Al via la stagione lirico-sinfonica 2014 del Teatro Comunale “A. Rendano” di Cosenza, inaugurata il 21 novembre con Il barbiere di Siviglia di G. Rossini. Il melodramma buffo in due atti del grande pesarese ritrova vita in versione scenica minimalista e double face, su doppio canale temporale: la lunga e centrale parentesi dell’epoca tradizionale è incastonata tra due brevissime sezioni ambientate in tempi molto più recenti. Durante la sinfonia di apertura, un barbiere viene derubato dell’incasso da due malandrini; avvilito, prende sonno sulla poltrona del salone e introduce il sogno dell’opera. In veste di sonnambulo passeggerà durante “Freddo ed immobile come una statua” e tornerà inscenando il risveglio e salutando i personaggi sulle note del finale “Amore e fede eterna si vegga in voi regnar”.
La regia di Rosetta Cucchi – animata dalle scene di Leonardo laboratorio costruzioni – si presenta come un insieme di pagine dal sapore comico sicuramente gradito al pubblico: pagine, tuttavia, scollate dalla loro copertina e che rendono poco omogeneo il filo narrativo operistico. Un telo in forma semicircolare costituisce la piazza di Siviglia e una serie di sagome su piedistallo, dietro il telo, producono – tramite un continuo e colorato gioco di luci – le ombre di case, palazzi e affini. Le componenti scenografiche vengono tutte calate dall’alto: sagome di porte, portoni, portoncini e la finestra, tutto in versione manna dal cielo. Per agevolare i cambi scena, una troupe di dieci comparse (numericamente eccessive a mio parere) trasferisce i piccoli-medi oggetti (sedie, sagome di grandi strumenti musicali ecc.) da dentro a fuori e viceversa. I barbierini-comparse conducono sul palco anche Rosina, trascinando una scala in ferro bianca, in cima alla quale il soprano è rimasto – come in castigo dietro la finestra penzolante e ad altezza 3,5 m circa – in attesa della romantica serenata cantata e suonata dal vivo alla chitarra dall’amato Lindoro.
L’interno della casa, invece, assume, in questo contesto minimalista, l’aspetto di una grande cabina armadio: tredici sedie, con sopra adagiati abiti della pupilla di casa Rosina; don Bartolo e Almaviva-soldato tenteranno di tirarsi addosso le stesse sedie alla fine del primo atto. Di seguito alcuni particolari della rappresentazione scenica: i suonatori che vengono ripagati, dopo la serenata – secondo perfetto stile odierno in campo artistico e non solo – con un bel fogliettone con su scritto “grazie mille”; il barbiere che esordisce con il suo “La ran la lera, La ran la là” seduto sulla poltrona, coperto da un lenzuolo da capo a piedi e ancora in dormiveglia; Berta che si presenta come una vecchia governante sbandata con un festival di nastri sulla testa – come fossero becchi d’oca – e la sigaretta in bocca perennemente accesa; don Bartolo con un piede fasciato e che, con le cuffie alle orecchie, si abbandona a movenze in stile Saturday night ferver canticchiando il Dadaùmpa delle gemelle Kessler; non sono mancati finti e sonori ceffoni, piedi calpestati, colpi “bassi” e le conseguenti buffe reazioni.
Colori vivaci e accesi sia per le luci che per i costumi. La comicità auspicata e la bravura attoriale degli interpreti hanno suscitato ilarità e risate ma i pezzi di questo puzzle – indubbiamente divertenti – sono rimasti tasselli da assemblare.
La direzione di Luca Ferrara è risultata tendenzialmente scoordinata nei tempi e nelle dinamiche ed il colore orchestrale, per la maggiore, sbiadito e sottotono: rallentati improvvisi e talvolta volumi eccessivi hanno compromesso parte dell’opera; tra i momenti più aderenti allo spirito rossiniano spicca la cavatina “Largo al factotum”.
Francisco Brito, tenore argentino, è stato un Lindoro/Almaviva dai travestimenti poco efficaci soprattutto a livello vocale; a volte impreciso e molto più spigliato scenicamente verso il finale.
Bravo Costantino Finucci come don Basilio: gentile la sua “calunnia” e vincente la complice accoppiata comica con don Bartolo. La Rosina, Chiara Amarù, ha dato sfoggio di buone qualità vocali: ottime le agilità, lo spirito e il carattere del personaggio. Giorgio Caoduro è un Figaro “che funziona”: interprete di carattere, espressivo, dinamico e dai buoni volumi. Un grande don Bartolo quello di Paolo Bordogna: ottimo dominio del palcoscenico e molto preciso e agile vocalmente. Sul palco anche due cosentini: Sarah Baratta che ha bene interpretato Berta e Michele Bruno, poco convincente come Fiorello. Preciso e puntuale il Coro lirico “F. Cilea” diretto dal M° Bruno Tirotta: simpaticamente partecipe ed estremamente curato sia negli interventi corali esterni che interni.
La stagione del “Rendano” si concluderà con un Concerto di Capodanno in data 2 Gennaio 2015 ma prevede un altro appuntamento operistico il 19 e il 21 dicembre con Madama Butterfly di Giacomo Puccini.
Marta Cutugno
L’ha ribloggato su Gianluca D'Andrea.