Ad agosto Carteggi Letterari si prende una pausa e sospende la programmazione ordinaria. Riproporremo post apparsi nel primo anno di attività. Laura Di Corcia intervista Antonio Rezza e Flavia Mastrella (pubblicato il 3 dicembre 2014).
(a cura di Laura Di Corcia)
I loro spettacoli sono frutto di un lavoro a due fasi. Prima lei elabora gli habitat, scenografie o tele ogni volte diverse, ispirate all’arte contemporanea. Poi lui, li abita, appunto, instaurando con loro un rapporto che gli permette di mettere in scena parti di sé, brandelli. La coppia Flavia Mastrella-Antonio Rezza (approdato anche sul piccolo schermo, con i cortometraggi trasmessi durante il Pippo Chennedy Show) è una delle più promettenti del teatro contemporaneo italiano: il loro linguaggio, graffiante, contro gli sterotipi, si trasforma sul palco in un turbine di energia e ironia che spacca la quarta parete. Si tratta di veri e propri riti sciamanici, come l’ultimo, “Fratto_X”, una riflessione sul tema dell’identità.
Antonio, che ne dici della definizione di provocatore?
No, non mi sento un provocatore. Il provocatore fa le cose e si attende una reazione. Il lavoro che facciamo io e Flavia, invece, riguarda l’arte contemporanea. Poi ognuno reagisce come vuole: c’è chi si sente provocato, chi si sente elettrizzato.
Ma rispetto alla società come ti poni?
Io non credo nella società. Credo nella libertà di espressione, nella libidine creativa: io e Flavia abbiamo altri riferimenti. Non veicoliamo nessun messaggio. La nostra è energia, è ritmo allo stato puro che muove le persone sulle poltrone. È un fremito.
Niente impegno civile, quindi?
No, lo detesto. L’artista che lavora così non lo fa in modo disinteressato.
Quindi secondo te l’arte non ha nessuna possibilità di agire sulla realtà?
Non dico questo, ma non credo che si possa prevedere il risultato, quello che si muoverà nello spettatore.
Tu ti definisci un performer. Che differenza c’è rispetto al classico attore?
L’attore serve il suo personaggio, gli fa un po’ da maggiordomo. Io non posso immedesimarmi in quello che faccio. E quello che faccio non è legato a stati d’animo, ma a patologie schizofreniche. Non ci si può immedesimare nella schizofrenia, perché non sapresti in quale parte immedesimarti.
Passiamo a te, Flavia: a chi ti ispiri per realizzare i tuoi lavori?
Beh, le citazioni sono infinite. È soprattutto dal campo dell’arte visiva e della comunicazione che attingo a piene mani per creare i miei habitat. Posso citare Fontana, per esempio. Ma anche Burri e Fluxus.
Che rapporto c’è fra queste tele e la quarta parete?
Posso dirti che sono la mia quarta parete. Sono lavori che realizzo lungo il corso di due, tre anni. Per esempio, per quest’ultimo spettacolo ho iniziato tre anni fa a fotografare le scie luminose sulle autostrade, i tunnel. E sono nate queste “x”, che simboleggiano un divieto. Antonio semplicemente le abita; per questo i suoi spettacoli sono freschi.