Paralisi e riscatto nel nuovo romanzo di Emilia Bersabea Cirillo
di Claudia Iandolo
Un inverno lungo, freddo, in cui tutto appare bloccato. La stessa vita di Dorina, protagonista del romanzo, sembra essere consegnata irrimediabilmente ad un eterno presente. I gesti, le parole, le ore si ripetono senza scosse. Fuori, un’Irpinia gelida non solo nei paesaggi. L’Iveco chiude insieme alla speranza di decine di lavoratori costretti a nuove emigrazioni, come accadrà a Walter, marito della protagonista. Il freddo che Dorina trascina con sé è metafora di una grande solitudine che parte da lontano, da un trauma infantile mai superato. Dorina è bella, cucina in un carcere. La passione per il cibo l’ha imparata in un convento sul mare dalle suore insieme ad una elaborata e sontuosa parmigiana al cioccolato. Ed è proprio nel carcere, in un giorno qualunque, che Dorina ritroverà Angela, l’amica del cuore ma anche la ribelle, la diversa. La bambina cattiva con la quale aveva diviso alcuni degli anni del convento è oggi una donna disperata condannata per omicidio. La storia che Emilia Cirillo racconta nell’ultimo romanzo intitolato “Non smetto di aver freddo”, per L’Iguana editrice, parte da qui, ma si snoda poi attraverso due punti di vista destinati a confrontarsi senza mai capirsi, quello di Dorina, appunto, e di Angela. Per entrambe il materno si specifica come mancanza, come vulnus. Oltre all’esperienza dell’infanzia le due donne condividono, non a caso, una continua sensazione più che di freddo di assenza di calore, o di incapacità di percepirlo. “ No, meglio bruciare nel fuoco che morire nel ghiaccio. Il rosso delle braci si mescola a quello del sangue. Ora siedo sulla cenere fredda.” La cenere fredda è tutto ciò che resta della vita di Angela. Rincontrare Dorina, dopo anni, non la modifica. Angela è centrata su stessa e sul motivo dell’abbandono (di cui accusa anche l’amica), modifica invece Dorina costringendola finalmente a fare i conti sia col proprio passato che con il presente. Tutta la vita della protagonista si è svolta in luoghi chiusi, il convento, il carcere, la casa. Spazi che la proteggono dal freddo, scanditi da regole semplici ed affidabili, che soffocano in maniera lenta ma inesorabile. La storia di Dorina, comune a tante donne, una storia di paralisi, incomunicabilità, rinunce e delusioni, prende però un’altra strada. Ancora una volta ciò che Dorina sceglie per sé e per la sua vita presuppone l’abbandono di Angela, lasciarla dove è sempre stata, nella propria incapacità di sciogliere il dolore e di convertirlo in bellezza autentica, un tema caro all’autrice quello della filokalia,come già abbiamo avuto modo di dire per “Una terra spaccata”. Dorina affronterà i propri demoni e il ghiaccio comincerà a sciogliersi. La sua diviene una storia di riscatto e di attaccamento alla terra in cui vive condivisa da altre donne che come lei sarebbero altrimenti condannate alla disoccupazione e alla sopravvivenza tra le mura domestiche. Anche in questo romanzo, come in quelli precedenti, Emilia Cirillo ci racconta un’Irpinia autentica, a tratti aspra, una terra ferita da scelte politiche dissennate, nella quale sopravvivono forme di solidarietà come quella che si instaura tra le lavoratrici del carcere. La lingua stessa rievoca la musicalità del parlare quotidiano. A volte basta una sola parola a suggerire icasticamente le atmosfere, spesso è invece la prosa a piegarsi alla cadenza dialettale: “Walter è arrivato a Frigento che erano scarse le otto, non ha neanche voluto far colazione. Era tutto preoccupato, sai come fa lui quando parla senza guardarti in faccia, no? E mi ha pregata di venire qua giusto il tempo di sistemare un paio di cose.” Una scrittura salda e sicura capace di raccontare il quotidiano dell’universo femminile a volte anche in maniera spietata, un romanzo che definire “al femminile” sarebbe riduttivo. Quello che Cirillo racconta è un viaggio dentro di sé, ma anche e soprattutto la capacità di interpretare il “fuori”, di dare alla propria esistenza un senso autentico, al di là dell’appartenenza di genere.