RICORDO DI ANNA PAOLA SPADONI
di Giuseppe Mazzaglia
Quattro libri appena
Devo la scoperta del catanese Giuseppe Mazzaglia a un post su Facebook del poeta Nanni Cagnone che lo ha conosciuto e frequentato a Roma, città dove Mazzaglia, novantenne, vive tuttora. Sulle prime, la supponenza di conoscere tutti i maggiori e i minori scrittori dell’Isola mi fa pensare a uno scrittore tutto sommato irrilevante, magari pubblicato da case editrici peregrine. Invece, Wikipedia mi smentisce. Leggo brevemente della sua vita e scopro che esordisce nel 1961 con una raccolta di racconti pubblicata da Feltrinelli, La dama selvatica, cui fanno seguito solo altri tre libri, il che, sia detto per inciso, me lo rende già simpaticissimo, l’ultimo dei quali, Principi generali, esce nel 1993 presso Anabasi. Tra l’esordio e il congedo, due libri pubblicati da Rizzoli, nel 1969 e nel 1976, rispettivamente Ricordo di Anna Paola Spadoni e La pietra di Malantino. Uno scrittore, dunque, con una notevole fortuna editoriale. Cosa che, se non sempre è indice di qualità, vorrà comunque pur dire qualcosa. Insomma, incasso il colpo e proseguo la mia ricerca sul web, a caccia di ulteriori informazioni. Le sorprese sono infatti appena iniziate. La dama selvatica alla sua uscita si attirò le simpatie, tra gli altri, di Sciascia, che recensì il libro e al quale sembrò che solo apparentemente poteva, per tematiche, accostarsi alla grande lezione del verismo siciliano. Giorgio Caproni e Giorgio Bassani, leggo appena dopo, firmarono il risvolto dei due romanzi pubblicati a suo tempo da Rizzoli. Per me è già abbastanza, la misura della curiosità è colma. Vado su alcuni dei siti che vendono libri usati. Dovendoli digitare più volte, in pochissimo tempo familiarizzo con i titoli e, di conseguenza, con le diverse date di pubblicazione. Otto anni separano il primo dal secondo libro; per dare alle stampe il terzo occorre che ne passino altri sette e, infine, per pubblicare il quarto impiega altri diciassette anni, un abisso se consideriamo i meccanismi serrati dell’editoria. Adesso che inizio a conoscerlo meglio, una cosa è certa: non è stato uno scrittore di professione, uno cioè esclusivamente dedito alla scrittura. La parsimonia con cui pubblica i suoi libri ne è la prova. In genere, secondo la mia esperienza di lettore, questo è un bene. Non tardo a verificare questa intuizione. Una settimana dopo, ho sulla scrivania tutti e quattro i libri, e devo solo scegliere da quale iniziare.
Ricordo di Anna Paola Spadoni
Sul risvolto di copertina una foto in bianco e nero ritrae Giuseppe Mazzaglia a mezzo busto, di tre quarti. Grandi occhiali da sole, serio nella sua giacca quadrettata, ben rasato, ostenta eleganza giovinezza e anche un certo fascino da scrittore anni Sessanta. Mi fa pensare un po’ a Mastroianni. Leggo dalla nota biografica che è stato giornalista parlamentare, che è laureato in Giurisprudenza e che lavora presso l’ufficio legale di un istituto di assicurazioni. La nota editoriale in quarta di copertina è firmata da Caproni, che definisce il libro «un racconto grottesco». Superata la dedica al padre, m’incuneo nell’incipit («Presi la vocazione all’insegnamento da mio padre che era maestro di scuola a Maniffa Bàlati, un piccolissimo paese di montagna sotto il castello di Bàlati») e, prima ancora di rendermene conto, è proprio da qui, da Ricordo di Anna Paola Spadoni, che prende avvio la mia scoperta di questo autore catanese.
