Harry Martinson
[…]
Sentiti d’accordo in tempo
con quello che è degno di essere rimpianto
con tutto quello che si è messo in cammino attraverso l’estate per morire.
Sentiti d’accordo in tempo d’autunno con la foglia gialla
che incerta lascia il suo ramoscello
un giorno quando l’estate abdica nel vento
e l’albero depone la sua corona
sul guanciale di muschi che dovrà sopravvivere
***
Come poeta e scrittore non ho un programma, in quanto è già abbastanza difficile essere uomo in un tempo come il nostro, un tempo in cui d’altronde non mi sento a mio agio. Ma v’è qualcosa che io amo: il mare, l’oceano, in ogni sua espressione e le stelle – infatti l’astronomia è uno dei miei grandi interessi. E mare e stelle cerco di riunire in me, in una sorta di navigazione spirituale, quasi una legge superiore che liberi dal nichilismo e dalle simulazioni. Ma ciò non significa che io rifugga dagli uomini: li accetto così come sono, alienati e troppo diversi fra di loro perché possano ancora illudermi. Hanno già mostrato come possono essere e quindi anche come potranno diventare, nel bene e nel male.
Il nostro ideale non deve essere la bonaccia che trasforma perfino il mare in una palude, e non dovrà essere neanche l’uragano, ma il grande, potente aliseo, un gigante colmo di gioia, frescura e vita: un eterno e continuo rinnovamento dell’aria.
Per indole sono un romantico, un sensitivo, ma con delle disposizioni alla scienza. Gran parte della mia biblioteca si compone di libri di divulgazione scientifica e di storia: mi attraggono particolarmente l’antico Egitto e la Cina della dinastia dei T’ang. Ma mentre il mio interesse per la storia antica è profondo e costante, ritengo che certi avvenimenti di altri periodi siano inspiegabilmente ingigantiti nella coscienza umana.
Per me vale il detto “le cose grandi avvengono nel silenzio”. Forse proprio in questo momento alcuni scienziati stanno investigando in umile silenzio per risolvere un problema di importanza vitale: dove e come si troveranno i mezzi per sostentare in avvenire i miliardi di abitanti del globo terrestre. La storia abbonda di esempi di laborioso silenzio. Quando Galileo formulò le sue leggi e Newton elaborò il centro gravitazionale universale, non rullavano certo i tamburi nelle piazze.
Per quanto riguarda il significato di poeta e di poesia desidero innanzi tutto precisare che per me entrambi sono e restano “regionali”. Vi sono lingue sempre dominanti, perché appartenenti già dalle origini alla tradizione dotta europea: come tali presero il sopravvento sulle altre, che a loro volta persero di importanza o vennero del tutto trascurate. L’istruzione superiore europea fu il carro trionfale dal quale le principali lingue signoreggiarono, consolidando sempre più le loro posizioni; gli idiomi hanno sempre avuto i loro Herrenvoelker agevolati dalla struttura scolastica. Ma io sono convinto che questa situazione cambierà; turismo, film, televisione e altre possibilità di reciproca comprensione diminuiranno l’efficacia di tutte le lingue. Le immagini e l’immediato contatto con la realtà favorito dai viaggi che spingono l’uomo sempre più lontano, ridurranno le lingue a un mezzo secondario di comunicazione. E’ probabile che fra cento anni non si leggano più neanche i giornali.
Ma la poesia sopravvivrà sia perché spesso tratta dell’amore (ditemi due innamorati che nel buio non si sussurrino versi d’amore), sia perché i sentimenti umani nelle loro più sottili espressioni non potranno mai tradursi e internazionalizzarsi completamente. La poesia è e sarà sempre intraducibile, resterà “regionale” anche se di tanto in tanto tenderà verso altre fonti d’ispirazione. Valori e sfumature nati nelle lande scozzesi non potranno mai essere percepiti con esattezza in Toscana o in Sicilia. Una saga norvegese raccontata in un oliveto greco non conserva che la trama della corrispondente leggenda popolare ellenica. E’ giusto che sia così e così sempre sarà. Ogni parte del mondo ha il suo fascino e la sua attrattiva in quanto straniera ed esotica alla gente d’altri paesi. Che accadrebbe se la letteratura di tutto il mondo si esprimesse solo in italiano o in inglese? Non lo sopporterebbero neanche gli italiani e gli inglesi, che vedrebbero la loro lingua assimilata da tutti ed esposta all’usura della comprensione generale: un’ipotesi spaventosa.
