SU-A (SU-ll’Attore) – performance teatrale in 4 tempi, di e con Marika Pugliatti

“Avanti, avanti, avanti, signori! E voi, gaie signore,
entrate nel serraglio, avanti, avanti!
Vi potrete ammirar, con freddo orrore
o con ardente voluttà, la Bestia
senz’anima che il nostro genio doma.”
(Frank Wedeking, Lo spirito della terra)

Con queste parole si apre lo spettacolo teatrale di Marika Pugliatti, autrice, attrice e regista teatrale messinese, che con coraggio e presenza scenica senza pari, scandaglia e mette a nudo la dualità dell’essere umano, il profondo attrito tra tutto ciò che in lui viene comunemente riconosciuto come bello, socialmente presentabile, e tutto ciò che diversamente ne costituisce la vergogna, la parte più nascosta, non opportuna: la sua verità animale, la Bestia.
Senza scomodare Dante, parlando di Bestia, dualità, “incomunicabilità” e conseguente scoperta – qui sublime e rabbiosa – dell’unica reale e possibile condizione umana, la sua solitudine, oltre ai testi scelti e riadattati (dirò meglio “riscritti”) dalla stessa Marika Pugliatti, viene naturale pensare alla corporeità scenica del teatro della crudeltà di Artaud, ma anche a altre due donne della letteratura italiana contemporanea, che in modi più o meno diversi, hanno percorso lo stesso sentiero “animale” e duale dell’esistenza, per giungere poi a conclusioni talvolta diametralmente opposte: Mariangela Gualtieri (vedi “Bestia di gioia”, Einaudi 2010) e Jolanda Insana (“Turbativa d’incanto”: La bestia clandestina; Garzanti 2012).
Le quattro riscritture teatrali operate e presentate dalla Pugliatti nello spettacolo SU-ll’Attore, SU-A, sono perfettamente cucite ai 4 diversi tempi scenici dell’installazione recitativa:

SU-lla sedia (riscrittura de La cantatrice Calva, di Eugéne Ionesco);

SU-l tavolo (riscrittura di 4.48 Psicosys, di Sarah Kane);

A-l muro (adattamento da Attenta, Ofelia!, Amleto, di Shakespeare)

A-l buio (traduzione e riscrittura di Nel fienile, di Karl Valentin)

Ogni tempo dell’installazione, al limite tra l’avanguardismo da Playback-theatre e Long Form di improvvisazione teatrale, non ha una rigidità scenica predefinita, ma si adatta e prende forma a seconda della sede in cui l’installazione viene accolta. La principale attenzione della Pugliatti, infatti, non è quella di dar luogo a una recita fine e uguale a se stessa, al contrario l’Autrice vuole esercitare una mise en abîme in cui Attore e Regista coincidano con la Bestia e con il SU-O Pubblico che, violentemente messo a nudo dalla corporeità dell’intera scena, si vede costretto a guardare fisso negli occhi l’aspetto più triviale di sé, quanto di sé a fatica ha dovuto e voluto socialmente celare fino a quel momento.
Risate isteriche, urla, squittii, brevi parentesi delicate di canto in lingua tedesca, si mescolano insieme in un susseguirsi di emozioni contrapposte e libere da qualunque freno inibitorio; si sbattono i pugni sul tavolo, si ruggisce il dolore della bestia, si parlotta con il verso stridulo di un bambino che nel buio cerca la verità tra paura e silenzio, tra i fantasmi del passato e il linguaggio puro del dialetto.
Uscendo dalla sala si è colti da una sensazione di straniamento, ci si sente perduti e sconvolti nel riacquisire la postura socialmente opportuna del nostro quieto vivere. Ma più di tutto resta sgomento, una sensazione di colpa collettiva di fronte a tutto ciò che definiamo bestia, di fronte a tutto ciò che ci è diverso e uguale e che il perbenismo buonista cui siamo stati educati, ci spinge a ignorare.
L’indifferenza. L’indifferenza dinanzi alla bestia, l’indifferenza dinanzi a una bellezza diversa, in SU-A ci viene schiaffata in faccia con una veemenza verbale e gestuale attrattiva, una forza cui lo spettatore non può sottrarsi e che scatena commozione, vergogna, riflessione, ma anche paura, ribrezzo, voglia di scappare via.

Ed è questo che Marika Pugliatti sa bene, lo sa bene e lo sottolinea fissando il suo pubblico negli occhi, congedandosi con un unico quesito:

“Chi è la Bestia? Cosa desidera, la Bestia? A chi importa?”

