di Marco Malvestio
Le poesie di Philip Larkin hanno scarsa diffusione in Italia. Essendo l’edizione einaudiana di Alte finestre ad opera di Enrico Testa irreperibile (in perfetta tradizione Einaudi) non ho avuto modo di confrontare il mio lavoro con quello di nessun altro (i testi sono tutti presi dai Collected Poems della Faber & Faber, 2003). L’inglese di Larkin non è impervio, al contrario; ma senza dubbio vi si annidano delle espressioni colloquiali che non sarò riuscito a cogliere precisamente, o delle immagini che non avrò saputo interpretare. Anche per questo invito i lettori a intervenire e a correggermi, quando necessario.
***
Maiden Name (1955)
Marrying left your maiden name disused.
Its five light sounds no longer mean your face,
your voice, and all your variants of grace;
for since you were so thankfully confused
by law with someone else, you cannot be
semantically the same as that young beauty:
it was of her that these two words were used.
Now it’s a phrase applicable to no one,
lying just where you left it, scattered through
old lists, old programmes, a school prize or two
packets of letters tied with tartan ribbon –
then is it scentless, weightless, strengthless, wholly
untruthful? Try whispering it slowly.
No, it means you. Or, since you’re past and gone,
it means what we feel now about you then:
how beautiful you were, and near, and young,
so vivid, you might still be there among
those first few days, unfingermarked again.
so your old name shelters our faithfulness,
instead of losing shape and meaning less
with your depreciating luggage laden.
Nome da nubile (1955)
Il matrimonio ha lasciato in disuso
il tuo nome da nubile.
I suoi cinque suoni leggiadri incapaci
di significare ancora il tuo volto,
la tua voce, ed ogni sfumatura
della tua grazia. Ma dal momento che
sei stata così grata che la legge
ti mischiasse a qualcun altro, non puoi
essere semanticamente la bellezza
che sei stata allora:
è a lei che appartiene quel nome.
Ora è un lemma che non si riferisce
a nessuno, sta lì dove l’hai lasciato,
sparso per vecchi elenchi, vecchi programmi,
uno o due premi scolastici, fasci di lettere
tenuti insieme con un fiocco – e questo
lo renderebbe privo di carattere,
di peso, di forza, interamente falso?
Prova a sussurrarlo piano.
No, significa ancora te. O meglio, essendo tu
passata e svanita,
significa quello che proviamo adesso
pensando alla te di allora:
quanto eri bella, e giovane, e vicina,
così vivida, potresti essere ancora
tra quei primi giorni, intatta.
Il tuo vecchio nome, pertanto, rafforza
la nostra fedeltà,
invece di perdere forma e significato
insieme al tuo pesante bagaglio
che vale sempre meno.
No Road (1955)
Since we agreed to let the road between us
fall to disuse,
and bricked our gates up, planted trees to screen us,
and turned all time’s eroding agents loose,
silence, and space, and strangers – our neglect
has not had much effect.
Leaves drift unswept, perhaps; grass creeps unmown;
no other change.
So clear it stands, so little overgrown,
walking that way tonight would not seem strange,
and still would be allowed. A little longer,
and time would be the stronger,
drafting a world where no such road will run
from you to me;
to watch that world come up like a cold sun,
rewarding others, is my liberty.
Not to prevent it is my will’s fulfillment.
Willing it, my ailment.
Nessuna strada (1955)
Da quando abbiamo deciso di lasciare
che cadesse in disuso la strada tra noi,
e murato i cancelli, piantato alberi
atti a nasconderci, data piena libertà
a tutti gli agenti corrosivi del tempo,
spazio, silenzio, estranei –
la nostra incuria non ha avuto molto effetto.
Foglie sparse, forse; ciuffi d’erba;
non è cambiato altro.
Sta ancora così pulito, così sgombro,
quel sentiero, che percorrerlo stanotte
non sembrerebbe strano,
e sarebbe permesso, ancora. Tra poco,
il tempo avrà la meglio,
tracciando un mondo in cui nessuna strada
correrà più così tra me e te;
e guardare quel mondo realizzarsi
come un gelido sole che riscalda
soltanto gli altri, è la mia libertà.
Non fare nulla perché ciò non si compia
è il compimento della mia volontà.
Desiderarlo, il mio tormento.
Afternoons (1964)
Summer is fading:
the leaves fall in ones and twos
from trees bordering
the new recreation ground.
In the hollows of afternoons
young mothers assemble
at swing and sandpit
setting free their children.
Behind them, at intervals,
stand husbands in skilled trades,
an estateful of washing,
and the albums, lettered
Our Wedding, lying
near the television:
before them, the wind
is ruining their courting-places
that are still courting-places
(but the lovers are all in school),
and their children, so intent on
finding more unripe acorns,
expect to be taken home.
Their beauty has thickened.
Something is pushing them
to the side of their own lives.
Pomeriggi (1964)
L’estate sta finendo. Le foglie
cominciano a staccarsi
dai rami, posandosi sul suolo
che si rigenera.
Nei vuoti dei pomeriggi
crocchi di giovani madri
alle altalene e ai box della sabbia
lasciano liberi i bambini.
Dietro di loro, ad intervalli,
stanno i mariti e i loro buoni affari,
un mucchio di bucato
e gli album di foto con su scritto
“Il nostro matrimonio”, sistemati
in fianco al televisore:
davanti a loro, il vento rovina
quelli tra i loro luoghi di corteggiamento
che sono ancora luoghi di corteggiamento
(ma gli amanti stanno tutti a scuola)
e i loro bambini, tutti intenti
a cercare delle ghiande,
aspettano di essere portati a casa.
La loro bellezza si è fatta più spessa.
Qualcosa le sta spingendo al margine
delle loro vite.
Friday Night At The Royal Station Hotel (1974)
Light spreads darkly downwards from the high
clusters of lights over empty chairs
that face each other, coloured differently.
Through open doors, the dining-room declares
a larger loneliness of knives and glass
and silence laid like carpet. A porter reads
an unsold evening paper. Hours pass,
and all the salesmen have gone back to Leeds,
leaving full ashtrays in the Conference Room.
In shoeless corridors, the lights burn. How
isolated, like a fort, it is –
the headed paper, made for writing home
(if home existed) letters of exile: “Now
night comes on. Waves fold behind villages”.
Venerdì notte all’hotel della stazione (1974)
La luce si spande tenuamente
dall’alto delle lampade
sopra le sedie vuote che si affrontano
in colori diversi. Da porte spalancate
la sala da pranzo denuncia una più vasta
solitudine di coltelli e di bicchieri,
e un silenzio disteso per terra
come un tappeto. Un portiere
legge un giornale avanzato. Le ore
passano, i rappresentanti
rientrati da Leeds hanno lasciato
posaceneri pieni nella sala conferenze.
Le luci illuminano corridoi
senza scarpe fuori dalle porte.
Com’è tutto isolato, come un forte –
la carta intestata, per spedire a casa
(come se esistesse) lettere dall’esilio:
“La notte sta calando. Le onde
lambiscono i villaggi”.
Marco Malvestio