di Cinzia Accetta
L’inVerso fotografico di oggi mette a confronto l’opera di due donne impegnate nella ricerca personale di un proprio linguaggio, scandagliando la propria capacità di fare da lente al mondo e restituirne una personale visione critica e disincantata.
“Quando ero agli inizi, tutto era una fonte d’ispirazione. Era divertente guardare attraverso una macchina fotografica e fotografare qualsiasi cosa. Ora che l’arte è diventata la mia professione sento che le mie immagini sono ispirate da desideri molto specifici. In particolare, sono alla ricerca di una sensazione particolare che non riesco a descrivere completamente, che mi fa sentire come se fossi collegata con le parti più pure e selvagge di me stessa”.
Miranda Lehman
La rappresentazione dell’uomo, privato della componente edonistica e narcisistica, è una costante della fotografa americana Miranda Lehman. I suoi ritratti sono di spalle o celano gran parte del soggetto. La natura si mescola con l’artificio e l’uomo è inserito come “addobbo” o elemento estraneo. Il risultato è una sorta di scambio tra questi due mondi dove i corpi esanimi delle persone ritratte denunciano una relazione dolorosa con natura circostante. Le sue immagini, rigorosamente scattate in pellicola, dipingono paesaggi emotivi intriganti, un’opera suggestiva che riflette sulla sostanza della realtà.
La catastrofe genera invenzioni
(Margaret Atwood)
La poetessa canadese Margaret Atwood – suggerisce Barry Callagan – conosce la paura, sa delle cose che strisciando ti avviluppano il cuore come un sudario di muffa sul pane. Sa di come hai giocato all’assassinio nell’oscurità, e di come, dopo un bicchiere o due di vino, una volta impiccasti qualcuno per i suoi occhi azzurri. Conosce la storia di tua madre violata da un cigno (la cameriera nella foto di famiglia ha un fumetto invisibile sopra la testa. Sgualdrina.) Sa di quando calpestasti con forza la pietra nella landa e, vedendo la gamba affondare fino al ginocchio, esclamasti: “Un momento. Questa mi appartiene” e solo una ragazza senza mani si protese per consolarti. Lei sa cosa vuol dire fare questi giochi con te… Ma viene l’ora in cui la vita si piega in due su se stessa. Il diniego temuto che balza fuori e ti accerchia nella Casa dei Divertimenti all’improvviso sembra poco più che terrore sui trampoli. Avviene qualcosa che, con un tonfo sordo, ti arresta il cuore. Il tempo in cui hai iniziato sta per finire. Tuo padre non è più un uomo anziano, è un uomo che muore. Anche se vi sono lacrime, se i sogni disorientati e la mano di qualcun altro esce dalla manica del suo cappotto di tweed, non c’è tuttavia offuscamento alcuno. Non vi è duplicità. Non vi sono illusioni ottiche, nè note per una poesia che non sarà mai scritta. No, niente di tutto questo. Nel dolore, l’amore è trasparente, e così, trasparente è il tuo verso. Il dolore non ha passato nè futuro, non c’è spazio nel dolore per giochi di prestigio. Con una sola parola sussurri il mondo intero: Mi piaci come il sale.
Questa è una mia fotografia
da Giochi di specchi
È stata scattata qualche tempo fa.
A prima vista sembra
una copia
sciupata: contorni sfocati e chiazze grige
fuse nella carta:
poi se la esamini,
vedi nell’angolo a sinistra
qualcosa come un ramo: parte di un albero
(balsamina o abete) che affiora
e a destra, a metà di
quello che appare un dolce
declivio, una piccola casa di legno.
Sullo sfondo vi è un lago,
e oltre questo, basse colline.
(la foto è stata scattata
il giorno dopo che annegai.
Io sono nel lago, al centro
dell’immagine, appena sotto la superficie.
E’ difficile dire dove
con precisione, o dire
quanto grande o piccola io sia:
l’effetto dell’acqua
sulla luce inganna
ma se guardi abbastanza a lungo,
alla fine riuscirai a vedermi).
This Is a Photograph of Me
It was taken some time ago.
