Chi sono ”I costruttori di vulcani” ? I poeti, i versi, gli esseri umani? E che senso ha costruire vulcani: un afflato eroico, un delirio cosmogonico, una sindrome da dr. Stranamore? Nell’ottimo e pregevole peritesto del libro di Carlo Bordini (I costruttori di vulcani-Tutte le poesie 1975-2010, luca sossella editore, ristampato nel dicembre 2014) c’è soltanto un rimando alla coesistenza di indifferenza e fuoco e ad Empedocle (nell’introibo di Roversi) e tuttavia, per citare l’autore, ..il titolo è sempre necessario e tanto più, sembrerebbe, questo, con la sua carica allegorica e ambivalenza ossimorica. Conviene quindi rivolgersi al testo, a questo lungo poema (un “fiume” per Roversi) travestito da summa riepilogativa per cercare il senso della freccia direzionale.
Un primo indizio è, indubbiamente, Efesto, l’attempato fabbro, claudicante come il ritmo della scrittura di Bordini, “zoppo” (“poesia zoppa” del resto si intitola uno dei testi) e incisivo al tempo stesso, rallentato e potente. Ne è testimone l’esibito ricorso in tutta l’opera (si vedano tra l’altro le sottosezioni “Varianti sui becchini”, “Varianti di una poesia” e le due versioni del poemetto “Polvere”) alle variazioni-varianti, persino minimali, che si rinvengono in funzione quasi di anafora anche all’interno delle singole poesie. E’ un tornare sui passi, un circolare intorno al cono, a controllare la lava: un labor limae, la ricerca di una precisione che dia conto del proprio percorso euristico (come due strade che si allontanino in modo impercettibile, ma che poi, dopo diversi chilometri, conducano in due posti completamente diversi,pag. 192), e il rinvio a un’arcaica pulsione al “ritornello” quale strumento cognitivo e mantra rassicurante di deleuziana memoria. A livello formale, una tale scelta delinea un fraseggio sonoro che, su un basso continuo di sottofondo, intrama tutta la versificazione, con un andamento jazzistico, a coprire lunghe sequenze poematiche (cfr il lungo flusso di onirica autocoscienza di “Pericolo”) e lampi quasi aforistici, questi ultimi, ad esempio, prevalenti nella sezione “Mangiare”, dove l’allegoria uomini-topi in una cornice alla homo necans si condensa in distici e uni-versi folgoranti.
Un ulteriore indizio è Prometeo con la sua tensione titanica e lo stoicismo eroico (Hale: Le scintille del fuoco sono più belle/della cometa.). Il “Poema a Trotsky” nella sua dimensione autobiografica diventa così quasi una parabola della ragione sconfitta e della fascinazione del perdente (.. Soggiacqui/al fascino di/ Trotsky”,/uomo perdente..(…) Un guerriero / che sa morire), mentre la figura degli eroi ricorre con una lucida ambivalenza nella poesia dall’omonimo titolo ( bestie infette../..da non avvicinare per contrarre simile sprezzo di sé,) e s’intravede in alcune delle poesie dedicate al “Corteo” (pag. 177), dove quest’ultimo si scioglie …nella solitudine,/piangendo,/con una lieve zoppìa, nel buio già della sera,/perché la dignità si vede/quando non ci sono spettatori.
L’evocato millenarismo, la pietas rinnegata e tuttavia sempre sottesa (si veda ad esempio, oltre “La pietà”, la splendida “Animali”) giocano, come in ogni moralista, un ruolo celato ma essenziale nella scrittura di Bordini, capace di una cruda ironia e di una profonda e secca condivisione della catastrofe della Storia. Se è da escludere una qualsivoglia parentela con la poesia cosiddetta civile, se non per uno sguardo di oggettiva indignazione circa l’uso del fuoco da parte degli umani (violenza crea violenza/disse il macellaio), tracce di un epos “generazionale” segnano l’inizio e la fine dei costruttori (noi vi dobbiamo sembrare una strana categoria/un po’ folle e nebulosa) mentre una sorta di cosmogonia di ceneri e lapilli anima entrambe le versioni del poemetto “Polvere”. L’indubbia tensione saggistica e narrativa rilevata da Pontorno nella introduzione all’opera si avvale anche di tecniche di cut-up, di collages, che peraltro più che a esperienze della avanguardie vecchie e nuove sembrano collocarsi nella griglia delle interpolazioni, del montaggio documentale proprio del lavoro di storico di Bordini. Si pensi, ad esempio, alla sezione delle “Trascrizioni”, costruite come indica l’autore “montando testi di giornali dell’Ottocento e di riformisti settecenteschi” o a “Epidemia”, cronaca orwelliana dove i capi vittima della “mucca pazza” degli articoli giornalistici diventano “schiavi”.
