Cio che mi colpisce della fotografia di Penn è la sua capacità di cogliere l’effimero in tutte le sue sfaccettature. Parafrasando Wilde nell’epoca post-moderna niente ci è più indispensabile del superfluo. Al nuovo, sottolinea Vattimo, seguirà un nuovo più moderno, in una folle corsa verso il superamento di se stessi e dei propri limiti. Potremmo scomodare l’hic et nunc benjaminiano per sottolineare l’unicità e l’irripetibilità del gesto.
I tempi contemporanei ci regalano l’unicità dell’oggi da consumare in fretta senza alcuna pretesa di memoria, svuotare la chache è un dictat irrinunciabile per far spazio a nuove emozioni che richiedono spazio e tempo.
Siamo macchine obsolete, incapaci di conservare i ricordi. Maciniamo codici binari per calcolare le incognite di equazioni indecifrabili che impegnano gran parte delle nostre esistenze, senza resto.
Il fine del viaggio è il viaggio reso effimero dall’inutilità del traguardo. Cosi l’effimero è la religione dell’oggi. Il gesto per il gesto senza domani. Domani non avrà lo stesso senso. Domani non saremo noi ma copie obsolete da aggiornare con una nuova memoria da riempire.
Le colonne d’ercole non fanno più paura.
Svincolato dall’elegia del ricordo il gesto si carica di senso. Quanto è più importante esserci adesso se non ci sarà un domani? Non c’è più tempo da rimandare. Non c’è lascito da tramandare.
L’esperienza è il tesoro del superfluo, la moneta di scambio del commercio effimero delle emozioni. Lo stupore che dura giusto un attimo prima di essere compreso e svelato.
L’inVerso scelto oggi invoca Adonis:
*
Stupore rapito
Rintanato all’ombra tra fiori ed erbe ecco l’isola
ai rivi unisco i rami
e quando i porti spaiono e le linee annerano
sogno lo stupore rapito
delle ali delle farfalle
dietro torri di spighe e la luce nel cielo della fragilità.
*
L’albero del giorno e della notte
Prima che si accenda il giorno, mi accendo
prima che del sole chieda, risplendo
e gli alberi, ecco, a corrermi dietro, e i calici avanzano nella mia ombra
fabbricano le illusioni sul mio viso
isole e torri di silenzio, ne ignorano le porte le parole
illumina l’amica notte, e scorda
se stessa nel letto dei giorni.
Poi, quando le fonti si rovescian nel mio petto
slacciano i bottoni e dormono
l’acqua sveglio e lo specchio e rendo chiara
come lei, la crosta dei sogni, e dormo.
*
La via
Una donna è la via
che rimette la mano del viandante all’amante,
ne ricolma il palmo
di conchiglie e nostalgia
una donna
una donna che muta un sogno
in barca stretta come ala
indossa la rosa dei venti
dimentica il porto.
*
Irving penn – Biografia
Dopo le scuole pubbliche, compiuti i diciotto anni, si iscrisse al corso di disegno pubblicitario della durata di quattro anni tenuto da Alexey Brodovitch, capo redattore di Harper’s Bazar magazine presso la School of Industrial Art di Philadelphia.
Nel 1938 riuscì a lavorare come art director allo Junior League Magazine. A venticinque anni lasciò il lavoro e partì per il Messico dove iniziò a dipingere, ma dopo un anno si convinse che non sarebbe mai diventato un grande artista e, tornato a New York, nel 1943 divenne assistente di Alexander Liberman, art director della rivista Vogue. Nel 1948 realizzò alcuni servizi per la rivista in Perù, mentre le diverse campagne fotografiche legate al mondo della moda realizzate nel corso degli anni cinquanta gli conferirono la prima fama internazionale.
Nel 1967 creò un piccolo studio fotografico da viaggio, con il quale era in grado di fotografare sullo stesso scenario in ogni parte del mondo e in ogni condizione: nacque così la famosa serie dei Worlds in a small room (mondi in una piccola stanza), nella quale si alternavano ritratti di personaggi celebri e fotografie di gruppo dove l’etnografia si mescolava alla moda.
Mentre proseguiva la sua attività di fotografo di moda, nel 1977 il Metropolitan Museum di New York presentò il ciclo Street Material (materiale di strada), nel quale Penn fotografava i resti abbandonati dell’esistenza quotidiana, conferendo loro un nuovo valore estetico.
Nel 1980 vennero esposti per la prima volta i nudi realizzati nel 1950, mentre nel 1986 vide la luce una nuova serie di nature morte, questa volta dedicate ai crani animali. Divenuto ormai uno dei fotografi più rinomati del mondo, si susseguono le mostre e le pubblicazione a lui dedicate. In particolare, si ricordano le retrospettive al MOMA di New York nel 1984, quella alla National Portrait Gallery di Washington nel 1990 e quella prodotta dal Moderna Museet di Stoccolma nel 1995, in occasione di una grande donazione del fotografo al museo svedese.
Irving Penn si distinse per il suo stile classico che rompeva con l’impostazione sperimentale delle avanguardie e presentava la figura da ritrarre in forte contrasto con lo sfondo. Alcune sue immagini sono riconoscibili: spesso si trattava di ritratti eseguiti disponendo il soggetto da riprendere davanti a due fondali disposti ad angolo.
L’ha ribloggato su Cinzia Accetta.