L’assegnazione del Nobel per la letteratura a Bob Dylan ha provocato un grande dibattito tra scrittori, poeti e musicisti. In generale, molti letterati, come Alessandro Baricco e, di recente, Valerio Magrelli, ospite sabato 22 ottobre a Otto e mezzo (condotto da Lilli Gruber), sostengono che i testi delle canzoni non possono essere considerati “letteratura” in quanto inscindibili dalla musica e dal cantato. Secondo Magrelli, i testi delle canzoni di Dylan, come quelli di ogni cantautore, si rivelano “imbarazzanti” se estrapolati dal contesto musicale e letti come fossero un componimento poetico o narrativo. Roberto Vecchioni, ospite a Otto e mezzo insieme a Magrelli, sostiene invece che la letteratura riguarda la “parola”, perciò comprende sia l’espressione orale sia l’espressione scritta; in questa prospettiva, pur essendo i testi delle canzoni inscindibili dalla musica e dal cantato, il Nobel per la letteratura a Dylan non è altro che l’estensione del premio a una forma letteraria, la forma canzone, che prima non veniva considerata.
Si può discutere a lungo sul merito della scelta dell’Accademia svedese. I letterati che criticavano il Nobel a Dario Fo, sostenendo che i suoi testi teatrali non reggevano la prova della lettura a prescindere dalla performance scenica, con ogni probabilità criticano oggi anche il Nobel a Dylan. È un fatto che i testi di Fo (al contrario per esempio di quelli di Pirandello) non hanno una qualità letteraria autonoma dalla loro rappresentazione teatrale. Non sono, insomma, fatti per essere letti, bensì ascoltati a teatro. Ed è un fatto che il testo di una canzone di Dylan, anche nel caso di un componimento che abbia un senso compiuto indipendentemente dalla musica, non raggiunge mai la qualità letteraria di una poesia di Luzi o Zanzotto. Le canzoni, insomma, non sono fatte per essere lette, ma ascoltate, testo e musica. E tuttavia non è questo il problema. Poiché restringere il campo della letteratura ai testi scritti che hanno in se stessi il loro valore è opinabile quanto allargare il campo della letteratura alle espressioni linguistiche scritte o orali accompagnate dalla musica o dalla rappresentazione teatrale. Quindi, anziché chiedersi se l’Accademia svedese abbia fatto bene o male ad assegnare il Nobel a Dylan, conviene chiedersi perché glielo ha assegnato.
Stando alle motivazioni ufficiali dell’assegnazione del Nobel, Dylan – come in passato Fo – non è stato premiato principalmente per la qualità letteraria dei suoi testi, bensì per avere creato “nuove espressioni poetiche nella grande tradizione della canzone americana”. Ed è evidente che queste nuove espressioni poetiche pongono la lingua parlata, o meglio cantata, come preminente sulla lingua scritta. Nel sottolineare la creazione di una forma poetica, implicitamente l’Accademia svedese riconosce a Bob Dylan il ruolo di precursore, lo distingue dagli altri cantautori (tra i primissimi John Lennon), che si sono almeno in parte ispirati al suo modo rivoluzionario di scrivere i testi delle canzoni nei primi anni Sessanta, direi fino al 1966, anno di Blonde on Blonde, doppio Lp che seguiva lo storico Highway 61 revisited – con Blonde on Blonde finisce l’epoca del Dylan folksinger profeta della gioventù americana: dopo ci sarà un incidente in motocicletta quasi fatale, che lo terrà lontano dalle scene per più di un anno, e un rientro irriconoscibile, all’insegna del country e del disimpegno politico. Il lascito di Bob Dylan a tutti i cantautori che gli sono succeduti è immenso, di certo senza pari. Il premio Nobel a Dylan riguarda quindi la sua importanza storica nell’ambito della canzone popolare americana: è stato il primo a produrre testi che per innovazione formale e tematica, e per qualità letteraria, hanno raggiunto un livello qualitativo più elevato di quello degli anni Cinquanta. Inoltre, la sua opera, secondo l’Accademia svedese, ha un notevole rilievo culturale perché nel corso dei decenni Dylan ha descritto la condizione sociale dell’uomo occidentale.
In definitiva, il Nobel a Dylan ha come motivazioni principali l’importanza storica, in termini di innovazione dell’espressione poetica delle canzoni, e l’importanza culturale della sua opera nella società americana. Infine, come ulteriore motivazione, vi è la qualità dei testi dylaniani, che l’Accademia svedese riconosce alta. Va notato, a questo riguardo, che se la qualità letteraria fosse stata il principale criterio dell’assegnazione del Nobel all’interno del panorama della musica d’autore, il premio sarebbe potuto andare a Leonard Cohen, fin dagli anni Sessanta visto come il rivale di Dylan quanto a poeticità dei testi. O a Bruce Springsteen, che ha raggiunto a fine Ottanta – inizio Novanta una qualità letteraria dei testi di grande spessore (si pensi ai due album Tunnel of Love, 1987, e The Ghost of Tom Joad, 1995, ispirato al protagonista di “Furore” di John Steinbeck). O a vari altri cantautori (non sono tanti ma nemmeno pochissimi) che hanno manifestato una qualità letteraria dei loro testi eguagliabile, se non superiore, a quella del Dylan post-1966: non ultimi Guccini o il defunto De Andrè, come ricordava Vecchioni a Otto e mezzo, sottolineando l’assoluto pregio della loro scrittura e il fatto che i testi della maggior parte delle loro canzoni conservano un valore artistico anche quando letti senza musica. Ma occorre ricordare che quasi tutti i cantautori, da Springsteen a Guccini, per le prime loro canzoni si sono ispirati a Dylan, alla sua creazione di una nuova espressione poetica. E questo spiega perché, volendo assegnare il premio Nobel a un cantante, il primo e forse l’unico candidato fosse Bob Dylan.