Personalità poliedrica e originale, John Berger in tutti suoi lavori di pittore, critico d’arte, romanziere, saggista e sceneggiatore ha sempre confermato la sua principale attitudine: quella di osservatore e di attento ascoltatore dell’esperienza sociale e politica che indaga con tangibile empatia, filtrata anche dalla sua matrice marxiana,. La sua produzione poetica si è dipanata nel corso dei decenni (Berger è nato nel 1926), più che in singoli, autonomi libri, in saggi, racconti e romanzi e, raccolta nei “Collected poems” nel 2014, è stata meritoriamente tradotta e curata da Riccardo Duranti nel volume “il fuoco dello sguardo – collected poems” (coazinzolapress), titolo che rinvia al clinamen testimoniale della scrittura di Berger, oltre che ai suoi noti saggi in materia di fotografia e alla sua attività artistica e critica.
La struttura del libro – che raccoglie in maniera non diacronica testi che vanno dagli anni ’50 al primo decennio di questo millennio – si articola in sezione tematiche: da quelle di riflessione metapoetica (“Words”) a quelle di interesse storico e sociale (“History”, “Emigrations”) avvicinandosi poi con “Places” anche all’osservazione di una realtà contadina che è stato al centro di lavori di ricerca di Berger alla fine dello scorso millennio, per concludersi poi con “My love” in una sorta di cantilenante sussulto e rispetto per gli affetti, umani e non.
La scrittura poetica scorre, in questa raccolta, secca e rigorosa, scarsamente indulgente a intonazioni liriche, delineando con tratti essenziali allegoremi trasparenti e di vivida concretezza figurativa, come ad esempio in “History” (cfr infra) dove il ciclo vivo/morto traccia il corso crudo e dolente di tutte le “storie”, grandi e piccole, o in “Mestolo” (cfr infra), che dispiega ad universo l’interno ritmato dai bisogni primari di una cucina contadina L’inclinazione visuale che è all’origine di tutta l’opera di Berger è ovviamente più evidente nelle poesie dichiaratamente ispirate ad opere d’arte: dal magnifico “Rembrandt Self-portrait”(cfr infra), sintesi di una sinestesia al negativo che è un saggio d’arte, all’ “On a Degas bronze of a dancer” sino a “Veduta di Delft”, ma rileva anche nella plateale costruzione pittorica di “Ypres” (Base: campi di fango gonfio d’acqua// Perpendicolare: esili larici….// Orizzontale: muri di mattone…//) e nell’anafora della V poesia del poemetto Ramauran (Che il disegno si rizzi) fino a giungere a un impasto – fortemente indicativo della commistione arte/vita presente nella poetica di Berger – nella poesia dedicata ai partigiani friuliani di Cervignano (Giorgione ha dato un nome a questa luce).
La capacità di aderire alla “narrazione” fondendosi quasi in maniera advaita all’osservato, che resta peraltro nel pieno risalto della sua crudezza e realtà, è tra i punti di forza di tutta la scrittura, non solo poetica, di Berger, per la quale spesso viene evocato il termine ‘magia’. Da tale prospettiva, liminale proprio perché quasi erosiva del confine tra sperimentatore e sperimentato (e faccio un passo avanti per diventare/ il riflesso color miele/nell’iride dell’occhio del primo venuto), l’autore restituisce con piena partecipazione “le contraddizioni e le ferite del mondo”, come giustamente nota Duranti. La com-passione, nell’accezione etimologica del termine, di questo sguardo/guardato traspare in maniera esemplare nella sezione “Emigrazioni” (Portiamo la poesia/come i carri bestiame del mondo/ portano le bestie./Presto dalle fiancate/ le faranno scendere) ma anche in numerosi still life di “Places” dove la stessa morte, umana od animale, diventa momento di estrema dignità e di rispetto del ciò che è stato (Da morta sembrava alta lo stesso/……/ma la spalla destra/era più bassa della sinistra/per via di tutto quello/che s’era caricata.). Nel fronteggiare il dolore, persino negli aspetti più crudi (becchettano a casaccio/le gengive attorno ai denti/gli occhi gelati sono aperti) e lottare per i marginali, Berger non dimentica né mai rinuncia a dire l’affetto: tutta la notte sentirà/ la verità come una ninnanna, restituendo alla poesia una dimensione di etica integrità.