At first it seems to be
a smeared
print: blurred lines and grey flecks
blended with the paper;
then, as you scan
it, you see in the left-hand corner
a thing that is like a branch: part of a tree
(balsam or spruce) emerging
and, to the right, halfway up
what ought to be a gentle
slope, a small frame house:
In the background there is a lake,
and beyond that, some low hills.
(The photopraph was taken
the day after I drowned.
I am in the lake, in the center
of the picture, just under the surface.
It is difficult to say where
precisely, or to say
how large or small I am:
the effect of water
on light is a distorsion
but if you look long enough,
eventually
you will be able to see me).
*
Su
Ti svegli col terrore
Senza un vero motivo.
La luce del mattino filtra dalla finestra,
con i cinguettio degli uccelli
non riesci a scendere dal letto.
C’è qualcosa nelle lenzuola gualcite
che sporgono dai bordi come foglie
di giungla, le pantofole di spugna
aprono le scure fauci rosa per i tuoi piedi,
la colazione invisibile – ce n’è un pò
nel frigorifero che non ti azzardi
ad aprire – che non ti azzarderai a mangiare.
Cosa te lo impedisce? Il futuro. Il tempo futuro,
immenso come il firmamento.
Ti ci potresti perdere.
No. Non è così semplice. Il passato, la sua densità
e avvenimenti annegati che ti spingono giù,
come acqua del mare, come gelatina
che ti riempie i polmoni invece dell’aria.
Ma lascia perdere, alziamoci.
Prova a muovere il braccio.
Prova a muovere la testa.
Fa’ finta che la casa sia in fiamme
e che se non fuggi bruci.
No, non serve a nulla.
Non ha mai funzionato.
Da dove arriva, questa eco,
questo enorme No che ti circonda,
silenzioso come le pieghe delle tende gialle
muto come il vivace
vaso messicano col suo carico
di fiori mummificati?
(Li hai scelti tu i colori solari,
non i toni secchi, neutri, dell’ombra.
Dio sa se ci hai provato).
Eccone una buona:
sdraiata sul letto di morte.
Ti resta un’ora da vivere.
Chi, di preciso, hai avuto bisogno
di tutti questi anni per perdonare?
UP
You wake up filled with dread.
There seems no reason for it.
Morning light sifts through the window,
there is birdsong,
you can’t get out of bed.
It’s something about the crumpled sheets
hanging over the edge like jungle
foliage, the terry slippers gaping
their dark pink mouths for your feet,
the unseen breakfast–some of it
in the refrigerator you do not dare
to open–you will not dare to eat.
What prevents you? The future. The future tense,
immense as outer space.
You could get lost there.
No. Nothing so simple. The past, its density
and drowned events pressing you down,
like sea water, like gelatin
filling your lungs instead of air.
Forget all that and let’s get up.
Try moving your arm.
Try moving your head.
Pretend the house is on fire
and you must run or burn.
No, that one’s useless.
It’s never worked before.
Where is it coming form, this echo,
this huge No that surrounds you,
silent as the folds of the yellow
curtains, mute as the cheerful
Mexican bowl with its cargo
of mummified flowers?
(You chose the colours of the sun,
not the dried neutrals of shadow.
God knows you’ve tried.)
Now here’s a good one:
you’re lying on your deathbed.
You have one hour to live.
Who is it, exactly, you have needed
all these years to forgive?
*
Elena di Troia balla sul bancone
da Mattino nella casa bruciata
Il mio è un buon rapporto qualità-prezzo.
Come i predicatori, vendo visioni,
come la pubblicità del profumo, desiderio
o il suo facsimile. Come nelle barzellette
o in guerra, è tutta questione di tempismo.
Rivendo agli uomini i loro peggiori sospetti:
che tutto abbia un prezzo,
un pezzo per volta. Mi guardano e vedono
un massacro con la motosega appena prima che avvenga,
quando coscia, culo, macchia, fessura, tetta, e capezzolo
sono ancora uniti insieme.