Achille Savasta
Freddo-caldo-nausee-insonnie-febbre-tremori-mancamenti-sudore-vertigini-avvampamenti-brividi-sfinimenti-gonfiori-malinconie-irrigidimenti-soffocamenti-vampate-emicranie-svigorimenti-crampi-fitte-tremiti-tramortimenti-angoscia-oppressione-bollori-gelo sono solo alcune delle sensazioni ossessive che investono il protagonista di questa storia, il professore di francese Achille Savasta. Giovanissimo, appena ventiduenne, proveniente da una famiglia di condizione agiata (uno dei leitmotiv del romanzo, già dalle prime righe, è il riferimento ai «tre giardini di cedri» che gli assicurano una certa stabilità economica), approda alla città di Màgali dal mare, a bordo della nave Illuminato poti. L’arrivo serale al porto di questa città di pura invenzione letteraria è immerso in una vaga atmosfera di mistero: «la sera incombeva dalle stelle», e più avanti: «l’aria appariva grave e acida, impregnata di fumo». Mi fa pensare subito al Castello, o forse in maniera più pertinente, al Supplente di Fiore. E insomma, a uno dei più classici topoi narrativi. Che però Mazzaglia sa reinventare e usare per i propri fini. A un registro che attiene all’area semantica del ‘buio’, infatti, fanno da contrappunto, già dal primo paragrafo del libro, diversi altri riferimenti al suo contrario («l’elica turbinava nell’acqua luminosa e verde»), a cominciare dal nome stesso della barca, Illuminato poti, che rimanda tra l’altro a un codice interpretabile, come vedremo, in chiave iniziatica. È solo il primo esempio di contrapposizione e concatenazione di opposti (freddo-caldo; pesante-leggero; largo-stretto; soffocamento-vertigine; vuoti-pieni etc.) lungo cui non solo si addipana l’intero romanzo ma attorno a cui si avvita lo stesso personaggio principale.
Ha solo l’apparenza della rispettabilità e del decoro, il professore Savasta, quando si insedia a scuola, un istituto femminile che avvia alle professioni commerciali di azienda. In realtà, sin dalle prime pagine, sotterraneamente, è attraversato da continue turbe erotiche, contenute all’inizio, debordanti e irrefrenabili dopo. L’ambiente scolastico che lo circonda è gretto, ostile, maldicente, piccolo borghese. Anche in seno ad esso, il sesso è l’argomento principale di cui discutere. È una collega del professore Savasta durante una conversazione maliziosa in sala insegnanti a rivelargli la presunta libertà sessuale delle studentesse («E poi sapesse che fanno, altro che brave e serie. […] Danno via le mutande, sa? Una porcheria»). Il romanzo procede così in un turbine di fantasie che il professore Savasta concentra su due donne, speculari e dalla parabola narrativa tutto sommato sovrapponibile: l’allieva Anna Paola Spadoni, appunto, e la collega insegnante Luana Fugazzotto. Ad accomunare le due figure, alle quali alternativamente soggiace la morbosità del protagonista, le stesse caratteristiche fisiche di abbondanza, la cui descrizione è così insistita da farcela apparire sin da subito tutt’altro che realistica. Siamo insomma lontani dal sensualismo di Patti, il cui capolavoro, Un bellissimo novembre, esce appena due anni prima, nel 1967. L’erotismo di Mazzaglia è visionario, mistico, simbolico. I corpi si ingrossano in maniera abnorme. Fianchi colossali, glutei pomposi, grosse mammelle possono crescere a dismisura, tanto da far pensare a Botero. La descrizione della realtà non si ferma al dato concreto ma lo trascende. Dentro la bocca la lingua può aumentare di volume. Le emozioni possono allargare i polmoni, dilatare l’anima. Il suono di una campanella può lacerare il capo. Il cervello crepitare e allargarsi fuori dalla testa. Una grossa palla crescere nello stomaco. La stessa realtà in cui sono immersi i personaggi non è mai uguale a se stessa, ma si contrae o si espande, a seconda dell’emozione dalla quale viene investito il protagonista.
“Gonfie, gorgoglianti, gagliarde”: Anna Paola Spadoni e Luana Fugazzotto
Delle due, il personaggio più memorabile è senz’altro quello che dà il titolo al libro.
Mentre Luana si mostra sin da subito ostile e poco incline a saziare le voglie di Achille Savasta, Anna Paola è apparentemente più ingenua, più disponibile, più docile. Rimane nell’orecchio del lettore la musica delle sue battute di dialogo piene di incertezze, di dubbi, di ritrosie. Nella proiezione alterata del giovane professore, nei momenti di esaltazione o delirio amoroso, la studentessa Anna Paola è «la regina, la dea». Nei momenti di prostrazione, invece, è la plebea «figlia di un muratore». Il professore, come detto, ha sentito parlare dei facili costumi delle studentesse e auspicherebbe rapporti sessuali senza compromessi, liberi. Alla fine del romanzo però, visti i precedenti pudichi rifiuti di Anna Paola, si delinea l’ipotesi di un borghesissimo matrimonio, che sembrerebbe l’unico espediente da mettere in atto per potere saziare le sue voglie con la ragazza. Il progetto, nonostante le rassicurazioni della madre di Anna Paola («Quando siamo maritate… Col marito nostro facciamo le puttane, ha capito?»), naufraga tra sensazioni angoscianti di stordimento.
