di Diego Conticello
Questo volumetto d’esordio di Michele Ortore[1] si propone come uno scavo sentimentale percorso per traiettorie liriche quasi d’antan, che molto devono alla tradizione letteraria italiana e straniera, in una sorta di classicismo fuori tempo massimo (si noti a titolo esemplificativo la presenza di termini quali: rorida, querula, ecc. non che questo da solo basti a delineare una poetica ma certamente è sintomo quantomeno di una tendenza, di una scelta ben precisa) ma riattato al gusto contemporaneo attraverso tematiche anche scientifiche o lemmi trasposti da gerghi tecnici specifici (pula, strame, alamaro, carene, bulino, garitta, palafreno, ecc.). Voglio ricordare a tal proposito che Michele è autore di un felice volume di taglio saggistico su alcune peculiarità del linguaggio scientifico: “La lingua della divulgazione astronomica oggi” (vedi nota biografica).
Il dettato indulge spesso al verso lungo e narrativo, a mio avviso più di matrice anglosassone che latina, in cui tuttavia di primo acchito è possibile estrapolare e circoscrivere la prosodia dell’endecasillabo o del doppio novenario i cui emistichi subiscono cesure anche se non grafiche quantomeno ritmiche che mi fanno pensare a un Dylan Thomas o al più congeniale Gerard Manley Hopkins, anche se con accenti meno tormentati rispetto a questi illustri precedenti. Non a caso Maria Grazia Calandrone nel prefare il volume afferma: «Ecco dunque il lavoro segreto di questa poesia: studiare, adoperare le parole in funzione di numeri primi e ennesime potenze e, in questo, disfarsi del senso semantico in direzione del ben edificare, quasi che Ortore provasse e riprovasse allo scoperto le sue formule».
Ortore agisce peraltro scomponendo ora con ostentata ironia, ora con amara invettiva i piani consueti del senso, associando immagini tra loro lontanissime per creare scarti riflessivi non banali.
La tensione metafisica è sempre perfettamente avvertibile e risulta essere la cifra – si direbbe – “esistenziale” che pervade l’intera raccolta («Tu rimani invisibile nel tempo, sebbene come ho detto / lo sia sempre stata, e non slacciarti il reggiseno nel frattempo / e aspetta se c’è da aspettare, respira quest’assenza / che ora, come una volta, abbiamo in comune»).
Amare i paraventi
Forse, come in certi proverbi, l’anima è quel riflesso
smerigliato, di pomeriggi avvolti in mèsse
e consegnati ai tiepidi granai del ritorno,
della permanenza, dell’alba rossa fra le spighe.
E a volte un proverbio, anche se drenato
nei vetri delle ampolle e nelle pance dei filosofi,
nelle carte fragili e nei canti dimenticabili,
si dimostra vero:
quando mi svegli dalla vita e guardi,
sei la nuotatrice cieca che affresca
nell’acqua i proverbi più veri,
volti che restano costellazioni,
coralli intensi
oltre lo scoglio
Breve apologia dell’imperfezione
Non sarebbe libertà, se mancasse il
sussulto di timpano ossidato,
o il filo troppo lungo sullo scafo
di poseidonia scalatrice;
non fosse così grezzo questo cuoio
mancherebbe anche il suo bulino:
e senza relazione, non sarebbe libertà.
Caino
Magari tornasse ancora sulle braccia
tra gli infissi delle scapole il teorema
di un pomeriggio aperto e questa
finestra ora è (il palafreno del sole):
“Ti ho sognato, lo sai, eri il minuetto della luce”
lo stropicciarsi bello del bosone di Higgs
senza saperlo, il segreto è quello, senza saperlo:
perché sia possibile ancora incontrarti
oggi che agito ogni corteccia nelle mie geometrie,
prego in un solitario chiudere gli occhi (vedo)
la disposizione di ogni cardo (sciolgo)
il mazzo della mente e nell’azzardo
sapere senza il sapere, come formica nei ghiacci
e tu che tracci
il rapidissimo incavarsi del tempo
(userai l’altalena)
***
Michele Ortore è nato a San Benedetto del Tronto nel 1987. Si è laureato in “Studi italiani ed europei” alla Sapienza. Le sue poesie sono apparse nelle antologie di premi nazionali, fra cui i più recenti sono Poesia di strada 2010 e Il lago verde 2011, e su diverse riviste e lit-blog (Argo, La poesia e lo spirito, Poetarum silva, Neobar; sul quotidiano La Stampa a cura di Maurizio Cucchi). Con la plaquette Corde nel vuoto è stato finalista del concorso Opera Prima di Poesia 2.0. Nel duo Eccessivamente lirici, insieme al pianista Gianluca Angelici, legge i suoi testi a Roma e nelle Marche. Ha pubblicato la monografia La lingua della divulgazione astronomica oggi (Fabrizio Serra Editore). È giornalista pubblicista e ha scritto di teatro e poesia per Atelier, KLPteatro, UT e i Quaderni del Teatro di Roma.
[1] Michele Ortore, Buonanotte occhi di Elsa. Montecassiano, Vydia Editore 2014 (prefazione di Maria Grazia Calandrone).