Quanto odio gli batte dentro,
i miei adoratori gonfi di birra! Odio, o un ebbro
disperato amore. Vedendo la fila di teste
e occhi rovesciati, imploranti
ma pronti ad azzannarmi le caviglie,
capisco i diluvi e i terremoti, e l’impulso di pestare
le formiche. Mi muovo a ritmo,
e danzo per loro, perché
non lo sanno fare. La musica ha un odore volpino,
crepita come metallo riscaldato
e brucia le narici
o afosa come l’agosto, caliginoso e languido
come una città il giorno dopo il saccheggio,
quando lo stupro è fatto,
e la carneficina,
e i sopravvissuti vanno in giro
a cercare cibo
fra i rifiuti, e c’è solo un cupo sfinimento.
A proposito, è il sorriso
che mi estenua di più.
Il sorriso, e il far finta
di non sentirli.
Non li sento, infatti, perché dopo tutto
sono straniera per loro.
La loro parlata è ispida e gutturale,
ovvia come una fetta di spalla cotta,
ma io vengo dalla provincia degli dèi
dove i significati sono lirici e obliqui.
Io non mi svelo a tutti,
se ti avvicini all’orecchio te lo sussurro:
Mia madre fu stuprata da un sacro cigno.
Ci credi? Mi puoi portare fuori a cena.
È quello che diciamo a tutti i mariti.
Davvero, ci son tanti uccelli pericolosi in giro.
Certo che qua dentro solo tu
mi puoi capire.
Gli altri vorrebbero guardare
senza sentire nulla. Ridurmi alle componenti
come in una fabbrica di orologi o un mattatoio.
Spremere fuori il mistero.
Murarmi viva
nel mio stesso corpo.
Vorrebbero leggermi dentro,
ma non c’è niente di più opaco
della trasparenza totale.
Guarda – i miei piedi nemmeno toccano il marmo!
Come fiato o aerostato, mi sollevo,
lèvito a quindici centimetri da terra
nella mia luce di fiammeggiante uovo di cigno.
Pensi che non sia una dea?
Mettimi alla prova.
È una canzone torcia* la mia.
Se mi tocchi bruci.
I do give value.
Like preachers, I sell vision,
like perfume ads, desire
or its facsimile. Like jokes
or war, it’s all in the timing.
I sell men back their worst suspicions:
that everything’s for sale,
and piecemetal. They gaze at me and see
a chain-saw murder just before it happens,
when thigh, ass, inkblot, crevice, tit, and nipple
are still connected.
Such hatred leaps in them,
my beery worshippers! That, or a bleary
hopeless love. Seeing the rows of heads
and upturned eyes, imploring
but ready to snap at my ankles,
I understand floods and earthquakes, and the urge
to step on ants. I keep the beat,
and dance for them because
they can’t. The music smell like foxes,
crisp as heated metale
searin the nostrils
or humid as August, hazy and languorous
as a looted city the day after,
when all the rape’s been done
already, and the killing,
and the survivors wander around
looking for garbage
to eat, and there’s only a bleak exhaustion.
Speaking of which, it’s the smiling
tires me out the most.
This, and the pretence
that I can’t hear them.
And I can’t, because I am after all
a foreigner to them.
The speech here is all wartly gutturals,
obvious as a slab of ham,
but I come from the province of the gods
where meanings are lilting and oblique.
I don’t let on to everyone,
but lean close and I’ll whisper:
My mother was raped by a holy swan.
You believe that? You can take me out to dinner.
That’s what we all tell the husbands.
There’s sure are a lot of dangerous birds around.
Not that anyone here
but you would understand.
The rest of them would like to watch me
and feel nothing. Reduce me to components
as in a clock factory or abattoir.
Crush out the mystery.
Wall me up alive
in my own body.
They’d like to see through me,
but nothing is more opaque
than absolute transparency.
Look – my feet don’t hit the marble!
Like breath or balloon, I’m rising,
I hover six inches in the air
in my blazing swan-egg of light.
You think I’m not a goddess?
Try me.
This is a torch song.
Touch me and you’ll burn.
*”Torch song” è la definizione di certe canzoni melodiche sentimentali cantate in particolare da donne nei pianobar.
*
La donna che non sapeva vivere col cuore difettoso
Tratta da “Eating Fire: Selected Poetry 1965-1995”
Non dico il simbolo
d’amore, quello di zucchero
per decorar le torte,
il cuore fatto per
spezzarsi o appartenere;
dico il pezzo di muscolo
che si contrae come un bicipite scuoiato,
blu violaceo, unto,
cartilaginoso, questo isolato
eremita rintanato, nuda
tartaruga, questa boccata di sangue,
per niente invitante.
