di Diego Conticello
Fernando Bandini è stato appartatissimo quanto onesto – e affabile – poeta trilingue. Ha scritto da sempre, oltreché in italiano, anche in vernacolo vicentino (laddove la città atestina diventa la fiabesca città di Aznèciv, archetipo di un’infanzia lontana nel tempo) e addirittura in latino (parlato correntemente e veicolo di partecipazione assai attiva a diversi certamen in giro per il mondo)[1].
La sua poesia rispecchia in toto l’imprinting caratteriale: apparentemente schiva, onesta, tendente all’affabulazione e al narrato, esperienziale prima di tutto ma anche iperletteraria all’occorrenza e che si nutre di modelli quali Saba, Sereni, Gozzano e, prima ancora, il Pascoli (per via del verso lungo ma anche per la vocazione alla scrittura in latino).
Nei versi di Bandini domina certamente l’elemento gnomico della memoria che, trasfigurando, tenta di restituire porzioni rivelatrici ad un presente malmesso e depauperato di valorialità. Un’archeologia dello stile e della lingua – non a caso il nostro insiste sull’uso del latino – che possa dunque, attraverso l’enumerazione ragionata dei dettagli ora esperienziali ora fisici, innalzare il ricordo ad apriscatole di uno scavo introspettivo non da esibire ad un’ideale comunità di lettori, ma strumento per comprendere prima di tutto se stessi in qualità di testimoni consapevoli di un’identità sempre più in via di estinzione.
Qui proponiamo il testo Maltempo, tratto dalla raccolta eponima inserita in Dietro i cancelli e altrove[2]:
Mia ballata che hai cuore apocalittico
e saturnini nervi,
che disprezzi la carta stampata
e i suoi scribi consideri dei servi,
da un pezzo i giornali annunciavano
che il bel tempo è finito.
E dicevano il vero: giù nell’orto
avevo già sentito
arrivare il primo pettirosso.
Io faccio quanto posso
perché tu, mia ballata, ti rincuori
ma la casa è piena di lunghi e tetri
silenzi, di rancori.
Vedo attraverso i vetri
un foglio di giornale che la pioggia
ha incollato all’asfalto:
sono fradice e spente, non più valide
(fossero vere o false) le ragioni di ieri.
Tu, mia ballata che non disperi,
rampichi vecchie scale.
Cosa cerchi in soffitta? La crisalide,
nascosta fra le travi, della stella cometa
di un lontano Natale?
Al di là dell’oltremodo scontato riferimento cavalcantiano, da cui tuttavia il nostro mutua l’apparente semplicità delle forme che nasconde una concettualità complessa e articolata soprattutto grazie al ritmo, alle rime interne e a complessivo andamento allitterativo, è da sottolineare sicuramente il ricorso all’inversione sostantivo-aggettivo mutuata, con tutta probabilità, dalla grande dimestichezza con le costruzioni latine («cuore apocalittico/ e saturnini nervi», oppure «rampichi vecchie scale»), allo stesso modo di come accade con le dittologie qualitative («lunghi e tetri» e «fradice e spente»).
Sempre manicheo riguardo le sensazioni, peraltro in perenne contrasto tra loro, Bandini addirittura ne enfatizza il ricorso in situazioni chiave tramite l’uso arguto di quasi rime identiche (rincuori/rancori).
Questo testo è inoltre fondamentale poiché delinea alcune nette dichiarazioni di poetica da parte dell’autore. La prima riguarda lo strale, nemmeno troppo velato, nei confronti della letteratura e soprattutto dell’editoria coeva («che disprezzi la carta stampata/ e i suoi scribi consideri dei servi»)[3]. La seconda, non meno importante, concerne la poesia quale mezzo che, attraverso lo sforzo del ‘dire’, tenta di scovare un bagliore di senso che illumini un’esistenza altrimenti oscura e priva di stimoli. Bandini tenta in definitiva di trovare «La crisalide, / nascosta fra le travi», il segnacolo che riscatti la vita restituendola alla sua presupposta autenticità. La chiusa, quasi profeticamente, insiste su un’immagine di attesa, proiettando le speranze dell’autore in un lontano futuro ‘costellato’ di ricchezza – anche spirituale – ma con insito anche un alone di ritorno a idealità passate[4].
***
[1] Il suo magistero si è fondato inoltre per diversi lustri sulle lezioni di stilistica e metrica tenute presso diversi atenei ma soprattutto in quello patavino.
[2] Fernando Bandini, Dietro i cancelli e altrove. Milano, Garzanti 2007.
[3] E si noti l’iterazione con poliptoto del lemma “giornale”.
[4] Per una assurda profezia inversa invece Bandini si spegne proprio il giorno di Natale del 2013.