Voglio dire che le traduzioni si devono sempre intendere come un compromesso tra due regionalismi, tra il proprio – e penso che questo possa essere contenuto entro certi limiti – e l’estraneo che costituisce l’elemento esotico.
Naturalmente nelle collettività linguistiche minori v’è sempre un gruppo di petulanti “cosmopoliti” che sparlano del regionalismo mentre poi cercano di ispirarsi ad un regionalismo, italiano o francese. Ma queste velleità sono destinate a fallire. Nel migliore dei casi, non si può essere altro che messaggeri di se stessi: esibire qualcosa che veramente ci appartiene, anziché portare vasi a Samo o nottole ad Atene. Chi si vergogna delle proprie peculiarità (se ha la fortuna di averne) non è degno di essere chiamato poeta e dovrà accontentarsi di figurare fra gli epigoni o gli eclettici. Ma, appunto, questo nessuno se lo auspica e allora non rimane che ripiegare su quello che io chiamo il “regionalismo”.
E ora vorrei esprimere un giudizio, a mio modo, sulla presente raccolta. Le poesie qui tradotte sono “regionali” in senso svedese e italiano. Nel mio lago svedese v’è, per così dire, un’isola italiana dalla quale il traduttore “interpreta” il lago in italiano. Oltre non si può e non si deve procedere e io sono ben convinto che il mio amico Giacomo Oreglia ha dato un’ottima interpretazione. (H.M.)
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dalla raccolta “Cespi”
Il paesaggio sa tutto
Il paesaggio sa tutto
attraverso il suo essere alternante
e attraverso la sua abitudine a tutto
quello che un paesaggio incontra.
Ha abitudini e primavere.
I muschi si approfondiscono lentamente
nei segni delle cicatrici delle pietre,
anno dopo anno.
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dalla raccolta “Cicala”
Sentiti d’accordo…
Sentiti d’accordo in tempo con tutto quello che perisce
e lascia che il cuore raccolga tutta la sua nostalgia
che è molto grande e non si contiene in nessuna tomba.
Fai di questa nostalgia la canzone del cuore.
Sentiti d’accordo in tempo con il ruscello che si irrigidisce
e raggricchiato gela sotto il ponte.
Una volta era il nastro più bello nei capelli dei campi dell’estate.
Una volta correva selvatico in un argenteo serpeggiare attraverso una foresta.
Era una primavera.
Una ragazza tornava a casa con un cesto di spugnole.
Era bella.
Era primavera.
Sentiti d’accordo in tempo
con quello che è degno di essere rimpianto
con tutto quello che si è messo in cammino attraverso l’estate per morire.
Sentiti d’accordo in tempo d’autunno con la foglia gialla
che incerta lascia il suo ramoscello
un giorno quando l’estate abdica nel vento
e l’albero depone la sua corona
sul guanciale di muschio che dovrà sopravvivere.
*
Oracolo marino
Mentre ancora ondeggiamo
l’acqua intona il canto della nostra realtà che dovrà perire.
A un dato livello sotto le onde
i simboli si volgeranno nelle loro qualità mortali;
cercheranno la salvazione presso di noi mentre noi cerchiamo la salvazione presso di loro.
Affondiamo a lungo o rapidamente, a seconda della corrente.
Ma mentre affondiamo molto che non conosciamo potrà affiorare.
L’immensa pressione muta tutto.
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dalla raccolta “Le erbe nella Thule”
Ti devi consolare…
Ti devi consolare infine col fatto stesso che le aree di ghiaccio aumentano.