I cuori fluttuano nei loro
densi oceani di non luce,
umidoneri e baluginanti,
le quattro bocche palpitanti come pesci.
Il cuore batte, dicono:
è naturale, la lotta abituale
del cuore per non affogare.
Ma molti cuori dicono, Voglio,
Voglio, voglio. Il cuore mio
è più ambiguo, seppur
non doppio come pensai un tempo.
Lui dice, Voglio, No, non voglio,
Voglio, poi una pausa.
Mi forza ad ascoltarlo,
e poi di notte il terzo occhio
a infrarossi resta aperto
mentre gli altri due dormono
ma si rifiuta di dire cos’ha visto.
E’ un seccator costante
nelle orecchie, una falena in vetro,
un tamburo floscio,
un pugno di bambino contro
una rete a molle:
Voglio, No, non voglio.
Come si vive con un cuore tale?
Da tempo ho smesso di cantar
per lui, non sarà mai quieto o soddisfatto.
Una notte gli dirò:
Fermati, cuore,
e lo farà.
Margaret Atwood
Nata a Ottawa, Ontario, la Atwood è la seconda di tre figli, da Carl Edmund Atwood, un entomologo, e Margaret Dorothy Killiam, una exdietologa e nutrizionista. A causa delle ricerche di suo padre la giovane scrittrice trascorse molti periodi dell’infanzia nelle grandi foreste del Québec. Non frequentò la scuola a tempo pieno, fino a quando ebbe 11 anni. Ella divenne una vorace lettrice di raffinata letteratura già da bambina, con le fiabe delle fate dei fratelli Grimm, storie di origini canadesi, racconti e poesie. Ha frequentato la Leaside High School a Leaside, Toronto e ha conseguito la maturità nel 1957.
Atwood ha iniziato a scrivere a sei anni e si perfezionò nel corso di dieci anni finché non divenne la sua aspirazione. Nel 1957 ha iniziato gli studi presso la Victoria University di Toronto. Si è laureata nel 1961 con una laurea nelle arti e nella lingua inglese (con lode) e anche in filosofia e francese. Nell’autunno del 1961, dopo aver già vinto alcune medaglie per la pubblicazione delle sue prime poesie, ha iniziato gli studi presso l’Harvard’s Radcliffe College. Ha ottenuto un master nel 1962 e ha proseguito gli studi per due anni senza però completarli con una tesi su “Il romanzo metafisico inglese” nel 1967. Ha insegnato presso numerose università.
Divide il suo tempo tra Toronto e Pelee Island, Ontario. Atwood e il suo compagno, il romanziere Graeme Gibson, sono membri del Partito Verde del Canada e forti sostenitori del leader Elizabeth May, che ha Atwood denominato intrepida, onesta, affidabile e forte. Atwood ha anche forti opinioni sulle questioni ambientali.
Oltre che poetessa e scrittrice, è ricordata come prolifica critica letteraria. In carriera ha vinto un premio Arthur C. Clarke e un Premio Principe delle Asturie per la Letteratura, nonché un Booker Prize (finalista per cinque volte, vincitrice una sola), vincendo per due volte il Governor General’s Award (Premio del Governatore Generale, riconoscimento offerto dal Primo Ministro canadese). Molte delle sue poesie sono state ispirate da miti e fiabe, che sono stati uno dei suo particolari interessi fin dalla più tenera età. Ha inoltre scritto racconti pubblicati sulla rivista “Playboy”.
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Miranda Lehman è un’interessante fotografa e cineasta statunitense. Nata nel 1958 a Santa Barbara, in California, vive e lavora attualmente a Portland, in Oregon. I suoi lavori sono stati pubblicati in importanti libri e riviste quali “The Collectors Guide to Emerging Art Photography”, “Vogue” e “Fjord Photo”. Nel 2008 la sua opera è stata esposta alla biennale di Helsinki.
L’ha ribloggato su Cinzia Accettae ha commentato:
Come nelle barzellette
o in guerra, è tutta questione di tempismo.