Natàlia Castaldi

***

Di seguito, ringraziando Marika Pugliatti per avercene fatto dono, pubblichiamo due riscritture espunte da SU-A

***

 

SU-l tavolo
(da Psicosi delle 4,48 di Sarah Kane – adattamento di Marika Pugliatti)

Di amici ne hai. Hai un sacco di amici. Cosa offri ai tuoi amici per renderli così premurosi? Cosa gli offri?
(Silenzio)
Cosa offri ai tuoi amici per renderli così premurosi? Cosa gli offri?
(Silenzio)
Niente. Non offro niente. Sono grassa e non offro niente. Sono grassa e non offro niente. Sono grassa e non offro niente.
Sono grassa. Sono grassa. Sono grassa. Sono grassa. Sono grassa e non riesco ad amare. Sono grassa e non riesco ad amare. Sono grassa e non riesco ad amare. Sono grassa e non riesco ad amare.
Ho terrore dei medicinali.
Non riesco a fare l’amore. Non riesco a scopare. Non riesco a stare sola. Non riesco a stare con gli altri. Non riesco a chiamare. Non riesco a parlare. Non riesco ad ascoltare. Non riesco a dire basta. Non riesco a uscire. Non riesco a essere come prima. Non riesco a sperare. Non riesco a vivere più.
Ho i fianchi troppo grandi. I miei genitali non mi piacciono. Le mie cosce troppo grosse. I miei denti sono sporchi. Sto perdendo tutti i capelli. Il mio corpo mi fa schifo e fa schifo a tutti.
Alle 4 e 48, quando la disperazione mi farà visita, mi impiccherò… ma io non voglio morire.
Forza e leggerezza. Forza e leggerezza. Forza e leggerezza. Io non voglio morire. Forza e leggerezza. Forza e leggerezza. Forza e leggerezza. Io non voglio morire. Forza e leggerezza. Forza e leggerezza. Forza e leggerezza. Io non voglio morire. Forza e leggerezza. Forza e leggerezza. Forza e leggerezza. Io non voglio morire. Forza e leggerezza. Forza e leggerezza. Forza e leggerezza. Io non voglio vivere.
100, 50, 75, 25, 35, 5, 5, 5, 5, 5.
La tua verità, 5, 5, 5, 5, 5, le tue bugie, 5, 5, 5, 5, 5, non le mie, 5, 5, 5, 5, 5.
Io credevo che tu fossi diverso e che magari davvero la provassi quell’angoscia che certe volte ti traversava il viso e minacciava di esplodere, e invece no, tu ti paravi il culo, come ogni altro povero stronzo di merda.
– Hai deciso cosa fare? – Mi faccio un’overdose, mi taglio le vene e poi mi impicco. – Tutto insieme? – Così poi non potranno dire che era una richiesta d’aiuto!
Dico bene? Dico bene? Dico bene, si o no? Si o no? Si o no? Si o no?
RSVP ASAP. Parla. Parla. Parla.
Certe volte mi giro e sento il tuo odore e non riesco ad andare avanti cazzo non riesco ad andare avanti cazzo senza esprimere questo terribile cazzo tremendo fisicamente doloroso cazzo questo desiderio cazzo che ho di te. E non ci credo che io sento questo per te e tu non senti nulla. Non ci credo. Non ci credo. Non ci credo. Tu non senti nulla?
RSVP.
Non senti nulla?
RSVP ASAP! Parla. Parla. Parla.
5, 5, 5, 5, 5, 5, 5, 5, 5, 5.
Vaffanculo, vaffanculo, vaffanculo perché mi rifiuti non essendoci mai, vaffanculo perché mi fai sentire una merda con me stessa, vaffanculo perché ti ho dato tutto e non ti è bastato, vaffanculo perché mi fai ascoltare la mia voce, vaffanculo perché mi fai sentire una stupida, una che non vale niente, vaffanculo perché non esisto, vaffanculo perché fai morire dissanguati il mio amore e la mia vita, vaffanculo a mio padre che si è fottuto per bene la mia vita e vaffanculo a mia madre che non l’ha lasciato, ma più di tutti vaffanculo a Dio che mi ha fatto amare una persona che non esiste. VAFFANCULO VAFFANCULO VAFFANCULO.
Ma che cos’altro ho io? Sono sola. Tu non ci sei più. Nessuno c’è più. Non ho nessuno per cui darmi da fare. Che cos’ho? Sono sola. Nessuno ha più bisogno di me.
Parla parla parla.
Convalidatemi autenticatemi guardatemi sentitemi parlatemi ascoltatemi toccatemi credetemi odiatemi amatemi chiamatemi messaggiatemi wazzappatemi skyppatemi taggatemi ashtaggatemi chattatemi piacetemi condividetemi tanto dopo le 4 e 48 non parlerò più!
La pollastra… balla ancora… la pollastra non si ferma… penso… che tu pensi a me… come volevo… pensassi… a me… pensa… a tua mamma… ora… cade… una neve nera… anche nella morte mi tieni… mai libera… non ho nessuna voglia di morire nessun suicida ne ha mai avuta… guardatemi scompaio… guardatemi… scompaio… guardatemi… guardatemi… guardatemi… guardatemi…

