a cura di Diego Conticello
(In copertina: Letizia Dimartino fotografata da Sebastiano Adernò)
La poesia, o per meglio dire in questo caso la prosa poetica, di Letizia Dimartino si dipana per adagi tocchi descrittivi e nenie ritmiche a creare, attraverso strascichi memoriali di matrice proustiana tutti pennellati con le setole sensoriali del ricordo, un’atmosfera che rivive per mezzo dello scenario fisico. Gli stessi oggetti rievocati non fungono da mera cornice, ma divengono veicoli “desueti” – secondo la celebre definizione di Francesco Orlando – ma necessari al recupero di una età dell’oro tutta intima, vagheggiata e invocata quasi a compensazione di un presente farraginoso e greve in cui il corpo si vede defraudato fisicamente ma non intellettualmente delle capacità e, forse, della spensieratezza dei tempi andati (si noti l’insistenza sul lemma “ossa” ora contorte, ora nascoste, ora spezzate a sottolineare tale difficoltà e in cui si evince anche la negazione biologica oltreché inconscia di una sorta di strappo/scacco esistenziale). L’orizzonte in cui si concentra la visione frustrata ed affannosa d’indagine, rispetto alla sua ultima raccolta Stanze con case, si fa ancora più ri-stretto, ormai esclusivamente interiore considerando che all’universo chiuso ma pur sempre esterno della stanza si sostituisce quello ancora più interno e angusto del corpo.
Il paratattismo delle costruzioni qui proposte suggerisce anche graficamente e ritmicamente tale dicotomia, che appare ancor più dolorosa perché ormai inarrivabile rincorsa all’indietro sul filo del ricordo emozionale-sensoriale, non a caso molto spesso richiamata in chiusa quale sentenza definitiva-definitoria («é la/ testa che duole. Ed il battito.», oppure: «Si sta fermi. In silenzio»).
***
Succede che stando seduta le seggiole diventano leggere. Noi pensiamo di avere ancora braccia che sospirano, giacche su spalle in bilico e scialli che cadono sulle gambe.
Era estate anni fa e mi stringevo le dita, i lacci intorno, uccelli liberi e pietre in attesa.
Le lenzuola dondolavano sui letti, il tulle intorno alle zanzare, le ossa contorte
e un sibilo umile usciva dalla bocca. Perché non eravamo, lo ripetevo stando poggiata ai tavoli, o sui cuscini. Non mi si chieda cosa scrivo.
In fondo, fra vapori e finestre, dietro vetri e giornali, in stanze e balconi, ogni cosa al suo posto, é la testa che duole. Ed il battito.
***
E se si è stanchi ci resterà la mano nei capelli.
Io ho verruche e forfora e disforia e tu sai ridere se ancora lo so dire.
Su quel tavolo di marmo rosso poggio i gomiti. Sui letti metto
coperte imbarazzanti, apro gli armadi dove nascondo le ossa di questo corpo.
Oggi c’è nebbia – sottile. E sotto, un cielo pallidissimo.
Si sta fermi. In silenzio
***
Se dovessi pensare che in questo fuori, nel gioco di chi è spento, col vuoto e poi il grigio
tu che prendesti le mani, il treno dove stazioni tacciono, il peso di questo bicchiere le dita sulla tavola le spalle ed il vestito sceso sulla pelle – tu, dovessi mai pensare, tu – dicevo – dove lo porteresti il corpo mio che spezzo.
(son trucioli loro, li vedi?)
***
Letizia Dimartino è nata a Messina nel 1953 e vive a Ragusa. Ha pubblicato nel 2001 la sua prima raccolta di poesie, Verso un mare oscuro (Ibiskos, Empoli), seguita nel 2003 da Differenze (Manni, Lecce), da Oltre (Archilibri, Comiso) nel 2007, da La voce chiama (Archilibri, Comiso) nel 2010, da Ultima stagione (Giuliano Ladolfi Editore, Borgomanero) nel 2012 ed infine da Stanze con Case nel 2015 sempre per i tipi di Ladolfi. Sue poesie e recensioni sono apparse sulle riviste letterarie «Atelier», «Polimnia», «Poeti e Poesia», «Poesia» (con 25 poesie, a cura di Maria Grazia Calandrone), «Almanacco del ramo d’oro», «La Mosca di Milano», «Le voci della Luna», «Capoverso». La silloge Cose, tratta da La voce chiama, è stata pubblicata sull’«Almanacco dello Specchio 2009» (Milano, Mondadori), mentre la raccolta Fino a quando esisto è apparsa su Quadernario – Almanacco di poesia 2015, curato da Maurizio Cucchi per LietoColle. La poesia Cioccolato in scaglie di gioiello, tratta dalla presente silloge, si è classificata terza al Premio di poesia Ambrosia – Expo Milano 2015