Ad agosto Carteggi Letterari si prende una pausa e sospende la programmazione ordinaria. Riproporremo post apparsi nel secondo anno di attività. Il primo InVerso fotografico di Cinzia Accetta – Arnaud Lejeunie incontra Galway Kinnell (pubblicato il 19 marzo 2015).
Per questa prima uscita della rubrica InVersi fotografici ho scelto il contrasto tra un fotografo sensuale, intimo e un poeta diretto e crudo. InVerso sinistro, sensualità cruda che rivela nell’intimo di ogni uomo un’animalità ancestrale. La ricerca del nutrimento dell’anima attraverso il consumo del corpo.
è un cacciatore di immagini
colui che sorseggiando stelle
rinchiude la bellezza in piccole teche
come scatole per piccole storie
da cui attingere per raccontare(Natalia Castaldi)
Il fotografo del gioco, l’orso e l’arte di essere liberi
Il fotografo parigino Arnaud Lajeunie è nato nel 1986. Nei suoi scatti esplora istintivamente le linee del corpo e come manipolarlo, suggerendo una profondità e una saggezza che va al di la dei suoi anni, una sensualità tranquilla che compone ricordi. Realizzate nel profondo della foresta, o sulla spiaggia o al buio, le sue foto sembrano accadere naturalmente nella dimensione del gioco.
I suoi progetti fotografici si possono trovare anche nella rivista erotica L’imparfaite , della quale Lajeunie è co-fondatore e di cui è direttore creativo.
Galway Kinnell (1927-2014) ha vinto il Premio Pulitzer e il National Book Award per la poesia con i suoi Selected Poems (1982). L’orso è una delle sue poesie più famose.
1
A fine inverno
mi capita di intravedere fili di vapore
che trapelano
dalle crepe della neve vecchia
e mi chino e vedo un color polmone
e ci infilo il naso
e riconosco
il freddo, persistente odore dell’orso.
2
Appuntisco la costola di un lupo
su entrambi i capi
la avvolgo
in una palla di grasso che congelo e lascio
sul passaggio degli orsi.
E quando è sparita
mi metto sulle tracce degli orsi,
spostandomi in cerchio
finché non mi imbatto nella prima, appena accennata,
chiazza scura per terra.
Allora parto
di corsa, seguo le chiazze
di sangue che errano per il mondo.
Nelle nicchie scavate a furia dove ha riposato
mi fermo a riposare,
sui graffi degli artigli
dove si è sdraiato sulla pancia
per superare una venatura di ghiaccio infido
mi sdraio
trascinandomi in avanti con i coltelli da orso in pugno.
3
Il terzo giorno comincio ad aver fame,
all’imbrunire mi chino come sapevo che avrei fatto
su una merda imbevuta di sangue,
esito, la raccolgo,
me la ficco in bocca e la mando giù,
mi alzo
e riprendo a correre.
4
Il settimo giorno,
ormai mi sostentavo solo del sangue dell’orso,
scorgo il cadavere capovolto, lontano avanti a me,
un’arruffata carcassa fumante
con la pesante pelliccia che si increspa al vento.
Lo raggiungo
e guardo gli occhi piccoli, vicini,
il muso sgomento
riverso sulla spalla, le narici
dilatate, che forse
hanno percepito il primo sentore di me
mentre moriva.
Gli squarcio
una forra nella coscia e mangio e bevo,
lo squarto da cima a fondo
lo apro e ci entro dentro
e me lo chiudo addosso, contro il vento,
e dormo.
5
E sogno
di trascinarmi esangue
sulla tundra,
pugnalato due volte da dentro,
lasciandomi dietro una scia di sangue,
sangue che sgorga comunque, a dispetto di dove, come mi muovo,
di qualsiasi parabola di trascendenza orsina,
di qualsiasi danza di solitudine accenni,
qualsiasi balzo artigliato dalla gravità,
qualsiasi arrancare, qualsiasi grugnire.
6
E poi un giorno barcollo e cado—
cado su questo
ventre che ce l’ha messa tutta a resistere,
a digerire il sangue che gli colava dentro,
a dissolvere
e digerire l’osso stesso: e adesso il vento
soffia accarezzandomi, soffia via
i rutti ripugnanti di sangue d’orso mal digerito
e di stomaco marcio
e il normale, orribile odore di orso,
soffia sulla
mia lingua pesta e ciondolante una canzone
o un urlo, finché non penso che mi devo alzare
a ballare. E giaccio immobile.
7
Mi risveglio, penso. I fuochi fatui
riappaiono, le oche
di nuovo in formazione sulla rotta di volo.
Nella sua grotta sotto la neve vecchia la mamma-orso
giace, lecca
pelo raggrumato
e occhi lacrimosi facendone forme
con la lingua. E avanti con un
passo arrancante di zampa pelosa,
e un altro portato grugnendo,
e un altro,
un altro,
il resto dei miei giorni li passo
vagando: divagando
su cosa, comunque,
fosse quell’infuso viscoso, quel gusto rancido di sangue, quella poesia, di cui vivevo.
(traduzione di Damiano Abeni e Moira Egan)
Cinzia Accetta
L’ha ribloggato su Cinzia Accettae ha commentato:
il contrasto tra un fotografo sensuale, intimo e un poeta diretto e crudo. Un inVerso sinistro, dalla sensualità cruda che rivela nell’intimo di ogni uomo un’animalità ancestrale. La ricerca del nutrimento dell’anima attraverso il consumo del corpo.
Il punto di contatto, mi sembra di poter dire, sia nella ricerca e conquista del piacere, dal punto di vista ludico nelle fotgrafie; dal versante eminentemente primario nella poesia. La conoscenza come introiezione, ingerimento e dissoluzione, una dinamica invertibile che è alla base dell’istinto, non importa se umano o animale.