di Diego Conticello
IV. 1 Un esercizio d’erotismo mollemente arcadico: L’esistenza amorosa
Le liriche de L’esistenza amorosa (e forse per la prima volta le poesie di Basilio Reale possono dirsi “liriche”), costituiscono il definitivo superamento dei toni da “tecnologismo urbano” delle raccolte precedenti, mostrando ora una certa complicità col ‘cantabile’, con l’idillio erotico – affettivo.
Questo florilegio del nuovo spirito realiano di far poesia accorpa, in quattro ‘tempi’, composizioni che vanno dai primi anni settanta sino alle più recenti, scritte ormai alle soglie degli anni novanta: quasi un ventennio dunque di apertura verso una poesia d’amore solo a tratti ‘assaggiata’ nei precedenti quaderni.
A tal proposito non mi par lecito, come ha fatto qualcuno, parlare di un silenzio poetico che duri all’incirca un ventennio: se infatti è vero che questa raccolta esce per i tipi di Vanni Scheiwiller solo nel 1989 (quindi a più di vent’anni di distanza da I ricambi), va però constatato che alcune liriche erano già state pubblicate in rivista nel lontano 1974 e che altre 24, erano state inserite nell’almanacco Il belpaese, a cura di Raffaele Crovi, sotto il titolo Aegritudo amoris, nel 1985. Sarebbe dunque più giusto parlare di nascondimento al lettore distratto invece che di silenzio del poeta; d’altronde, come dichiarò lo stesso Reale in un’intervista del 1996: <<non è che per vent’anni non abbia fatto più nulla, scrivevo pochissimo, come d’altra parte faccio anche ora. Io non cerco la poesia. Quando arriva, la accolgo con grande amore.>>.
Nel risvolto ad Aegritudo (“malattia” e anche “tristezza, dolore, malinconia” d’amore), il Crovi ci fa partecipi di alcune curiosità su questo titolo:
L’autore avrebbe voluto raccoglierle sotto il titolo Poesie del fiato corto, ma sono, in realtà, poesie di ossigenante respiro lirico, con lampi di disincantata ironia e brividi di controllata elegia. <<Poesie scritte da chi non scrive più poesie>> avrebbe potuto semmai classificarle l’analista Reale con le parole di Enzensberger.
Basilio Reale viene qui chiamato “analista” perché, come accennato in precedenza, nel 1975 entra in analisi didattica all’Istituto Jung di Zurigo e ne uscirà solo sette anni dopo (ancora oggi esercita l’attività di analista junghiano a Milano).
Ulteriori notizie sul successivo cambio di titolo in quello attuale ci vengono dati nella puntuale prefazione di Natale Tedesco al volume scheiwilleriano, dove si accenna ad una <<poesia che ora sa di voler parlare anche per il futuro, che vuole tentare di restare>>: se infatti la precedente poetica era quella di una descrizione dell’immediato quotidiano, adesso subentra la necessità di parlare “oltre la vita”, soprattutto nella sezione dedicata alla moglie, scomparsa nel 1982, Parole sottratte alle abitudini.
Il volume di Reale si apre con una lirica all’insegna dell’ “emozione a dirotto”:
Anni sono, e oggi come
quel primo giorno, mia nuvola:
sulle soglie dell’orizzonte
nel regno del dio
che ti governa, ti insegue
il mio occhio miope.
Ma già prendi altre forme
trascorri in altri luoghi
finche a me ritorni.
Appare infatti poco probabile che il termine “nuvola” si riferisca – come vorrebbe Tedesco – alla “poesia”, mentre mi sembra di poterla affiancare al campo degli affetti terreni venuti a mancare fisicamente al poeta (la moglie), che si vede adesso costretto ad inseguirli in un ipotetico aldilà, in cui non ha mai creduto (si noti l’ironico minuscolo in: <<nel regno del dio/ che ti governa>>, quasi a sottolineare un distacco senza riserve da qualsiasi prospettiva fideistica). A questo prologo succede la sezione E l’altre donne fan di lei bandiera: un verso che, ci fa notare Nunzio Zago, è una citazione manifesta da Chiaro Davanzati, poeta ‘cortese’ del Duecento toscano. I cinque componimenti epigrammatici di cui consta si segnalano per un’ironia creata dallo scarto fra le vezzose “manfrine” della donna ed il sentimento ancora castigato del poeta:
Potete osservarla, meglio che
non sia dato a me,
così soddisfatta di sé
nelle ore vegetative
mostrare/celare il ventre
rosa confetto
locus loci da cui
dispensa ogni affetto.
