(da Transformations, 1971)
Dentro molti di noi
c’è un vecchio omino
che vuole venir fuori.
Non più grande di un duenne
lo diresti una braciola d’agnello
eppure è vecchio e deforme.
La testa è okay
ma il resto non è stato forse sanforizzato?
È un mostro di disperazione.
È tutto sfacelo.
Dichiara, al minimo come un auricolare,
con la voce asessuata di Truman:
Sono il tuo nano.
Sono il nemico interiore.
Sono il padrone dei tuoi sogni.
No. Non sono la legge nella tua mente,
il nonno dell’accortezza.
Sono la legge delle tue membra,
il consanguineo di tenebra e impulso.
Guarda. La mano ti trema.
Non si tratta di paresi o sbornia.
È il tuo doppio
che cerca di venir fuori.
Fa’ attenzione… Fa’ attenzione…
C’era una volta un mugnaio
che aveva una figlia bella come l’uva.
Raccontò al re che lei sapeva
filare l’oro dalla comune paglia.
Il re la fece chiamare,
la rinchiuse in una stanza piena di paglia
e le ordinò di filarne oro,
altrimenti sarebbe morta come un criminale.
Povero acino. Nessuno a coglierla.
Dolcissima, tonda e liscia.
Poverina.
Morire senza aver visto Brooklyn.
Lei pianse,
ovvio, grosse lacrime acquamarina.
L’uscio si spalancò e un nano balzò dentro.
Era brutto come una verruca.
Piccolo, che cosa sei? Gridò lei.
Con la sua vocina senza sesso lui rispose:
sono un nano.
Mi hanno esposto in Bond Street
e nessun bimbo mi chiamerà mai papà.
Non ho vita privata.
Se mi sbronzo tutta la città lo viene a sapere a colazione
e nessun bambino mi chiamerà mai papà.
Sono alto quarantacinque centimetri
e non più grosso di una pernice.
Sono il tuo malocchio
e nessun bimbo mi chiamerà mai papà.
Piantala con questa scemenza del papà,
sbraitò lei. Sai forse filare l’oro dalla paglia?
Certamente, disse lui,
è una cosa che so fare.
Filò la paglia in oro
e lei gli diede in cambio la sua collana.
Quando il re vide ciò che aveva fatto
la ficcò in un pagliaio più grande,
di nuovo minacciandola di morte.
E di nuovo lei pianse.
E di nuovo venne il nano.
E di nuovo lui filò la paglia in oro.
Lei gli diede in cambio il suo anello.
Il re la mise in una stanza ancora più grande,
ma questa volta promise
di sposarla se fosse riuscita nell’impresa.
E di nuovo lei pianse.
E di nuovo venne il nano.
Ma non c’era più nulla che gli potesse dare.
Senza ricompensa, il nano non avrebbe filato.
Ma lui aveva fiutato l’affarone,
da vero segugio qual era.
Dammi il tuo primogenito
e io filerò.
Che idiozia! Pensò lei.
È solo uno scemotto.
E così accettò.
Lui realizzò il portento.
Tanto oro quanto a Fort Knox.
Il re la sposò
e un anno dopo
nacque un bimbo.
Era come quasi tutti i neonati,
brutto come un carciofo,
ma per la regina una perla.
Lei gli diede la sua muta lattazione,
delicata, tremante, segreta,
tiepida, ecc. ecc.
Allora il nano apparve
a reclamare il premio.
Finalmente! Sono diventato papà!
Esultò l’ometto.
Lei gli offrì tutto il suo regno
ma lui voleva solo quello −
una cosa viva
da poter dire sua.
Ed essendo mortale
come biasimarlo?
La regina pianse due secchi di acqua marina.
Fu insistente
come un Testimone di Geova,
così il nano s’impietosì.
Le disse: ti concedo
tre giorni per indovinare il mio nome
e se non ci riuscirai
mi prenderò tuo figlio.
La regina inviò dei messaggeri
in lungo e in largo per scovare
i nomi più insoliti.
Quando lui comparve il giorno seguente,
lei ci provò: Melchiorre?
Baldassarre?
Ma a ogni tentativo il nano rispondeva:
No! No! Non mi chiamo così.
Il giorno successivo riprovò:
Gambeaspillo? Zampadiragno?
Ma la risposta era sempre no, no.
Al terzo giorno il messaggero
tornò con una strana storia.
Le disse:
mentre girovagavo al margine della foresta,
nel bel mezzo del nulla,
là dove la volpe augura la buona notte alla lepre,
ho veduto una casetta con un fuocherello
acceso lì davanti.
