Modica, dove Quasimodo nacque, nella sua poesia diventa il punto d’un mondo aperto, il centro di un’area culturale ed emozionale più che un luogo privilegiato di affetti e di ricordi. Un pretesto per altro dove il paese reale si muta in paesaggio e questo, a propria volta, si congiunge col passato che resta. Sergio Solmi, presentando presso Scheiwiller la raccolta del 1935 Erato e Apollion individua quel “tema unico e fondamentale” della poesia di Quasimodo, che è “l’isola siciliana … una misteriosa città … che la poesia miracolosamente ravviva”, dove il ricordo dell’infanzia diventa legame radicale con la classicità. E’ la medesima
“ragione profonda che ha sospinto Quasimodo all’esperienza dei lirici greci … antiche voci restituite a un’intatta, stillante contemporaneità”.
E di “nostalgia classica” ha parlato il Solmi. Natale Tedesco, a sua volta, parla di un ripristino dello
“antico mito della classicità per dotare di forme autoctone, non francesi, non decadenti, l’ermetismo italiano”.
Così, Quasimodo nella poesia intitolata Che lunga notte (da Il falso e il vero verde) inserisce un particolare sentimento di amore in una intera area di geografia e di cultura:
“il vento, a corde, dagli Iblei, dai coni / delle Madonie, strappa inni e lamenti / su timpani di grotte antiche come / l’agave e l’occhio del brigante”.
E’ la via del ritorno di Quasimodo, la messa in moto, direi, dalle oscurità da cui si proviene, sempre rischiarata e mai del tutto risolta. Per tal motivo – quando la retorica viene evitata – il mito in Quasimodo non costituisce una statica presenza, è bensì approssimazione costante e un possesso di continuo perduto e ritrovato. Ci dà, volta per volta, il senso della provenienza e del distacco, quasi mai la determinazione del futuro.
E’ evidente che poi in Quasimodo si dà luogo al sentimento dell’esilio, “esilio involontario” lo chiama, che anche ha dato luogo a quello che si può chiamare quasimodismo, quello spurio e artificioso sentimento che talora è dato scorgere in certe scritture di siciliani i quali trasmigrano in aerei e vagoni-letto, e parlano di diaspora, trasformando una maledizione in una farsesca commedia.
Più congruente è invece Leonardo Sciascia, che in uno scritto del 1969 stabilisce un’analogia di condizione e di esilio con il poeta arabo-siculo Ibn Hamdìs, poeta di Noto, costretto a espatriare per la venuta dei Normanni:
“alla distanza di più che otto secoli un poeta di lingua araba e un poeta di lingua italiana hanno cantato la loro pena d’esilio con gli stessi accenti”.
E’ che la Sicilia esercita la doppia e contemporanea forza centrifuga e centripeta: si è chiusi dal mare e si evade; ma con l’animo si torna, anzi non si è andati mai via. Quasimodo, parlando del fratello morto, in Vicino a una torre saracena, per il fratello morto, trasforma il luogo in un
“arcobaleno d’aria e pietra”, parla di una “terra di misure / astratte, ove ogni cosa / è più forte dell’uomo”.
Di Quasimodo ho pochi ricordi personali. Una volta lo incontrai a Milano in casa di conoscenti, mi parve risentito e inappagato; poi lo incontrai a Catania, dopo il conferimento del Nobel: era distratto, ricordo la sua voce nasale. Fu molti anni dopo che mi riuscì di localizzarlo, una volta che si era svolto un convegno, mi pare a Siracusa, intorno a lui e poi si andò a Modica. Con Ignazio Buttitta siamo andati a vedere la sua casa natale. Ricordo, dall’esterno, i muri screpolati, un senso di abbandono: la casa era rialzata da terra, vi si accedeva a mezzo di una scala esterna in pietra, il portoncino era chiuso, sbarrato, come se più non ci fosse vita.
“La mia siepe è la Sicilia”,
precisa Quasimodo sviluppando la sua poetica. La siepe, con chiaro riferimento a Leopardi che del resto variamente, soprattutto le prime raccolte, registrano; cioè il luogo, il limite necessario e costitutivo, punto di congiunzione di microcosmo e macrocosmo, insieme origine e approdo, un territorio continuamente costeggiato e vivificante che diventa un universo compatto e dialettico, diventa linguaggio che attraversa le latitudini e disarticola i limiti, e di continuo rinnova in altre sintesi, infine unifica i tempi secondo la libertà e la fermezza della poesia.
“Non ho cercato lontano il mio canto, e il suo paesaggio non è mitologico o parnassiano: là c’è l’Anapo e l’Imera e il Platani e il Ciane con i papiri e gli eucalyptus, la Pantalica con le sue tane tombali scavate quarantacinque secoli prima di Cristo, fitte come celle d’alveare, là Gela e Megara Ibla e Lentini: un amore … che non si può dire alla memoria di fuggire per sempre da quei luoghi”.
E’ questo continuo peregrinare tra luoghi e memoria, tra situazione esistenziale e mito, che costituisce la personalità di Quasimodo. Condensata nella sua poetica, lievitata nei versi.
E’ la Sicilia che, in Quasimodo, diventa mito e memoria. “Mi nascondo nelle perdute cose” conclude un componimento sintomaticamente intitolato Isola in Oboe sommerso (1932); “aspro è l’esilio” dice in Vento a Tindari di Acque e Terre (1930); “mia isola” dichiara un verso di Alle rive del Lambro in Nuove poesie (1942), subito dopo aggiungendo:
“La radice resiste ai denti della talpa”.
La radice, l’essenza, ciò che è. Il ricordo e la distanza. lo scomposto movimento del vivere, il taglio netto ma necessario col mondo dell’infanzia, la memoria che riassume e ripopola un mondo di silenzio, la Sicilia che identifica le immagini e restituisce i morti, “che sempre mi destano piano”, è detto nella poesia omonima. “Il mio male” recisamente è affermato in Alla mia terra (Acque e terra). Un male del tutto costitutivo, che diventa poesia e accompagna l’intera esistenza.
“La mia terra è sui fiumi stretta al mare / non altro luogo ha la voce così lenta”
comincia la poesia Le morte chitarre (Il falso e il vero verde), che poi si chiude mirabilmente:
” … la mia razza ha coltelli / che ardono le lune ferite che bruciano”.
E’ Modica? E’ la Sicilia? E’ la Grecia? E’ tutto questo insieme, il paesaggio diventa movimento interiore, riunisce presente e passato, stabilisce una disposizione e una fedeltà, connota una ragione poetica entro i termini di una condizione che la poesia non elude ma rende solidale, per niente felice, forse, ma feconda.
L’ha ribloggato su natalia castaldi [esilio e desnacimiento].
L’ha ribloggato su Gianluca D'Andrea.
Altro articolo importante sull’identità
…e sull’appartenere ad una terra aprendosi al mondo, attuando un’osmosi tra quello che si è grazie alle proprie origini e quello che lentamente si diventa grazie all’esperienza, allo studio, agli incontri alla propria curiosità. Davvero un bell’intervento (e Modica sa essere luogo d suggestioni infinite).