Sin dai primi versi si delinea un canzoniere la cui <<esemplarità alla rovescia>>, per usare le parole di Antonio Di Grado, <<risulti modernamente anti-dantesca, […] sulla linea Meli – Tempio; un esercizio d’erotismo mollemente arcadico, assai raro nella nostra quaresimale e anti-erotica letteratura>>. La donna qui ha facies stregonesche quando <<di effluvi inonda le stanze,/ suscita anse di indicibili aromi,/ finché allo schioccare delle dita/ scirocco infonde i suoi languori.>> oppure – moderna Lighea – <<sa melodiare con dovizia di toni/ eccetto il moderato,/ avvolge il malcapitato/ in una vertigine di allusioni,/ e canta, canta/ anche se non ha fiato.>> (ricordiamo che negli stessi anni Reale scriveva il saggio psicoanalitico Sirene siciliane).
La seconda serie, Nessun suono uscì da quella bocca, raccoglie liriche scritte nei primi anni settanta; dunque, se qualcosa ancora può legare L’esistenza amorosa alle poesie del periodo “industriale”, è di certo il tono prosastico di questa sezione: quasi un retrogusto sentimentale nella vita meccanicistica dell’ “uomo attivo”. Pensiamo per un attimo alle poesie ‘calviniane’ dei Ricambi, mentre si legge:
Semisdraiato nell’oscurità
la delusione la gelosia
alla rinfusa (la testa
divisa a metà?)
ricordando gli esempi
di un violento trasporto affettivo
trova incontestabili evidenze.
Siamo in presenza di una sorta di “appendice erotica alle quotidiane abitudini”, dove domina la descrizione raziocinante di un <<violento trasporto affettivo>>. Tant’è che il poeta si preoccupa delle pressioni, in forma di pregiudizi moralizzanti, che è costretto a subire da quella stessa borghesia metropolitana a cui appartiene:
In ambienti come questi
pregiudizi si pongono salutari.
Perché abbiamo ceduto
a tante suggestioni?
Pressioni di benpensanti
– massimamente
nei casi di adulterio –
e/o una quantità
di minuscoli moti.
Le poesie di Donna italiana sono dedicate, ce lo dice lo stesso Reale, a una <<donna che ha amato moltissimo e che se ne è andata. Ho scritto quelle poesie per lei, di getto, con tutta la sofferenza che provavo per l’abbandono>>. Questa donna dell’abbandono non è, come si potrebbe pensare d’istinto, la moglie che morendo lo ha lasciato, bensì un’altro amore post mortem uxoris, un legame profondo e passionale (Rosalba) fatto di “contrasti” e “corrispondenze” affettive. In questa sezione – dice il poeta – <<riverso tutta la mia parte femminile, sbruffona, sentimentale>>, intendendo junghianamente “parte femminile” quale sfera creativa, lirica, sensuale dell’individuo maschile. Si viene in tal modo a formare un <<io come prigione, come costruzione mentale da cui l’io poetante non può uscire>>, impastoiato in scelte forzate per ‘ottemperare’ alla passione:
Scelta una camera orientata a Nord,
una mano dominatrice sulla spalla,
non rimane che chiudere la porta.
Tirate su le coperte, date il meglio
di voi, controllando il passaggio
dell’aria nella laringe.
Come non pensare ai versi di Avanti e indietro: << […] strana gente/ di fretta ma in bell’ordine sparso/ cammina corre salta,/ e poi fino a sera/ in piedi o seduta/ a fare del suo meglio.>>.