Che gli allegri fuochi d’artificio sono fortuiti su queste superfici,
che il vino caldo e cordiale infuso di garofano
non riscalda così tanto in un’Artide più intensa.
Ti devi rallegrare di questa conoscenza pesante raggiunta fra banchi di ghiaccio.
Rallegrati infine di non essere cieco.
*
Appello
La luna piena risplende sul mare
e tu nel mio cuore.
La riva attende e invecchia. Tu non vieni mai.
Fugace il sentire lunare sul mare che inghiottì
il veliero col quale a lungo avremmo vagato
condotti dal desiderio, suonando il flauto e la cetra
unendo canto e carne nell’argenteo vento.
*
Le erbe nella Thule
Alle erbe nella Thule il tempo è angusto e avaro.
Avvinte al petto dell’occasione e nelle mani della grazia
comprendono l’arduità della farfalla lungo le prode gelate,
sentono l’età dell’effimera nelle piagge di giugno.
Forse non esiste prodigio più grande al mondo
di queste foglie del suolo nella nostra ristretta estate.
Il contadino ammutolisce, i poeti gozzovigliano con le parole,
mentre esse nei prati ancora vivono e fioriscono.
*
Il rompighiaccio
Il rompighiaccio nella Thule avanza rugghiando.
Rimuove con un frastuono scricchiolante
le bianche porte più pesanti di quelle d’Egitto
si gargarizza con neve sprofondante.
Dove ruppe il ghiaccio il solco d’acqua
diviene una strada diritta e piana per i carichi del commercio
nell’aspro mare del Botnia settentrionale.
*
Il cimitero
Selve di fronde cingono il cimitero.
Dicono con la dolce voce dell’estate l’irrevocabile.
Nell’erba un vento cerca qualcosa di perduto.
Ma il tempo si è dileguato
attraverso i cancelli di ferro.
*
Poesia d’autunno
Celestialmente belli i fiori crollano.
In ogni dove si protende l’umido muso della caducità.
Il cielo spunta gelido nell’aperto calice del tropeolo,
terge e lacera violentemente l’ultima rosa dell’estate.
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dalla raccolta “Nomade”
Dopo
Dopo la battaglia di Helgoland
e dopo la battaglia di Utshima
il mare dissolveva i cadaveri sparsi come tronchi alla deriva.
Li preparava coi suoi acidi segreti.
Lasciava gli albatri divorare i loro occhi.
E con sali dissolventi li riconduceva
lentamente verso il mare –
verso le rigeneranti acque cambriane,
verso un nuovo tentativo.
*
Al largo sul mare
Al largo sul mare una primavera o un’estate si sentono soltanto come un soffio di vento.
L’aliga natante della Florida fiorisce talvolta d’estate,
e in una sera di primavera una cicogna vola verso l’Olanda.
*
Poesia
Ora innalziamo il cimbalo sopra la terra.
E osserva: il cimbalo è la tua vecchia luna,
che ha cozzato quanto basta nelle selve d’agosto
e ora è tonda come l’oste delle sette osterie.
Ti diciamo parole in una lingua che tu indovini
nel profondo delle paludi e in alto nel cielo;
rinnovare vogliamo i consunti sciami delle stelle
e alitare nuovi profumi nel tuo fiore.
Fratello, fratello, qualunque cosa accada –
se fornicazione e fuoco e caos sulla terra,
ricorda sempre, o fratello, queste parole:
Dài profumo al fiore.
*
Notte di creazione
C’incontrammo al ponte di pietra,
le betulle facevano da guardia,
il fiume lustro come l’anguilla guizzò verso il mare.
C’involgemmo per creare Iddio,
il murmure spirava nel grano dell’autunno
e la segala fluttuò.
*
Visione
Vidi l’anima della negra Ammy
di semplici perle composta
su di un mare del sud appesa nello spazio
dove il tropico del Capricorno ogni notte s’impenna.
E noi che eternamente attraversiamo
l’infinito orizzonte delle fiere esistenze senza dimore;
noi la cantammo simile a questi dei
che i sogni delle nostre anime fieramente avevano intagliato
in occulto avorio.
