Ed Askew
Fortunatamente il tempo ogni tanto è gentile, ed è gentile perché al mondo – nonostante le avverse evidenze – esistono ancora persone capaci di riconoscere la bellezza e la fragilità di spersi outsider che se ne fanno latori. Talvolta queste persone hanno la possibilità di intercedere appo piccole etichette indipendenti o, più semplicemente, le gestiscono. È capitato recentemente a un ristretto numero di artisti, il cui nome è andato sotto alle onde più pervicacemente vaste e superficiali della moda musicale, di restare inabissati sino a quando qualche benefattore (dell’umanità, più che del singolo artista) s’è industriato per ristampare veri e propri capolavori. “Ask the unicorn” giunge così quest’anno alla sua seconda ristampa (e prima rimasterizzazione) presso l’inglese Tin Angel Records. Questa era la premessa; ora parliamo di Ed Askew himself, che in italiano suona qualcosa come Edoardo lo storto, lo sghembo, il deforme (e non è chiaro se sia il suo vero cognome o piuttosto un nickname che egli abbia bonariamente accettato).
Ma prima diciamo qualcosa del tiple, che è uno strumento di dimensioni ridotte somigliante all’ukulele, ma più difficile da suonare. Piuttosto che quattro corde singole di nylon è concepito con le due estreme raddoppiate e le due centrali triplicate, tutte rigorosamente in metallo. Il suono che proviene dalle sue dieci corde è dunque più risonante di quello di un mandolino, cui timbricamente somiglia. Oggi è piuttosto desueto, e i vecchi esemplari cambiano mano per cifre ragguardevoli. In Colombia è considerato lo strumento nazionale.
Il tiple è il cooprotagonista di questo disco, e fa il suo lavoro senza sbavature. Ma pur nella sua meravigliosa essenza esoterica, il suo suono resterebbe muto senza le ben più essoteriche dita e ugola dell’adorabile uomo che sparge fiori tutt’attorno al suo stagionato scrigno armonico e che, a quest’unico lavoro (un secondo – “Little Eyes” – pur pronto poco dopo, ha visto la luce in ritardo di trentacinque anni), affidò le sue chances d’una carriera musicale. Ovviamente non fu: Ed visse (a New Haven e poi a New York) d’insegnamento e di pittura. Facile a dirsi anche il perché: tiple e voce soltanto, senza sovraincisioni; una voce sgraziata, sforzata (forse anche data la grande pressione che occorre per far suonare le corde dello strumento durante la registrazione live in studio dell’opera), nasale, che rivaleggia col bronzo vibratile in acutezza (simile a quella dell’altro eroe sfigo Tom Rapp dei Pearls before swine, che con Askew condivise l’etichetta – l’oggi meritatamente leggendaria ESP) e testi che dicono di un mondo freak e densamente poetico. In tale microcosmo autoriale l’omosessualità del suo autore non ha bisogno di premesse o apologie: è un dato di fatto ed è vissuta nella sua normale pienezza e piena normalità.
Possono sembrare ingenui i versi di Askew nei ‘00, mentre invocano fiori, lune, unicorni, bufali, sogni, nebbia, fiumi, oceani; sembrano imprudenti in anni in cui le collane di poesia sono state massivamente ritirate dalle librerie e ci si vergogna d’ogni poetica non funzionale al lavoro alienato; anni in cui non essere cool (d’un cool settorializzato e stereotipato) equivale a una condanna sociale.
In “Ask the unicorn” tutto è puro: l’intenzione, il suono, il dolore, la fantasia e la mitezza che strazia la scafatezza di noi post-moderni-nostro-malgrado.
Ed Askew è al timone d’un picciol vasel ligneo remigante controcorrente, pacificamente pronto a esser travolto dal mare della storia. Dai suoi perigli giungono a noi emozioni profonde, nude, crepuscolari ma allo stesso tempo strazianti contro-folate di folk minimale e acido, che reclamano un cantuccio creativo in un globo inospitale.
Immaginatele così, come sono state postate, in guisa di commento, sotto il relativo video youtube, nel canale dell’utente che lo aveva uploadato:
Fancy that, and listen to the moon in your mind
and the golden water buffalo gaze at the sun
and the tune turned in the sky and expired
out of sight, out of mind.
Fancy sounds in my head all the time
love the dance in your dream. dance in love.
love the lovers who love to dance in the sky.
and the songs that you sing to the sun turn into time.
Fancy words, forget your dreams, and give away your mind
throw away your memories, and let your spirit die.
and that is why you are dead when you love,
and the sky is a fancy dream when you die.
fancy that!
Seven fancy plastic prophets said that in time
all the people who live to love in the sun would desolve in a fire.
Fancy fire, growing higher all the time.
and seven wooden angels would come to take away my soul.
Here they come. they can have it it’s not mine.
you can take away my spirit. you can even blow my mind.
but if you do, please leave my body behind.
the seven fancy plastic prophets were absolutely blind.
all the time. and in time the prophets died
in the fire in my body, and the river in my mind.
fancy that!
Seven golden water buffalo drifted on a river,
in a mist, in a dream from the sea.
and the water of the river came to me
in the night, to my room on the moon
in the atmosphere of some lost galaxy. but i can’t see.
so i’ll pass the wine and drink the evening down.
here’s a toast to the sun, for the grass is turning brown.
fancy that!
Fancy king
wares a cradle for a crown, on his head. and all day he stays in bed.
reads murder mysteries. and listens to the music of the dead.
fancy beads. fancy dreams around his neck.
and it seems
that they sparkle when they bleed on the beautiful white beard
that dangles from his teeth.
fancy feet. fancy dress. fancy gown.
his beautiful white wings weigh him down.
fancy that!
Alessandro Calzavara
In copertina: Ask The Unicorn (front cover, Ed Askew).