***

A-l buio
(Nel fienile di Karl Valentin – traduzione in siciliano e adattamento di Marika Pugliatti)

(A voce bassa e al buio)

– Simmerl! Simmerl!
– Eh!
– A unni si?
– Ccà!
– Unni?
– Ccani!
– Ma ‘un ti vidu!
– Ma ccà sugnu!
– Siii, sentiri ti sentu ma ‘un ti vidu!
– Ma cettu ma chi vo’ vidiri ‘oscuru?!
– Ma picchì allura ‘oscuru si po’ sentiri?
– Ma picchì tu stai sintennu ‘occhi cosa ora?
– Cettu, a ttia sentu!
– E picchì a mmia?
– Ma fossi picchì ‘un c’è nuddu?
– Ma tu sicura si?
– Cettu ch’ sugnu sicura, picchì sinnò sentirìa a occhi nn’atru a parti a ttia!
– Ma tu mi senti puru si ‘un parru?
– Ah, nu sacciu! Prova! Videmu si sentu ‘occhi cosa!?!?
– Sì, ma accura! … Ora un parru, ah! (Quasi subito) Ohu, Anni, Anni!
– Shhhh! Silenziu, ca ‘un sentu!
– Ah, scusa! (Quasi subito) Psss! Anni, Anni!
– Ehhhhh!
– Anni, ‘u stai sintennu ca’ ‘un staiu parrannu?
– Eh!
– E ora ‘u sentisti ca’ ‘un parrai?
– Eh, cettu! E poi sintìa puru ch’ dicisti: “Ohu, Anni, Anni!” I io t’ rispunnia: “Shhhh! Silenziu, ca’ ‘un sentu!”. E allora tu mi dicisti “Ah, scusa!” E poi: “Psss! Anni, Anni!”. “Ehhhh” ti dissi io. E tu: “Anni, ‘u stai sintennu ca’ ‘un staiu parrannu?”
– Mii, ‘u sentisti? E ‘u restu, no?
– Ma chi restu?
– Ma comu?!?! Avà!!! Quannu ‘un stava parrannu!?!?
– Ehh, no! Io stava sintennu ma ‘un stava sintennu nenti!
– Mah! Allura chista è ‘a storia du sentiri?
– Miii! A storia du sentiri! Senti, Simmerl, pruvamu a ffari a stissa cosa cu’ vidiri ‘o postu di sentiri. Provamu ‘na picca a ‘un vaddari! Videmu si videmu ‘u stissu!
– Vabbeni, ora provamu a ‘un vaddari! Eccu, io ‘un vaddai, mi vidisti?
– No!
– Miii, ‘un mi vidisti?
– Noooooooo!
– Ma allura a ccu’ vidisti?
– Ehhh, a nuddu, in nudda banna!
– E picchì ‘un vidisti a nuddu, in nudda banna?
– Ma unni havía a vidiri io? E a cui?
– Ma comu? Tu havía a vidiri a mmia!
– Ma si ‘oscuru ‘un ci vidu!
– E picchì ‘un ci vidi?
– Ma si unnu sai tu, comu fazzu a sapillu io ca’ sugnu cchiù babba i ttia?!?!
– Comu, Anni! ‘Un mi l’ha ddiri ‘sti cosi, tutti e ddui semu babbi picchì sinnò comu putiriamu diri tutti ‘sti babbarii?
– Ah, babbarii?
– No, no no no, babbarii babbarii no!
– No? E comu putemu inveci diri ‘na babbarìa babbarìa babbarìa?
– Mah, metti… ‘na babbarìa babbarìa babbarìa sarìa ca’ io ti dicissi: “Anni, tappiti i’ ricchi accussì vaddu si ti pozzu ciauriari”.
– E chista sarìa ‘na babbarìa babbarìa babbarìa… babbarìa?
– Ca cettu! Chista sarìa ‘na babbarìa babbarìa babbarìa babbarìa… babbarìa… ma babbarìa propria!
– Matritta, sugnu accussì babba ca’ ‘un sapìa mancu chi voli diri essiri babbi!

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