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Testi
Narratori
Scriviamo
accucciati ai piedi della morte
siamo i suoi segretari
Leggiamo al lume della vita
e ne compiliamo i libri mastri di pietra
Dove lei finisce,
colleghi miei,
cominciamo noi, ai lati della salma
E quando la nominiamo
è perché ormai
si sa che la storia è quasi finita.
1984
Story Tellers
Writing
crouched beside death
we are his secretaries
Reading by the candle of life
we complete his ledgers
Where he ends,
my colleagues,
we start, either side of the corpse
And when we cite him
we do so
for we know the story is almost over.
1984
Parole migranti
In una sacca di terra
ho sepolto tutti gli accenti
della mia lingua madre
riposano lì
come aghi di pino
raccolti da formiche
un giorno il grido malfermo
di un altro vagabondo
potrebbe incendiarli
allora caldo e confortato
tutta la notte sentirà
la verità conme una ninnananna
1980
Migrant words
In the pocket of the earth
I buried all the accents
of my mother tongue
one day the stumbling cry
of another wanderer
may set them alight
then warm and comforted
he will hear all night
the truth as lullaby
1980
La Storia
Il polso dei morti
incessantemente
costante come il silenzio
che intasca il tordo.
Gli occhi dei morti
iscritti nei nostri palmi
mentre percorriamo questa terra
che intasca il tordo.
anni ‘ 80
History
The pulse of the dead
as interminably
constant as the silence
which pockets the thrush.
The eyes f the dead
inscribed on our palms
as we walk on this earth
which pockets the thrush.
Rembrandt, autoritratto
Dal volto gli occhi
due notti che guardano il giorno
l’universo della sua mente
raddoppiato dalla pietà
nient’altro può bastare.
Davanti a uno specchio
silenzioso come una strada senza cavalli
ci ha immaginato
sordomuti
che attraversano il paese
per guardarlo
al buio.
1975
Rembrandt Self-portrait
The eyes from the face
two nights looking at the day
the universe of his mind
doubled by pity
nothing else can suffice.
Before a mirror
silent as a horseless road
he envisaged us
deaf dumb
returning overland
to look at him
in the dark.
1975
da “Otto poesie di emigrazione”
I Villaggio
Te lo dico io
tutte le case
sono buchi in un culo di pietra
mangiamo sui coperchi delle bare
tra la stella della sera
e il latte in un secchio
c’è il nulla
il bidone del latte si svuota
due volte al giorno
gettaci
fumanti
nei campi.
anni ’80
from Eight poems fo Emigration
I Village
I tell you
all the houses
are holes in the arse of stone
we eat off coffin lids
between evening star
and milk in a bucket
is nothing
the churn in emptied
twice a day
cast us
steaming
on the fields.
anni ’80
Mestolo
Luna di peltro
butterato del mestolo
che sorge dal monte
e tramonta nella casseruola
per servire intere generazioni
fumante
dragando quel che è nato da seme
nell’orto
addensato da patate
e che ci sopravvivrà tutti
nel cielo di legno
della parete della cucina.
Madre che serve
dal petto di peltro fumante
venato dai sali
dati da mangiare ai figli
affamati come cinghiali
con la terra serale
incrostata nelle unghie
e il pane fratello
madre che serve
Mestolo
versa il cielo fumante
con il sole carota
le stelle di sale
e il grasso della porca terra
verso il cielo fumante
mestolo
versa la zuppa per i nostri giorni
versa il sonno per la notte
versa anni per i miei figli
1977
Ladle
Pewter pock-marked
moon of the ladle
rising above the mountain
going down into the saucepan
serving generations
steaming
dredging what has grown from seed
in the garden
thickened with potato
outliving us all
on the wooden sky
<
p style=”text-align:justify;”>of the kitchen wall
Serving mother
of the steaming pewter breast
veined by the salts
fed to her children
hungry as boars
with the evening earth
engrained around their nails
and bread the brother
serving mother
Ladle
pour the sky steaming
with the carrot sun
the stars of salt
and the grease of the pig earth
pour the sky steaming
ladle
pour soup for our days
pour sleep for the night
pour years for my childre
1977
Complimenti.