Sole e sangue. Mare, madri, figli, monti. È la Sicilia. È lei. Ed è di lei che Luciano Armeli Iapichino racconta. Di lei narra, per lei desidererebbe riscatto e affermazione di identità, o forse solo pacifica normalità. L’autore – laureato in Filosofia presso l’Università degli Studi di Messina, docente di Lettere e vicepreside, nato, cresciuto e residente a Galati Mamertino (Me) – ha pubblicato nel 2009 “Il Tiranno e l’Ignoranza” (Premio Internazionale Artistico Elio Vittorini), nel 2011 “Le Vene violate. Dialogo con l’urologo siciliano ucciso non solo dalla mafia” e nel Maggio 2014 “L’uomo di Al Capone. Tony Lombardo: dall’indigenza siciliana a “zar” del crimine della Chicago anni ’20”. Sullo sfondo delle sue tre fatiche – tutte pubblicate da Armenio Editore – c’è sempre l’amata e amante Sicilia, con i suoi onori e i suoi tormenti.
“Il Tiranno e l’Ignoranza” è l’oscura analisi di un piccolo nucleo di viventi, Deertown – letteralmente “Città dei cervi”: il riferimento – chiaro e palese ma inevitabilmente destinato ad estendersi ampiamente a realtà vicine e lontane – è alle comunità dei Nebrodi. Da subito, il testo è apparso eccessivamente “critico”: in verità, l’autore lo ha concepito – lui stesso afferma – come “un atto d’amore, lo stimolo e l’ augurio di rinascita per un popolo nel tentativo di venir fuori dalle acque ristagnanti del baratro culturale”.
Il protagonista è il prof. John W. Mc-Allyster: “idealista di intelligenza straordinaria”, “disadattato per eccellenza” e abitante di Deertown, una delle molte città, un luogo in cui “il disordine è l’ordinario, l’anormale è il normale, l’impressionante non spaventa e l’inumano è trattato con i guanti dell’indifferenza”. In prima istanza, il lettore intravede in Mc-Allyster l’autore stesso ma, proseguendo nella lettura, avrà modo di appurare quanto il professore rappresenti tutta la grande schiera dei “disadattati”.
Nelle iniziali note al lettore, Armeli scrive : “Questo libro è un’ibridazione letteraria: saggio, invettiva, velato romanzo. Il filo conduttore è sempre lo stesso: un uomo illuminato che quotidianamente lotta, nel tentativo di comunicare con uomini mediocri che hanno da tempo rinunciato ad essere cittadini, per diventare sudditi di un tiranno autocratico. È il tema ricorrente della solitudine dell’intelletto di ogni tempo tanto umanista quanto scienziato”.
Mattoni sul cuore e ostacoli all’anima sono il Tiranno e l’Ignoranza: oppressore e oppresso, padrone e schiavo nel fiume della vita che scorre mentre il disadattato resta lì a guardare, vinto dall’impotenza e dalle sue mani legate.
“Le società ideali teorizzate, le utopie faticosamente tradotte in pagine emotive e illuminanti, sono state inghiottite, annientate e mortificate da quel mostro malefico che ha conquistato spazio e tempo e che regna sovrano, forte e indisturbato senza paure e timori: l’Ignoranza. (…) Il vuoto esistenziale, i modelli comportamentali che oggi serpeggiano nelle nostre società, le dinamiche relazionali fondate sulla frustrazione e sui complessi di inferiorità inconsciamente capovolti in quelli di superiorità, il giudizio sempre tempestivo su tutto e su tutti, sintomatico di un odio profondo ed inconscio per la propria esistenza, gli pseudo-moralismi costruiti ad arte da chi conosceva debolezza intellettiva e il bisogno delle masse ma disconosce la riflessione, la sensibilità, la ricchezza della cultura e il percorso della tragedia umana, alimentando conformismo e bigottismo, sono, nel III Millennio, le risorse indistruttibili con cui il Tiranno alimenta la sua malvagità e garantisce un sistema di modelli e disvalori inespugnabile”.
Nel 2011 Luciano Armeli giunge alla stesura de “Le vene violate. Dialogo con l’urologo siciliano ucciso non solo dalla mafia”. Stupito, rapito, sconvolto da quei fatti, dalle dicerie, dalle ipotesi e con desiderio di sapere e di capire, Luciano – così come lui stesso racconta nel libro – si reca sulla tomba dell’urologo Attilio Manca. Lo sente subito amico, fratello, pur non avendolo mai ne visto né conosciuto personalmente.
“Un’ascesa poco irta in un luogo di silenzio, di culto. Un cimitero per l’appunto. Percorro lentamente, agitato e confuso, un breve tratto poco in ombra per l’assenza di cipressi. Una strana dimensione temporale e spirituale mi travaglia. Il cuore galoppa e si ferma davanti all’umile rifugio: la tomba di Attilio Manca. La tua tomba, dottore!
Uniforme, piuttosto simile alle altre. Funzionale al ruolo per cui è stata eretta: il riposo eterno di un uomo e il dolore dei suoi cari. Nessun epitaffio ad elogiare la grandezza dell’estinto, né fiori appariscenti. In verità, la solenne presenza di una sola parola “Urologo” forse più a volere testimoniare, esaltandolo, il tuo impegno professionale e civile, la cagione della tua giovane vita spezzata.
