli accadimenti.
Di sicuro a Mario Visone va dato il merito di avere riproposto la memoria di un periodo storico, immortalato anche da George Orwell – presente in un paio di pagine di questo romanzo – in Omaggio alla Catalogna, ma ritengo che come aspirante narratore egli debba cercare di fare il vuoto attorno a tutto quello che conosce così bene e studia da anni, per lasciarsi andare maggiormente all’invenzione, a uno sguardo originale e laterale anche delle vicende storiche e realmente accadute, al fine di trasformare la scrittura narrativa in una vera attività creatrice che rifugga da modi eccessivamente didascalici.