Per una rivalutazione di Clemente Rebora

di Diego Conticello

 

Giuseppe Langella – Milano: Documenti inediti per la vita e la poesia di Clemente Rebora

Nel corso di un convegno reboriano intitolato “A verità condusse poesia”, svoltosi ai cinquant’anni dalla morte del poeta lombardo (novembre 2007), è stato possibile rendere pubblici molti materiali inediti. Inoltre viene retrodatato di parecchi anni il momento della cosiddetta conversione poi, com’è noto, ufficializzata dalla comunione del 1927 e riconfermata con la consacrazione al sacerdozio, avvenuta nel 1936.
Sulla riservata e spesso trascurata figura di Clemente Rebora sono stati di recente smontati minuziosamente tutti quei pregiudizi critici che determinavano una frattura netta del poetare reboriano tra pre e post-conversione. Segno emblematico dell’aberrazione di certe opinioni diffuse era stato il dar credito, per diverso tempo, anche a perizie psichiatriche quantomeno bizzarre, che registravano un Rebora afasico con “mania dell’eterno”. Un effetto deleterio di tali considerazioni si era rivelato l’oscuramento dell’ultimo Rebora, stranamente anche dal punto di vista formale per cui, in diverse antologie novecentesche, veniva accuratamente selezionato solo l’autore dei Frammenti lirici, inserendo poi vistosi troncamenti già all’altezza dei Canti anonimi.
Il nostro si accosta invece per gradi al cattolicesimo, iniziando da una quanto mai lucida rilettura del mazzinianesimo secondo declinazioni di ‘civile religiosità’. Prosegue poi su sfaccettature poetiche annotando, durante tutto il corso degli anni ’30 (periodo che invece i critici avevano, in passato, considerato di quasi assoluto silenzio), preghiere in versi su migliaia di foglietti sparsi. Questo tipo di scrittura ha fatto sottolineare al Carlo Carena delle “Giaculatorie del Rebora” precisazioni riguardo a una grafia minutissima e dai toni popolar-misticheggianti, simili agli ultimi Canti dell’infermità. Una continuità d’espressione pervade dunque lo pseudo-scisso Rebora, tanto che la fortissima intertestualità conduce le architetture poetiche da sfumature intrise di credenza popolare a visioni di una virtù cristiana intesa come grazia ricevuta. Munaretto ha infatti sottolineato l’affinità esistenziale tra il Rebora dei Frammenti e quello dei Canti dell’infermità. Questa continuità la si può evincere anche da un poemetto dell’estrema maturità ovvero Curriculum vitae (1955), composto su un’esperienza reale del poeta che, persosi fra le nebbiose montagne lombarde alla soglia dei settant’anni, viene ricondotto sul sentiero dal belato di un agnellino nelle vicinanze: l’immagine è quanto mai pregna di sovrasensi religiosi, ma la terminologia risulta ancora espressionistica. Pertanto si capisce, anche secondo un’opinione che di recente ne ha data Giuseppe Langella, che scindere il mistico dall’espressionistico risulta assai deleterio all’atto di individuare le esatte coordinate del verso reboriano. Riscontri sensibili del fatto che Rebora di suo non considerasse scisse le due anime, ci vengono da un’edizione postillata dell’Odissea omerica condotta dallo stesso autore: qui il poeta dei Frammenti taccia Ulisse di tradimento interiore, poiché lo vede non retto da un ideale stabile per l’intero svolgersi del poema.
È piuttosto un senso di libertà diffusa a pervadere semmai i versi del Rebora, ipotesi rinforzata dall’unico episodio veramente significativo, ovvero quando lo scrittore, vedendo passare lo ‘stracciaiolo’, lo ferma per dargli molte sue carte (a tutt’oggi non sappiamo se contenenti anche inediti) per il macero. Eppure non è un caso che, a mezzo secolo dalla scomparsa, diversi apprezzino ancora ‘tutta’ la poesia di Clemente Rebora.

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