Nel film Le confessioni di Roberto Andò, Pierfrancesco Favino interpreta il ministro italiano Antonio Vallati. In un albergo a Fiuggi, tra i tavolini all’aperto e un panorama sullo sfondo, poche ore prima dell’ultimo ciak per il suo personaggio, l’interprete di Romanzo criminale e Suburra risponde con passione alle domande su un progetto ritenuto speciale, frutto di una sensibilità d’autore e di un’attenzione profonda alle ragioni degli ultimi.
Chi è Antonio Vallati?
“Sono un ministro dell’Economia e rappresento il mio Paese al tavolo dei grandi, in un G8 che si svolge in Germania. L’ingresso del certosino Roberto Salus, interpretato da Toni Servillo, è la causa scatenante di tantissime domande. Per quanto mi riguarda, essendo italiano, c’è una vicinanza involontaria con il monaco, ma anche una vicinanza a quello che un frate può rappresentare per un italiano. Il cattolicesimo fa parte del nostro mondo e della nostra cultura e pure dal punto di vista visivo la presenza del monaco rappresenta un’intrusione visivamente forte. Quando ho letto la sceneggiatura, mi sono subito affiorate alcune immagini, per la prima volta insieme, collegate a Todo modo, I Templari, Il nome della rosa, però in una versione attuale, in relazione al mondo dell’economia”.
Come si è accostato al suo personaggio?
Facendo questo mestiere, sto sempre alla larga dal descrivere un personaggio o completamente positivo o completamente negativo. Penso che ognuno di noi possa essere tutto. La cosa che trovo interessante, quando leggo una sceneggiatura, è evidenziare in ogni personaggio qualcosa sia di buono, sia di malvagio. Penso però che ci sia un livello di potere in cui le emozioni e i pensieri siano diversi dal quotidiano e in questo scenario si muove Antonio Vallati. Per lui dire mi vergogno o mi voglio confessare ha un valore differente, in un ambito simile a quello dei re e delle regine di Shakespeare”.
In una sequenza, il ministro Vallati preferisce parlare con Salus al buio…
“La scena è una preparazione alla confessione, che non vediamo nel film. Una figura come quella del certosino consente a persone che non possono esprimere la loro emotività, perché gestiscono situazioni più importanti della loro individuale emotività, di guardarsi dentro. Non a caso, prima ancora che Salus faccia le domande, le persone parlano. Trovo interessanti i continui fraintendimenti: una persona parla di anima e le altre persone parlano di sistemi. Siamo in un ambito nel quale si muovono forze politiche ed economiche: non c’è spazio per il proprio privato. Se c’è una revisione delle posizioni, viene fatta a livello pubblico e trovo questo molto più interessante dell’eventuale pentimento di una persona. Le battute del mio personaggio, come io mi vergogno o sono un venduto, riguardano sistemi che storicamente non esistono più. Vallati fa riferimento al suo vecchio maestro ma oggi i ministri dell’Economia hanno più peso degli stessi primi ministri e dei capi di Stato, in un mondo che è cambiato in profondità”.
Dunque, come si evolve il ministro Vallati dopo l’incontro con Salus?
“Vallati non può pentirsi. Sarebbe riduttivo farne un buono. Realpolitik e vita quotidiana sono profondamente diverse perché i grandi sistemi hanno logiche tutte loro. Di fatto, lui non vuole che il suo nome cada nel fango: tutto sommato una cosa piccola rispetto ai grandi sistemi. Esiste un’etica per ogni situazione. Ne esiste una in relazione alle condizioni di sopravvivenza degli esseri umani e, nel film, quando lo sguardo del bene e dell’anima torna a parlare a queste persone, protagoniste di questo G8, si assiste a un corto circuito pesante”.
Come è stato confrontarsi, per la prima volta, con un attore come Toni Servillo?
“Innanzi tutto un piacere personale. Avere la possibilità di condividere la scena con un attore che stimi e ammiri è bellissimo. Mi auguravo, e penso che sia successo, che ci fosse un’immediata capacità di ascolto e di risposta. Viviamo il modo di essere attori in maniera simile: dal teatro allo stile nel rapportarsi a questo mestiere e anche al modo di stare all’interno di un set, che spesso racconta molto di più di quanto contino la capacità e il talento dell’attore. Soddisfazione e piacere hanno caratterizzato questo incontro, per me, e spero che la cosa sia stata reciproca”.
Nel diventare Vallati, è vero che si è concentrato sull’impostazione corporea e vocale del personaggio?
