di Giulio Maffii
Cinquantaseicozze (Italic 2015) è un’opera che soddisfa il palato dei lettori. Non tragga in inganno il titolo culinario che riporta alla mente il gusto fine del mitile. Qui le cozze sono spesso indigeste, alcune ancora chiuse. La lettura si espone a punti di vista diversi e ci dobbiamo spesso spostare su colui che le sta virtualmente mangiando. Corsi offre dei luoghi geografici ben precisi dove sviluppa la sua narrazione poetica, perchè di narrazione si tratta, offrendo un’architettura delineata e coinvolgente. Luoghi fisici, Firenze e la Versilia, luoghi di appartenenza psichica e formativa come la famiglia che resta un substrato che accompagna le agrodolci considerazioni dell’io narrante. La biografia, presente costantemente, riesce a disincarnare un Io privato e trasporlo in una identita’ collettiva. La scrittura presenta toni e registri che variano, tenuti insieme da una polimetria eccellente con cui, pur presenti alcuni addensamenti non sempre scorrevoli, induce il lettore ad una soglia di attenzione elevata e per questo partecipe. Si cercano sempre echi all’interno di un lavoro poetico, ma qui mi sento di dire che c’è presente Corsi, autorevole, maturo, ironico, colto, in alcuni momenti gnomico e riflessivo. La riflessione sulle condizioni di precario dell’umanità lo porta ad affermare che
“Per fortuna ho compreso la regola del vivere accentando la piccola morte quotidiana, lo spegnersi del nervo….”.
Non rassegnazione ma una lucida consapevolezza insita nell’ingerire tutte le cozze: “perchè subito dopo arriva il conto”.
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Tra una poesia e l’altra il vero scarto è quanto vuoi nasconderti
e l’imminenza dello schianto rende allergici alle maschere di gioventù.
Mi scuserà dunque la societas scriptorum in cerca di lemmi desueti
(tanto, colpatuacolpamia, non m’ha mai filato manco di striscio)
mentre forse saranno rinfrancati visitatori occasionali,
quelli del parla chiaro o non capisco. Non ho più voglia di piatti elaborati, ____________________________________________________________________ da pottaióne,
d’immagini alte che poi son già state scritte o comunque verranno
rubate pari pari da qualcuno con più follower; la retrovia, l’humus,
l’impepata di cozze mi va bene, la mettono cara ma ugualmente
spira forte il senso del rustico, quell’ignobile cui non si sfugge;
esce il senso del brutto ma buono, del resto l’avvenenza non fu data
e il dorso delle mani si screpola, invecchi e non sarai mai premier;
addio al sospirato incontro con la bellezza fulminante
cui non si può reggere se non per episodi come insegna il grande poeta;
addio alla ricerca sulla parola, retaggio di tempi
in cui Ebe t’illude che qualcuno si sforzi d’ascoltare.
Chi poi ti torturava è fuggito nella grande amnistia della vecchiaia.
Tanto vale affogare il pennino in sughi prosaici: la mente s’inebria
del carico d’aglio che pialla le altezze, si sente libera
dall’onorabilità laccio al collo del dire;
prorompono cose importanti à la recherche della scaturigine,
della frattura dell’autostima, epistrofeo d’ogni voglia di vivere.
Al primo assaggio tutto sembra squisito e, se il mondo lo devi consumare in _____________________________________________________________________________ fretta,
qui hai il diritto di ruminare a lungo, paghi alla fine, nessuno ti corre dietro.
L’ha ribloggato su RIDONDANZE.
L’ha ribloggato su Roberto R. Corsie ha commentato:
ieri pomeriggio, graditissima, è arrivata la recensione di Giulio Maffii sul portale carteggiletterari. Ringrazio Giulio, Natalia e tutta la redazione!