Nella fotografia Francesco Alliata nel 2008.
La prima volta lo incontrai nella zona industriale di Catania, nella sede della sua fabbrica di gelati. Sarà stato il 2002 o il 2003, perché ancora non avevo acquistato la mia prima macchina e andavo in giro con la scassatissima Opel Corsa di mia mamma. Quando raggiunsi il posto mi chiesi se non avevo sbagliato indirizzo: dopo tutto lo avevo contattato per la mia tesi di laurea in Storia del cinema italiano, non per una ricerca sull’import/export dell’artigianato siciliano. Mi accolse con un sorriso gentile, e mi accompagnò subito in un paio di stanzette dove custodiva alcuni faldoni. Quando li aprì affiorò il mondo della Panaria Film: fotografie, articoli di giornale, locandine. Non dovetti fare niente per riaccendere il fuoco che evidentemente aveva ancora dentro, la grande passione per l’avventura, non solo cinematografica. Nonostante i modi sempre formali, faticava a trattenere i ricordi, ci teneva a spiegarmi l’origine di ogni singolo scatto, e da un singolo episodio potevano scaturirne altri cento. Lo ascoltai almeno per un’ora, rapito più dal suo entusiasmo che dalle immagini delle imprese sottomarine e di Anna Magnani alle Eolie in sella a un asinello, che in parte avevo già avuto modo di apprezzare in altre occasioni. Gli chiesi una videointervista. Mi diede appuntamento nella sua casa di Catania, a Villa Biscari.
Non avevo un’attrezzatura professionale: niente ottiche intercambiabili, nessun microfono esterno, figuriamoci luci. Fissai il cavalletto davanti alla poltrona, tasto REC e lui parlò. Sua moglie ci fece il tè, mi ricordo che si cercavano spessissimo con lo sguardo, forse lei non gradì molto quell’intrusione nella loro intimità domestica. Rispose a tutte le domande che avevo preparato e a molte altre che nacquero lì di getto, per interesse scientifico o per pura curiosità. Tornai a casa con una voglia matta di sbobinare, di rileggere, di rivedere.
Quando gli consegnai la tesi di laurea fu molto felice. Sinceramente credo, o almeno così mi sembrò. Gli chiesi l’autorizzazione ad utilizzare l’intervista per comporre alcuni articoli che scrissi subito dopo la laurea per un notiziario delle Eolie. Non fu un problema.
Ci incontrammo di nuovo qualche anno dopo, a Lipari. Non c’eravamo affatto persi di vista, però. Io lo aggiornavo sul mio percorso di specializzazione universitaria, su un festival di cortometraggi che avevo ideato e che coordinavo (non senza difficoltà) con il supporto del Centro Studi Eoliano e su quella che stava trasformandosi in una barzelletta macabra: la pubblicazione della mia tesi di laurea, progetto che languiva in mano a un sedicente editore di Messina. Lui mi fece avere una copia del ritratto documentaristico che Nello Correale gli dedicò, e mi parlava spesso di quanto fosse preoccupato di trovare un adeguato collocamento e la giusta visibilità a tutto il materiale di repertorio – attrezzature comprese – della Panaria Film. Guardava con speranza all’idea di un Museo della cinematografia subacquea che sarebbe dovuto nascere proprio alle Isole Eolie, e fu proprio per la presentazione ufficiale di questo progetto che ci ritrovammo un’estate nel giardino del Centro Studi di Lipari. Era la prima volta che lo vedevo parlare davanti a un pubblico ma la cosa non sembrava avere alcuna conseguenza sul suo modo di conversare elegante e colloquiale insieme. Conquistò tutti, come sempre d’altra parte. Il Museo, però, non fu mai realizzato.
Nel 2010 lo invitammo a Messina. Con gli amici del Cineforum Don Orione gli consegnammo un premio per l’attività documentaristica. Fu l’ultima volta che lo vidi in compagnia della moglie. Quando finalmente pubblicai la mia tesi di laurea – ma con un altro editore, molto più giovane e serio del precedente – era già scomparsa, lasciando per sempre un velo di indicibile tristezza sul volto del Principe.
Qualche tempo dopo una grande società della Capitale mi propose la direzione di una nuova sala cinematografica di Catania: un gioiellino, pochi posti, pienamente attrezzata anche per proiezioni turistiche, con annessi un Museo e un Teatro dell’Opera dei Pupi. Ero incerto. Non conoscevo il contesto catanese, non avevo mai avuto alcuna esperienza da esercente, e poi quell’identità già così fortemente connotata mi lasciava molte perplessità sulla libertà che avrei avuto nelle scelte di natura artistica. L’insegna della sala, però, portava questa scritta: CineTeatro Francesco Alliata. E scoprii che il Principe era pienamente coinvolto nell’iniziativa, avendo concesso alla società in questione la libera proiezione dei documentari della Panaria, anche in versioni sottotitolate in lingua straniera. Ci fu una bella inaugurazione, e venne organizzata anche una bella proiezione di “Vulcano”. Il Principe era lì, stavolta particolarmente emozionato all’idea di dare il proprio nome ad una sala cinematografica (un omaggio per nulla abituale, tanto che ancora a Catania ci sono persone che pensano che il cinema fosse di sua proprietà). Ancora impegnato ad ipnotizzare la platea (e il sottoscritto) con le sue sempre lucide memorie e con le straordinarie immagini dei suoi film. Accettai la proposta, mi tuffai in un’avventura che mi impegnò mentalmente e fisicamente per un paio d’anni, e alla fine andai a sbattere. La società romana che aveva investito sullo spazio fu posta inaspettatamente in liquidazione, le attività già programmate interrotte praticamente da un giorno all’altro.
Non seppi mai se il Principe se ne ebbe a male del destino della sala che porta il suo nome e che, quasi come uno scherzo del destino, pur adesso che è chiusa continua ad essere presente – ma senza programmazione – negli inserti cinematografici dei quotidiani locali. L’ultima volta che ci incontrammo fu nella sua villa di Bagheria. Era seduto in giardino sotto un albero secolare, sempre con la mente rivolta al futuro: ipotizzava addirittura di realizzare delle riprese in 3D.
Osservandolo, mi tornò in mente quell’enorme regalo che mi fece in occasione della pubblicazione della mia tesi di laurea, un’introduzione che egli stesso reputava “speciale”, preziosa perché conteneva l’inedito soggetto di una pellicola ultraspettacolare che avrebbe voluto e dovuto realizzare con gli altri ragazzi della Panaria. Lo definì un film di “fantascienza al contrario”, la cui trama avventurosa avrebbe avuto come linea guida «l’esaltazione dell’intraprendenza, della sagacia, della tenacia e della creatività umana». Non mi stupì allora e non mi stupisce adesso: non si trattava di nient’altro che della storia della sua vita.
Francesco Torre