Lo stesso si ripete subito dopo con Luana. Luana è l’oggetto di un desiderio frutto anche qui di equivoco. Il fatto conclamato che la professoressa, pur sposata, abbia un amante gli fa pensare, o sperare, che la donna non abbia nessuna remora di natura etica. Ne nascono numerosi episodi di rifiuto, fino alla penosa scena conclusiva in spiaggia: «mi lanciò dietro con foga una sconcia frase con che intendeva che mi cercassi una donna da un’altra parte».
Racconto di un’iniziazione?
Lo si era già accennato a proposito del nome dell’imbarcazione a bordo della quale il professore giunge a Màgali, Illuminato Poti, appunto. È una piccola spia che mette già dall’inizio del romanzo su una certa pista interpretativa: si tratta del racconto di un percorso di iniziazione? Se lo è (e molti elementi avvalorerebbero questa tesi), si presenta, almeno per un aspetto, come un percorso non canonico, come cercheremo di spiegare.
Già dai primi capitoli, la descrizione quasi metafisica delle strade larghe e dritte e innaturalmente deserte di Màgali, nelle quali sembra prossimo l’accadere di qualcosa, mi ha fatto subito pensare a certe suggestive prose di Dino Campana contenute nei Canti orfici, come ‘La Notte’ («antiche città desolate, lunghe vie silenziose, deserte come dopo un saccheggio»). Il viandante di Campana compie del resto un viaggio di ascendenza orfico-nietzchiana attraverso simboli e miti anche di natura sessuale, ruffiane, ancelle, prostitute trasfigurate in sacerdotesse antiche che propiziano l’iniziazione. La stessa trasfigurazione dal reale al mito troviamo in questo libro di Mazzaglia, nel quale Anna Paola Spadoni viene spesso indicata, come si è detto, con il termine «dea», e le cui enormi fattezze fanno indubbiamente pensare a certe antiche e poderose divinità mediterranee. Le lunghe passeggiate tra il professore e l’allieva possono anche essere intese come dei viaggi iniziatici, dove però, e qui sta la differenza con Campana, essendo impossibile la consumazione di un rapporto sessuale, vista la mentalità repressiva e borghese imperante che vuole che l’atto debba per forza essere protetto dal sacramento del matrimonio, sembra altrettanto impossibile che il personaggio possa addivenire a una qualche illuminazione finale, possa cioè trasformarsi in un uomo nuovo, che è l’apice di un percorso iniziatico.
In realtà, sta proprio qui il colpo da maestro di Mazzaglia. I due rifiuti, lungi dal rappresentare delle porte chiuse alla definitiva illuminazione, hanno paradossalmente il potere di rinsavire i deliri del professore e spalancargli una nuova visione delle cose. All’improvviso le due donne gli appaiono goffe e ridicole, e l’ossessione erotica in cui ha vissuto per tutti quei mesi di scuola gli si presenta in tutta la sua evidente volgarità: «ero anzi, allora, in fondo contento nell’anima di questa soluzione, dacché usufruivo in pieno, per la prima volta dopo tanto tempo, di una grande pace».
È nel provare questa «grande pace», dopo le ripetute aberrazioni, che consiste l’illuminazione finale del professore Savasta?
Edizioni in commercio dei libri di Mazzaglia
Nel 2011 la Isbn ha ripubblicato Ricordo di Anna Paola Spadoni nella collana “Novecento italiano”, con uno scritto introduttivo di Silvio Perrella. L’edizione però, a causa del recente fallimento della casa editrice milanese, non è più in commercio. Allo stesso anno risalgono La dama selvatica, racconto eponimo contenuto nell’edizione originale del 1961 e pubblicato adesso dalle edizioni Henry Beyle, e l’ultimo romanzo di Mazzaglia, Principi generali, a cui è stata data nuova vita dalla casa editrice Il Canneto. Entrambi sono ancora in commercio.
Antonio Lanza
Giuseppe Mazzaglia è nato a Catania nel 1926. Vive a Roma. Narratore e saggista, ha pubblicato una raccolta di racconti, La dama selvatica (1961), e i romanzi: Ricordo di Anna Paola Spadoni (1969), La Pietra di Malantino (1976) e Princìpi generali (1993).
In copertina: Giuseppe Mazzaglia.