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dalla raccolta “Natura”
Il toro
Il toro mi venne incontro in selve accoglienti
a cento giornate da Granada;
venne nella notte tra accoglienti betulle
tuonò cupo e si precipitò irto, sollevando l’ansante, libera
e panica immagine dal velo più serico della valletta di giugno;
agitava il suo largo e ferale dondolo cornuto,
coda ricurva, unghioni e pugnali curvi,
mi sussurrava quanto pensava e sentiva,
mi ruggiva nel dosso con fiato pesante come piombo rovente.
I campi volavano come allodole accanto a noi
i cespi formicolavano e brulicanti le betulle verso di noi,
palizzate alte e radiose come cieli di Chiesa e di morte.
Venere, la meravigliosa stella della quieta estate
– seppur non scorgemmo i suoi raggi né io né il toro –
aleggiava sugli accoglienti filari delle betulle
e scorse la violenta e muggente scena della nostra atterrita
notte di giugno ansante nella valletta sorridente.
*
Il vento di mare
Su infiniti oceani ondeggia il vento di mare –
stende le sue ali nella notte e nel giorno,
s’innalza e si abbassa
sulla eterna ondeggiante distesa dei mari eterni.
Si avvicina l’alba
o si avvicina la sera
e il vento di mare sente sul suo viso – il vento di terra.
Le campane delle boe intonano canti mattutini e vespertini,
il fumo di una carboniera
o il fumo delle pece fenica svapora agli orizzonti,
una medusa solitaria ondeggia eterna con radici turchine e lucenti.
Si avvicina l’alba o la sera.
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dalla raccolta “Venti alisei”
Il mattino delle età
Presto si alza il vecchio
esce di nascosto dalla casa mentre i giovani ancora dormono.
Sa che la sua vita è breve.
Il levarsi del sole vuole vedere
e la rugiada che tuttora giace
non ancora alzatasi come i giovani.
Davanti ai suoi piedi salta una rana
verso la selva attraverso la rugiada.
Il vecchio la segue e pensa:
potrebbe essere il mio stesso cuore
che salta nella rugiada.
Dentro la casa dietro di lui
dormono i giovani
il profondo sonno della gioventù.
Sanno che il mare tuttora esiste per loro
lontano oltre la fonte.
Si dormono tutto il mattino oggi
perché hanno possibilità.
Rimandano la loro partenza di qualche giorno, qualche anno
a cagione della loro giovinezza.
*
Sera all’interno delle terre
Silente l’enigma si riflette. E fila
la sera nei giunchi quieti.
Qui c’è una trasparenza che nessuno osserva
nel tessuto dell’erba.
Silente la mandria mira con occhi verdi.
Discende verso le acque in serotina calma.
E il lago porta a tutte le bocche
il suo gigantesco cucchiaio.
***
Harry Martinson nasce il 6 maggio del 1904 nel Blekinge, regione della Svezia meridionale. Quando il padre, capitano di lungo corso e commerciante, muore precocemente per tubercolosi, la madre incapace di sostentare da sola la famiglia, decide di abbandonare Harry che all’epoca aveva solo sei anni e altre sue cinque sorelle in Svezia, ed emigra in Amenrica portando con sé solo la figlioletta più piccola. Così Harry si ritrova improvvisamente solo e sballottato tra case d’accoglienza parastatali e famiglie di contadini che lo accudivano a spese dell’amministrazione comunale, la quale come egli stesso scriverà “lo vende all’asta” a chiunque lo prenda in affido per godere del sussidio di mantenimento del minore.
Dal 1919 in poi, Harry inizia a mantenersi lavorando dapprima in varie fattorie per poi decidere a soli sedici anni di imbarcarsi come mozzo su una nave cargo. Sulle navi farà carriera fino a diventare fuochista, ma l’insorgere a ventitré anni della tubercolosi lo costringe ad abbandonare quel tipo di mestiere, mettendo definitivamente radici in terra.
