L’InVerso fotografico di oggi presenta due figure mistiche del novecento italiano che attraverso le immagini e il dono della parola hanno saputo raccontare ciò che sta al di la dell’evidenza. La perfezione della natura e dell’uomo al di la del bene e del male. La luce che si fa salvifico perdono. “È la memoria una distesa/di campi assopiti/e i ricordi in essa/chiomati di nebbia e di sole” scrive Turoldo descrivendo alla perfezione il paesaggio ritratto da Ciol. Entrambi ispirati da quella trascendenza della natura che ricorda agli uomini la strada della perfetta semplicità delle cose umili.
“Nel fotografare ho cercato di tenere sempre vivo il rapporto dell’uomo con le cose. La presenza dell’uomo è continua; e anche là dove sono rappresentati oggetti materiali, il punto di vista non è quello della pura forma, del gioco della luce e dell’ombra, ma è quello dell’assidua memoria della nostra vita e dei segni che la fatica di vivere lascia sugli oggetti che ci sono compagni”.
Elio Ciol
Da “Io non ho mani”,
MEMORIA
È la memoria una distesa
di campi assopiti
e i ricordi in essa
chiomati di nebbia e di sole.
Respira
una pianura
rotta solo
dagli eguali ciuffi di sterpi:
in essa
unico albero verde
la mia serenità.
O GIORNI MIEI…
Solo a sera m’è dato
assistere alla deposizione
della luce, quando
la vita, ormai
senza rimedio, è perduta.
Mio convoglio funebre
di ogni notte: emigrazione
di sensi, accorgimenti
delle ore tradite, intanto
che lo spirito è rapito
sotto l’acutissimo arco
dell’esistenza: l’accompagna
una musica di indicibile
silenzio.
Invece dovere
ogni mattina risorgere
sognare sempre
impossibili itinerari.
da “Gli occhi miei lo vedranno”
ITINERARI
Liberata l’anima ritorna
agli angoli delle strade
oggi percorse, a ritrovare i brani.
Lì un gomitolo d’uomo
posato sulle grucce,
e là una donna offriva al suo nato
il petto senza latte.
Nella soffitta d’albergo
una creatura indecifrabile:
dal buio occhi uguali
al cerchio fosforescente d’una sveglia
a segnare ore immobili.
E io a domandare alle pietre agli astri
al silenzio: chi ha veduto Cristo?
E NON CHIEDERE NULLA
Ora invece la terra
si fa sempre più orrenda:
il tempo è malato
i fanciulli non giocano più
le ragazze non hanno
più occhi
che splendono a sera.
E anche gli amori
non si cantano più,
le speranze non hanno più voce,
i morti doppiamente morti
al freddo di queste liturgie:
ognuno torna alla sua casa
sempre più solo.
Tempo è di tornare poveri
per ritrovare il sapore del pane,
per reggere alla luce del sole
per varcare sereni la notte
e cantare la sete della cerva.
E la gente, l’umile gente
abbia ancora chi l’ascolta,
e trovino udienza le preghiere.
E non chiedere nulla.
Da “Il grande male”, Mondadori, 1987
Ancora un’alba sul mondo:
altra luce, un giorno
mai vissuto da nessuno,
ancora qualcuno è nato:
con occhi e mani
e sorride.
Elio Ciol nasce a Casarsa della Delizia (Pn) nel 1929. Inizia giovanissimo a lavorare nel laboratorio del padre, acquisisce esperienza tecnica ed elabora un personale modo di esprimersi attraverso la fotografia, soprattutto riguardo al paesaggio. Nel 1962 partecipa come fotografo di scena al film Gli Ultimi di Vito Pandolfi e Padre David Maria Turoldo. L’anno dopo, 1963, a Milano, collabora con Luigi Crocenzi alla realizzazione della Fondazione Arnaldo e Fernando Altimani per lo studio e il linguaggio delle immagini. Nel dicembre 2001 il New York Times gli ha dedicato uno spazio nella sezione Arts and Leisure. È autore di numerosi libri fotografici. Da sessant’anni Elio Ciol scrive con la luce, tracciando un lungo itinerario fotografico. Oggi prosegue la sua personale ricerca del reale, affidandosi anche alle nuove tecniche: «Io amo il bianco e nero – conclude – ma ho sperimentato il digitale e dico che non si può trascurare, è un di più che, sapendolo sfruttare, ti può dare molto».
David Maria Turoldo (Coderno di Sedegliano, Udine, 22 novembre 1916 – Milano, 6 febbraio 1992)
David Maria Turoldo fu teologo, poeta e figura che si è distinta nel panorama culturale del secondo novecento per la passione per l’uomo. Attraverso varie collaborazioni a giornali, riviste e televisione, la voce di Turoldo ha accompagnato a mo’ di coscienza critico-profetica le vicende politico-sociali del nostro paese. Notevole il suo numero di opere saggistiche, teatrali e poetiche.
“Padre David”, ha scritto Carlo Bo, “ha avuto da Dio due doni: la fede e la poesia.
Dandogli la fede gli ha imposto di cantarla tutti i giorni”. E David Maria Turoldo
ha continuato a cantare, fino all’estremo….”.
(Dal libro ” David Maria Turoldo – Ultime poesie (1991-1992)”, edito da Garzanti.