Un ridicolo ometto saltellava
su una gamba sola attorno al fuoco, cantando:
Oggi il pane in forno,
domani farò la birra
e dopodomani l’unico figlio della regina sarà mio!
Nemmeno quelli del censimento sanno
che mi chiamo Tremotino…
La regina gioì.
Aveva il nome!
Sbuffò bollicine.
Quando il nano ritornò
lei strillò: Non è che per caso ti chiami Tremotino?
Lui imprecò: È stato il diavolo a dirtelo!
Pestò il piede destro a terra
e sprofondò fino alla vita.
Poi si squartò in due come una specie di pollastro.
Lasciò a terra i suoi due pezzi,
soffice come una donna l’uno,
un ferro uncinato l’altro.
Uno Papà,
l’altro Doppelgänger.
Inside many of us
is a small old man
who wants to get out.
No bigger than a two-year-old
whom you’d call lamb chop
yet this one is old and malformed.
His head is okay
but the rest of him wasn’t Sanforized?
He is a monster of despair.
He is all decay.
He speaks up as tiny as an earphone
with Truman’s asexual voice:
I am your dwarf.
I am the enemy within.
I am the boss of your dreams.
No. I am not the law in your mind,
the grandfather of watchfulness.
I am the law of your members,
the kindred of blackness and impulse.
See. Your hand shakes.
It is not palsy or booze.
It is your Doppelganger
trying to get out.
Beware… Beware…
There once was a miller
with a daughter as lovely as a grape.
He told the king that she could
spin gold out of common straw.
The king summoned the girl
and locked her in a room full of straw
and told her to spin it into gold
or she would die like a criminal.
Poor grape with no one to pick.
Luscious and round and sleek.
Poor thing.
To die and never see Brooklyn.
She wept,
of course, huge aquamarine tears.
The door opened and in popped a dwarf.
He was as ugly as a wart.
Little thing, what are you? she cried.
With his tiny no-sex voice he replied:
I am a dwarf.
I have been exhibited on Bond Street
and no child will ever call me Papa.
I have no private life.
If I’m in my cups the whole town knows by breakfast
and no child will ever call me Papa
I am eighteen inches high.
I am no bigger than a partridge.
I am your evil eye
and no child will ever call me Papa.
Stop this Papa foolishness,
she cried. Can you perhaps
spin straw into gold?
Yes indeed, he said,
that I can do.
He spun the straw into gold
and she gave him her necklace
as a small reward.
When the king saw what she had done
he put her in a bigger room of straw
and threatened death once more.
Again she cried.
Again the dwarf came.
Again he spun the straw into gold.
She gave him her ring
as a small reward.
The king put her in an even bigger room
but this time he promised
to marry her if she succeeded.
Again she cried.
Again the dwarf came.
But she had nothing to give him.
Without a reward the dwarf would not spin.
He was on the scent of something bigger.
He was a regular bird dog.
Give me your first-born
and I will spin.
She thought: Piffle!
He is a silly little man.
And so she agreed.
So he did the trick.
Gold as good as Fort Knox.
The king married her
and within a year
a son was born.
He was like most new babies,
as ugly as an artichoke
but the queen thought him in pearl.
She gave him her dumb lactation,
delicate, trembling, hidden,
warm, etc.
And then the dwarf appeared
to claim his prize.
Indeed! I have become a papa!
cried the little man.
She offered him all the kingdom
but he wanted only this −
a living thing
to call his own.
And being mortal
who can blame him?
The queen cried two pails of sea water.
She was as persistent
as a Jehovah’s Witness.
And the dwarf took pity.
He said: I will give you
three days to guess my name
and if you cannot do it
I will collect your child.
The queen sent messengers
throughout the land to find names
of the most unusual sort.
When he appeared the next day
she asked: Melchior?
Balthazar?
But each time the dwarf replied:
No! No! That’s not my name.
The next day she asked:
Spindleshanks? Spiderlegs?
But it was still no-no.
On the third day the messenger
came back with a strange story.
He told her:
As I came around the corner of the wood
where the fox says good night to the hare
I saw a little house with a fire
burning in front of it.
Around that fire a ridiculous little man
was leaping on one leg and singing:
Today I bake.
Tomorrow I brew my beer.
The next day the queen’s only child will be mine.
Not even the census taker knows
that Rumpelstiltskin is my name…
The queen was delighted.
She had the name!
Her breath blew bubbles.
When the dwarf returned
she called out:
Is your name by any chance Rumpelstiltskin?
He cried: The devil told you that!
He stamped his right foot into the ground
and sank in up to his waist.
Then he tore himself in two.
Somewhat like a split broiler.
He laid his two sides down on the floor,
one part soft as a woman,
one part a barbed hook,
one part papa,
one part Doppelgänger.