La sezione è dominata da un suggestivo respiro ‘liricheggiante’, mosso da un sapiente uso dell’assonanza e di fonie addolcite, quasi di nerudiana memoria:
O mia pesca melba, mio
lusso cittadino, sulla tua
cresta di panna vengono e vanno
le api del desiderio.
subito stemperate dall’ironia: <<Un calabrone sventato/ – guardalo! – s’è appena tuffato.>>. Si sfocia, per un attimo, anche nell’idillio melodrammatico, nel trittico intitolato Ah! ch’io credea mirarti, che <<ci parla della trama precaria e fragile del vivere, dei contrattempi e dei disguidi a cui siamo esposti, dell’ingannevole allucciolìo dei nostri sentimenti>>:
Viene, non viene, viene. Verrai,
verrai, dammi tempo e vedrai;
ma non ti cerco, non ti scrivo – mai! –
perché sei niente;
voce che smuore, la nebbia
di un istante nei miei occhi.
Sorvolando sulle poesie in dialetto, che esigono un paragrafo a parte, passo ai versi <<compendiosamente aforistici e sottilmente epigrammatici, mossi da una sdegnata attrazione o da un’innamorata ripulsa>> dell’eponima lirica in tre parti:
Non sei una donna ideale
e anche il tuo aspetto
può far dubitare
un uomo dotato di fantasia.
Nego di averne, e dunque
mi stai bene, tutta,
compresa la bocca da criceto.
L’arma di Basilio Reale – anche in amore – è ancora una volta l’ironia che fa scemare i voli del facile sentimentalismo, per restituirci un ‘senso’ corposo, vissuto e pertanto combattuto della passione, scevro da idealizzazioni eccessivamente “romantiche”.
IV. 2 Un ‘cenotafio’ del senso: Parole sottratte alle abitudini
Deve fare necessariamente parte a sé Parole sottratte alle abitudini, ultima sezione de L’esistenza amorosa, essendone <<la più alta perché più schiva, dove la parola, disarmata, si fa specchio di una vita dimidiata, pudica in un dolore che si trattiene per non contristare l’assente>>. “Assente” è la moglie tanto amata dal poeta, Paola Grandi, morta nel marzo del 1982 dopo un’agonia durata più di tre mesi, a causa di un male incurabile. Basilio Reale confessa:
Avevo un grande dolore e un sentimento d’amore e gratitudine da esprimere, e volevo scrivere ma non ci riuscì. Solo dopo tre anni, una mattina mi svegliai mezz’ora prima del solito, con una poesia in testa. Così per nove mattine di seguito. Poi basta, l’ultima delle dieci che compongono la sezione l’ho scritta intenzionalmente per completare la silloge. Il dolore era diventato finalmente dicibile, il sentimento e l’emozione avevano finalmente trovato una forma.
Ma la “decima poesia” in questione non può tuttavia essere Tutte le sere tutte le notti, che conclude L’esistenza amorosa (per la quale l’anno ante quem è il 1974), bensì Anni sono, e oggi come che ne è il prologo.
In alcune di queste elegie il poeta, per dirla con Natale Tedesco, <<disacerba i contrasti e fin la tragedia, pur non negandosi, ancora una volta, a stranimenti ancor più crudi, ancorché più nascosti, perché elaborati a celebrare una passione inadempiente, che si manifestava per difetto ma viveva per eccesso>>:
Ormai so riconoscere il rimorso
di colui che tradisce per amore,
come è toccato a me
d’esserti traditore;
di saperti perduta e dirti
spera un mese un altro mese
un mese ancora e tornerai
tra noi, assieme ai figli;
di ingoiare ogni pena e fingermi
sereno fino all’ultima tua ora;
di negarti e negarmi
una parola d’addio.
In queste liriche l’amore potrebbe essere <<un richiamo notturno più che un desiderio cosciente, potrebbe insinuarsi nel linguaggio e lottare per essere il “correlativo oggettivo” dell’assenza>>:
Quando il silenzio, mentre
la notte trabocca
da ogni lato, sale a passi
felpati a queste stanze,
dove da una all’altra mi muovo
equidistante fra la veglia e il sonno;
nell’ora delle angosce e dei fantasmi
come si fa acuto e chiaro
– vibrante – il tuo ricordo,
come bene si accorda
alla trama dei tuoi gesti.
L’elegia sommessa, pacata, pura nel ricordo trasfigura in “cenotafio del senso”, cenotafio anche di tutti i fascinosi sapori che una storia d’amore intensa, durata una vita, ha saputo infondere nell’uomo più che nel poeta.