Il lavoro al tempo del Jobs Act. Nell’epoca del precariato, delle spinte individualistiche, della tendenza a eliminare ogni spirito comunitario e a fare prevalere gli impulsi egoistici, il cinema dei fratelli Dardenne rappresenta un antidoto al clima dominante. Palma d’oro a Cannes per Rosetta e L’enfant – Una storia d’amore, Jean-Pierre e Luc Dardenne fanno del rigore espressivo e dell’asciuttezza narrativa, sul piano del linguaggio filmico, la loro cifra stilistica. Le peculiarità dell’assenza di colonna sonora (tranne qualche canzone intradiegetica) e di una macchina da presa che “pedina” i personaggi, e ne segue il percorso con estrema verità, caratterizzano anche il convincente Due giorni, una notte. La protagonista, Sandra – una Marion Cotillard dolente e perfetta, in ogni sfumatura interiore, tra fragilità e progressiva presa di coscienza del proprio valore – è proiettata in uno scenario europeo estremo, apocalittico e realistico al tempo stesso, senza sindacati e senza diritti, dove la lavoratrice di un’azienda deve convincere i suoi colleghi a rinunciare a un bonus di mille euro ciascuno in cambio della salvezza del suo posto di lavoro. Il racconto coinvolge nel profondo e appassiona, con una rara finezza introspettiva nell’interpretazione, nella sceneggiatura e nella regia. Il riferimento continuo alla tendenza depressiva e all’uso dei farmaci, la delicata figura del marito di Sandra (Fabrizio Rongione), la precisione antropologica delle figure che si alternano e il quadro sociale e familiare risultano tutti punti di forza di un film da ricordare. Prezioso come ogni tassello cinematografico dei Dardenne.
Marco Olivieri
L’articolo è stato pubblicato sul settimanale Centonove, rubrica “Nuove Visioni”, del 18 dicembre 2014.
L’ha ribloggato su Gianluca D'Andrea.