Una sola parola che dice tanto. Dice tutto.
Mi dispiace giovane urologo, ma nessuna preghiera al momento riesco a formulare per te. L’affanno dell’animo è tale da ibernare ogni mio atto fisico e mentale. Solo un brillio degli occhi parla, mentre lo sconforto tutto travolge. Una manciata di minuti, forse anche meno e l’impellenza di allontanarmi dall’urna comincia prepotentemente a strattonarmi.
Eppure Attilio Manca, non ti ho mai conosciuto …”
Da lì lo slancio, il desiderio di celebrare quella “vita”: spesso, chi scrive di morti ammazzati o “fatti suicidare” tenta di ricostruirne gli ultimi tasselli. In una delle due prefazioni al testo, Sonia Alfano – Presidente dell’Associazione Nazionale Familiari Vittime di Mafia – scrive “Non è la classica ricostruzione del caso giudiziario ma una introspezione psicologica senza precedenti. In genere quando si parla di una vittima di mafia si racconta il post mortem: le indagini, le fasi processuali. In questo caso invece ci si sofferma sulle varie fasi della sua vita, in un turbinio di dettagli che potrebbero sembrare insignificanti e invece segnano una traccia nell’animo del lettore”.
Armeli avverte, infatti, la necessità di partire dal principio, assemblando e raccogliendo informazioni in ogni dove per tracciare la personalità e il carattere del giovane urologo attorno alla cui morte si aggrappano troppe incongruenze. Un medico “colpevole” così come afferma Nichi Vendola nella sua prefazione: “La sua unica colpa, forse è stata quella di essere un luminare di urologia, una “eccellenza” di questo nostro Paese malato… Abbiamo bisogno di onorare Attilio Manca”.
Una scrittura concreta, diretta e allo stesso tempo romanzata; carica di emotività nel vortice delle dettagliate indicazioni che emergono dal racconto. Un gioco di ombre e luci che scandiscono il tempo della quiete per Attilio e i tempi della giustizia per chi resta. Nella prima parte del testo, Armeli narra rivolgendosi direttamente al dott. Manca. La seconda parte, invece, è di originale struttura: le pagine pari sono la celebrazione della vita di Attilio mentre quelle dispari cantano lo strazio della sua morte: ed è Attilio stesso a parlare, raccontare e rivivere ogni istante di vita e di morte. Un testo che commuove, che dipinge un infame quadro nella cornice immortale composta dal coraggio e l’amorosa perseveranza nella ricerca della verità da parte della famiglia Manca: Mamma Angela, Papà Gino e Gianluca, l’amato fratello che dice “Ho fiducia che venga resa nota la verità di Attilio per le persone che lo hanno conosciuto: questo perché lo devo a mio fratello! Perché, così come lui ha lottato e resistito nel non morire, io e i miei genitori abbiamo il dovere di resistere affinché venga scoperta la verità sulla morte di Attilio”.
Più recente la pubblicazione de “L’uomo di Al Capone. Tony Lombardo: dall’indigenza siciliana a “zar” del crimine della Chicago anni ’20”. La storia di Antonino, un bambino di Galati Mamertino, buono, pacifico, educato che era solito trascorrere le sue giornate insieme alla madre aiutandola in campagna. Una vita contadina e di duro lavoro farcita del sogno americano che determinò il fenomeno della massiccia emigrazione verso gli States.
“Una vera emorragia popolare, caratterizzata da viaggi della speranza che colpirà anche la famiglia galatese dei Lombardo: Giuseppe è il primo ad avventurarsi nel nuovo continente; Antonino lo seguirà qualche anno dopo, nel 1906, a diciassette anni”.
Anche la sorella Nunzia aveva già compiuto nel 1900 “il grande passo transoceanico a bordo della Princess Irene ritagliandosi anch’essa una piccolissima parte nel copione reale dell’emigrazione di inizio secolo”. La pericolosa scalata di Antonino divenuto Tony parte proprio dallo sbarco in America: da sprovveduto e spaesato ragazzo giunto con soli 12 dollari in tasca a droghiere all’ingrosso -nel commercio di formaggi e come broker di zucchero -nella Little Italy, per diventare poi braccio destro, amico, consigliere, sostituto, non “un uomo” ma “l’uomo” di Al Capone. Uno scritto che scorre alla lettura inesorabile come vento, intriso di informazioni e aneddoti raccolti con precisione tramite documenti storici e testimonianze orali.
Senza proseguire oltre per non precludere al lettore il piacere della personale scoperta di questi testi, dalla scrittura di Luciano Armeli Iapichino emerge non soltanto sensibilità ed empatia riguardo agli avvenimenti ma anche onestà intellettuale e coraggio d’ autore e di uomo. Il suo scrivere – sempre pregno di chiare opinioni e manifesto del pensiero senza intermediari – viaggia dal racconto alla denuncia, dal romanzo alla cronaca. Prossima imminente pubblicazione sarà “Nino Ferraù, un intellettuale. La sua anima. Il suo tempo”.
Marta Cutugno
L’ha ribloggato su natalia castaldi [esilio e desnacimiento].