La capacità di indagine tipica della scrittura di Bordini dà conto del terzo indizio richiamato da Roversi: Empedocle, gettatosi, secondo alcune versioni biografiche, nel fuoco del cratere dell’Etna, o anche, a voler tener conto di figure più storicamente delineate, Plinio il Vecchio. Si tratta di un’attitudine “scientifica” che giunge ad abolire il confine tra osservatore e osservato, facendo del sé un’ulteriore materia – lavica, appunto – di studio, e di allucinazione. La tematica onirica, nelle forme dei sogni e spesso degli incubi, solca tutto il poema, delineando una sorta di sonnambulismo, quando non di vera e propria trance, che consentono da un lato di approfondire un “io” – avvertito come ingombrante (Io mi odio al punto, /che odio chi mi ama) – anche nei suoi aspetti più compulsivi (cfr le sequenze di “Strategia” e “Sondaggio” sulla passione amorosa, modulate la prima in chiave ironica, la seconda in termini di crescente ossessione), dall’altro di visualizzare in ottica surreale un’esperienza che cessa di essere propria per diventare un autonomo e sconcertante flusso, mentale e materico nel contempo.
A comprova di elementi parasurrealisti (Paolo Febbraro ha scritto di “razionalismo onirico” e Filippo La Porta di “dormiveglia vigile”) vi è sia una riconosciuta influenza di Apollinaire, sia l’esplicito omaggio a Magritte nella omonima poesia, ma soprattutto la dichiarazione di poetica contenuta ne “La poesia, l’unica che dica la verità”: Io non creo, ma sono creato. Non scrivo, ma sono scritto. In tal senso, la scrittura poetica per Bordini si conferma uno strumento cognitivo (Non si scrive quello che si sa, ma lo si sa dopo averlo scritto), un percorso per arrivare a dire, appunto, la “verità”, riconducendone la pregnanza – quindi – a un terreno gnoseologico ed etico.
Convergono nella lucidità della scrittura di Bordini una miriade di linee di forza/debolezza da far tremare i polsi, rendendo “I costruttori” di una polifonia unica; di qui le difficoltà di inquadramento e, nel contempo, la sua distanza da modelli, canonici e non, della poesia italiana contemporanea, una distanza peraltro che sembra, sottotraccia, coltivata. Taluni accostamenti, da quelli di una “poesia narrativa post-pasoliniana” (Di Consoli) a quelli di “loose writing” (Giovenale), come anche quelli che puntano sulla sua valenza “saggistica” e “moralista” (Pontorno), sono indubbi marcatori di una scrittura in versi di ricerca, che scava, più che sul versante formale, nella dimensione antropologica del mondo, facendosi largo con ironico nonché – consapevolmente – inutile sforzo, nel magma dell’umano, attraverso un corso irruente e scorrevole, rallentato e frenetico, come accade a chi viaggi al centro della terra.
L’ha ribloggato su Gianluca D'Andrea.
Lo scaravento immediatamente sulla mia pagina facebucche.
Un grazie a Carlo e Viola .
leopoldo –
Gentile Viola Amarelli, ottimo articolo. Tuttavia, la definizione di “razionalismo onirico” riferita a Carlo è mia, e non della cara e quasi omonima Paola Febbraro.
Un saluto cordiale, Paolo Febbraro
sorry, realmente un lapsus calami, ora corretto; grazie di avermelo segnalato e grazie ovviamente dell’apprezzamento