di Daniela Pericone
Daniele Mencarelli, Storia d’amore, LietoColle, 2015
Un libro che si muova in egual misura tra spinta comunicativa e aspirazione alla conoscenza si mostra compiuto quando la scrittura sia capace di estrarre bagliori di senso dalla realtà, senza appiattirsi su di essa né oltremodo trasfigurarla. Storia d’amore di Daniele Mencarelli (LietoColle, 2015) nasce con tale intendimento, la scelta di un contesto (periferia metropolitana) e di una collocazione temporale specifici (primi anni novanta del novecento), e soprattutto la voce del protagonista (un ragazzo di sedici anni), sono consapevoli pretesti per dare una lettura paradigmatica del mondo da un’esperienza circoscritta.
La connotazione del punto di vista adolescenziale per raccontare l’amore può essere letta come un tentativo di risalire alle radici del sentimento che condiziona ogni esistenza, eviscerarne gli impulsi al primo nascere, e pure accoglierne le pulsioni di morte, movimenti estremi che accompagnano la psiche in formazione, ruvidi e ingenui al contempo nella loro esuberanza e non ancora assoggettati alle convenzioni (alle costrizioni) dell’età adulta.
La forma discorsiva, l’andamento-flusso del linguaggio è ulteriore soluzione per aderire alle modalità espressive, alla vita stessa degli adolescenti, là dove Mencarelli ha deciso di affondare lo sguardo, il coltello (più partecipe che affilato) della sua percezione. Per quanto narrativo il verso è fortemente ritmato, mostra quasi un’impronta rap, anche in tal senso aperto ai codici comunicativi di molti ambienti giovanili. Se la struttura linguistica non è che un veicolo di molteplici significati, nello svolgersi della storia appaiono come lampi d’improvviso lirismo quei versi che interrogano, innalzano e tra sofferenza e bellezza qualcosa alfine sembrano trattenere: che un senso a quello che siamo va trovato giorno per giorno, intagliato nell’ombra per aprirlo alla luce. Una sorta di religiosità latente percorre questa poesia, una tensione a dire il dolore e nel contempo a lenire: “amare e ringraziare, questo mi basta”.
***
Undici Ottobre novantadue
sedici gli anni appena scoppiati
mille i cazzotti mille i baci
strappati dalle labbra di un paese
sgranato passo dopo passo,
senza mai soddisfarla veramente
questa fame infelice
questo desiderio cane di carne e vita
di voglie ubriache sempre in festa.
Non arriverà il sonno ma una perdita di sensi
un corpo sfinito che s’arrende
a qualcosa dentro di feroce.
*
Volerti batte la vergogna
salta anche l’ultimo diaframma
tra il vero che sono e chi vendo,
a te la prima spalanco la mia casa
umile cosa estratta dalla terra
sacrificio di mattoni mai finito
da mio padre vissuta come un dono
in cambio di una vita sfinita dal lavoro.
Dove costruita io vedo la penuria
tu cogli l’amorosa altezza
delle mani operose di mio padre,
a un’altra grandezza del vedere
mi porti attraverso la mia casa,
tutto grazie a te si fa bellezza.
*
Il dolore poi è arrivato
reclamato da ogni osso
a gran voce da tutte le ferite,
si aggiunga una febbre da delirio
un letto fradicio di gelo
e la tribolazione può dirsi realizzata,
tu spunti partorita da mia madre
intimidita ma più forte è il male
che mi vedi e sfiori con le dita
una vertigine sei fortissima
da tenermi stretto alle tue mani
tutto nella stanza è in balìa,
tu rimani radice nella terra
la tua forza non teme la natura,
io prego la tua bellezza
il tuo viso è la mia chiesa
il tuo corpo un vivo crocifisso
ti prego accogli il mio delirio
toglimi questa febbre bestia,
un miracolo ti sbocci dalle labbra.
*
Al giudice padrone della giostra
elefante nascosto dietro un palo
dritto negli occhi di stella
preso per le spalle montuose
a bruciapelo vorrei chiedere
cosa provi a sbriciolarci
fino a rifarci polvere
fango sotto la suola delle scarpe,
perché non poter tornare al mondo
per come generato un paradiso
il giusto regno alla mia diva
al suo viso che son sicuro
ore di lavoro sarà costato,
e se anche il primo ti ha tradito
spiegami lei cosa c’entri
sconosciuta da ogni male
innamorata dei tuoi doni
meravigliosi nelle sue mani,
per lei ti prego fai un’eccezione
risparmiala bella com’è ora
non strapparla mai via,
ma a che serve pregarti
dio bambino divertito
a farci carte da castello
il tuo eterno nascondino.
*
Un giorno saprò dire tutto questo
con una sola parola, miracolosa,
dirà tutto svelerà ogni cosa,
cadranno una volta pronunciata
tutti gli inganni sparsi sul percorso,
la via apparirà chiara senza intralci
salvarti sarà un gioco da bambini,
per te riuscirò nell’impensabile
il primo a schiavare l’universo.
Niente di tutto questo.
L’intero verso del futuro
si consumerà senza fuochi dal cielo,
ai tuoi piedi mai poggerò la preda
la prova che alla fine resisteremo,
ma tolta l’impazienza che mi smania
altro atto vuole la mia fede,
dare rinascita ogni giorno
al clamore che sei per i miei occhi,
poi con ogni fibra di esistenza
amare e ringraziare, questo mi basta.
Daniele Mencarelli nasce a Roma, nel 1974. Vive ad Ariccia. Le sue raccolte principali sono: I giorni condivisi, poeti di clanDestino, 2001, Bambino Gesù, Tipografie Vaticane, 2001, Guardia alta, Niebo-La vita felice, 2005, Bambino Gesù, edizioni Nottetempo, 2010, figlio, edizioni Nottetempo, 2013 e Storia d’amore, LietoColle, 2015. Nel 2013 è uscito La Croce è una via, Edizioni della Meridiana, poesie sulla passione di Cristo. Il testo è stato rappresentato da Radio Vaticana per il Venerdì Santo del 2013.
In copertina: Daniele Mencarelli (foto © Maurizio Caruso)