“Sì. Intanto distinguerei i ministri dell’Economia dai politici. Da anni questo ministero viene affidato ai tecnici, a persone che hanno una preparazione sul campo. Si tratta di personalità che non possiedono le abitudini comunicative dei politici, che a loro volta dagli anni Ottanta hanno imparato a essere dei comunicatori. I ministri dell’Economia, invece, sono spesso professori di Economia che hanno avuto esperienze di carriere in grandi realtà bancarie. Osservando le conferenze degli economisti, si comprende che la loro è una comunicazione di tipo tecnico e il linguaggio interessante appare quello corporeo. Ho studiato pure il tono di voce da loro usato, all’interno di un mondo che condivide lo stesso linguaggio, senza la necessità di essere capiti al di là del proprio ambito. Ẻ diventato talmente importante l’andamento dell’economia che queste persone non hanno sviluppato, anche per serietà, un approccio spettacolare riguardo alla loro figura. Se si sente parlare un Mario Draghi, percepisci che la funzione comunicativa non è asservita a una funzione di comprensione generale. Questo modifica profondamente il modo di comunicare e condiziona l’uso della voce. Ho lavorato quindi su questi aspetti, per interpretare il ministro Vallati, senza però che diventasse un vestito che superasse le tematiche e il centro della scena. Mi interessava il respiro che c’è dietro alcuni atteggiamenti. Una certa fissità, in determinati casi, come se l’occhio, la voce e il ragionamento fossero altrove, e non in quel corpo”.
L’esperienza con il regista?
“Con Roberto Andò, il rapporto è stato veramente naturale sin dal primo momento. In passato, avevamo condiviso solo incontri fugaci e conviviali ma la relazione che si è instaurata tra di noi è stata subito spontanea e calda. Roberto è una persona che ti fa sentire caro a lui ed è molto importante per un attore. Sono stato inoltre catturato dall’intelligenza che si coglie nella sceneggiatura, dal suo curriculum e dalle persone con cui ha avuto il privilegio di lavorare. Sono stato pure catturato dalla sua sicilianità: io sono un grande appassionato di Leonardo Sciascia e ritrovo in Roberto Andò un modo simile di guardare il mondo. Non a caso, Sciascia è stato il suo maestro, non solo in senso professionale, e in lui ritrovo molto di un mondo che ho vissuto solo attraverso i libri e i film che sono stati tratti dai suoi romanzi. Quando parlo di sicilianità, intendo riferirmi, come afferma Borges, alla terra del dubbio che si tramuta in un fatale thriller”.
Ẻ anche il caso delle Confessioni?
“Sì, è un thriller, in un certo senso, e la sospensione del giudizio e l’ampliamento del dubbio fanno parte di ciò che Roberto Andò è intellettualmente. Nel rapporto con lui, come attore, provi un grande piacere grazie alla libertà che ti offre, dandoti la possibilità di scoprire insieme qualcosa di nuovo, con la sensazione non solo di essere compreso ma di scavare con leggerezza all’interno di quello che ti propone. Roberto trasmette un senso di fiducia che non è così usuale. Ti tratta come un collaboratore importante e domina sul set, grazie a lui, una sensazione di grande familiarità”.
Confessa il suo momento più emozionante di questa esperienza?
“Io confesso che uno dei momenti di maggiore emozione per me è stato quando, a Fiuggi, una sera, a tavola, ho visto per la prima volta uno degli attori responsabili suo malgrado del fatto che io abbia deciso di tentare questa strada: Daniel Auteuil. L’ho detto timidamente a Roberto, che subito è andato a dirglielo, mettendomi in imbarazzo. Però è stato emozionante sapere che avrei potuto vederlo lavorare il giorno dopo e anche solo scambiare uno sguardo. Confesso che è stata una bella gioia”.
L’autore dell’intervista è curatore del libro in uscita il 28 aprile Le confessioni, Skira, Ginevra-Milano 2016. Il volume contiene la sceneggiatura di Roberto Andò e Angelo Pasquini, le fotografie di Lia Pasqualino, una postfazione, le interviste a regista e sceneggiatore e al protagonista Toni Servillo.
Inoltre, Olivieri ha scritto un diario dal set in esclusiva per il mensile Ciak (aprile 2016).
L’intervista con Pierfrancesco Favino compare anche nel backstage del film, diretto da Dario Indelicato.
La produzione è di Bibi Film di Angelo Barbagallo e Rai Cinema, con numerosi partner internazionali.
Fotografie di scena di Lia Pasqualino.
Immagini tratte dalla pagina Facebook del film.
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