A venticinque anni sposa la trentanovenne giornalista e scrittrice anarcosindacalista Moa Martinson, che avrà una grande influenza sulla formazione del suo pensiero politico e sulla sua produzione letteraria. In quegli anni, dopo aver collaborato alla redazione di vari giornali anarcosindacalisti, Martinson diviene, insieme a Lundkvist Artur Niels (teorico del gruppo), uno dei protagonisti e fondatori del movimento d’avanguardia dei “Fem unga” (i cinque giovani), che dichiarava di perseguire come ideale quello dell’ “adorazione della vita” (livsdyrkan) in tutte le sue forme contemporanee, al fine di concertare un rinnovamento artistico attraverso il totale abbandono degli schemi di tradizione e accademia aderendo al gusto criptico e simbolico del surrealismo, vissuto e riletto attraverso metafore naturali dalla forte connotazione regionalistica. Nel 31 pubblica la silloge “Nomad” (Nomade), mentre tra il 32 e il 33 pubblica due opere in prosa, di forte matrice autobiografica e di singolare innovazione linguistica: “Viaggi senza meta” e “Capo Farewell”. Del 34 è la sua seconda raccolta di poesie “Natura”, che conferma il successo ricevuto con Nomade; mentre del 35 e del 36 sono rispettivamente “Le ortiche fioriscono” e “La via d’uscita”, due struggenti prose autobiografiche che raccontano i drammi dell’infanzia e dell’adolescenza di Harry in Svezia. Tra il 37 e il 39 scrive diverse opere in prosa e il radiodramma “il pilota delle molucche”, stampato solo nel 54. Nel 40 invece pubblica “Realtà fino alla morte”, opera in cui fa una narrazione dettagliata della sua esperienza di guerra in occasione della “guerra d’inverno” in Finlandia.
Nel 41 pubblica il romanzo “Il giaguaro perduto” che diventa occasione polemica per attaccare le sovrastrutture e il tecnicismo che andava sempre più caratterizzando e disumanizzando la civiltà contemporanea. Nel 45 esce la silloge “Venti alisei”, che senga la sua piena maturità poetica; mentre nel 48 pubblica un nuovo romanzo “La strada verso Klockrike”, romanzo storico ambientato alla fine dell’Ottocento, che segna l’epopea del nomadismo attraverso la narrazione delle avventure del vagabondo Bolle, animato da spirito di avventura ma anche da grande solidarietà umana, in contrasto con l’individualismo e l’alienazione dei tempi moderni; anche nel giovane Bolle possiamo intravedere reminiscenze autobiografiche dell’autore che, ancora ventunenne, fu imprigionato proprio per vagabondaggio.
Martinson fu il primo fra gli autori “autodidatti e proletari” ad essere riconosciuto dalla Reale Accademia di Svezia di cui divenne membro nel 1949. Più tardi, nel 53, pubblica una nuova silloge di poesie, “Cicala”, mentre nel 54 riceve la Laurea honoris causa dall’Università di Goteborg.
Del 56 è il suo poema più conosciuto, “Aniara”, in cui narra “una rassegna dell’uomo nel tempo e nello spazio” a bordo dell’astronave che dà il nome al poema. In questo lavoro Martinson descrive il viaggio interstellare che l’umanità intraprende alla ricerca di un nuovo mondo in cui rigettare le basi per una vita nuova. Il poema drammatico e simbolico verrà successivamente trascritto in libretto da Erik Lindegren e musicato da Karl Birger Blomdahl.
Tra il 58 ed il 60 pubblica le raccolte di poesie “Le erbe nella Thule” e “Il carro”.
Nel 64 viene rappresentato a Stoccolma con la regia di Ingmar Bergman, il suo dramma “Tre coltelli da Wei”; tra il 71 e il 73 pubblica le sue ultime raccolte di poesia “Poesie su luci e tenebre” e “Cespi” e nel 74 gli viene conferito il Nobel per la letteratura “per una scrittura che cattura le gocce di rugiada e riflette il cosmo”. Harry Martinson muore a Stoccolma quattro anni dopo. (nc)
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L’ha ribloggato su Gianluca D'Andrea.