di Cinzia Accetta
L’inVerso Fotografico di oggi nasce dalla vista di una ragazza seduta sull’erba con le gambe in acqua. L’acqua sembra calda, coperta da una sottile coltre di vapore acqueo. Forse la ragazza sta per buttarsi in acqua oppure sta per rialzarsi e asciugarsi i piedi sull’erba. Forse è in placida attesa di qualcuno oppure non pensa a nulla e si gode la natura che la circonda. Ma nella foto c’è qualcosa che mi inquieta. No, non sembra un tranquillo pomeriggio estivo. C’è qualcosa nella luce, nella bruma, nel contrasto delle sue gambe bianche con l’acqua scura. Non riesco a staccare gli occhi da questa scena. C’è un senso di azione incombente, eppure è tutto immobile, anche l’acqua sembra congelata nella foto come il respiro della ragazza. Tutto tace e tutto mi trascina verso l’acqua scura e fumante, l’azione in potenza è già in atto nell’energia trasmessa al contesto. La vita è in corso.
La vita umana fiorisce ed il desiderio evolve facendo della mancanza il tratto specifico di ogni esistenza.
Mauro Battiston
Decido di voler capire, di voler conoscere. Cerco l’autore di questa foto trovata per caso tra quelle vincitrici di un premio di fotografia. Leggo la didascalia e scopro che si tratta di Mauro Battiston. E’ psicologo e psicoterapeuta. Ecco dunque! Quella foto non è uno scatto rubato, ma il set di un pensiero messo in scena. Fotografare i pensiere, dare corpo ad ansie e paure, illustrare la mente: questo è il lavoro di Battiston.
Mi affascina questa volontà di districare l’imponderabile, cercare il bandolo di una matassa che non è conclusa ma in continua evoluzione. Le immagini di questo fotografo sono animate da questa tensione emotiva, luoghi del delitto dove la vita è passata o sta per arrivare con tutta la sua energia. Tutto cambia per cambiare ancora. Tutto è stato e continua a cessare. L’inizio è la fine come nell’Uraboro, il serpente che si morde la coda, il simbolo esoterico della ciclicità del tempo.
«Un’aquila volteggiava in larghi circoli per l’aria, ad essa era appeso un serpente, non come una preda, ma come un amico: le stava infatti inanellato al collo»
Così parlò Zarathustra, F. Nietzsche
« Questa vita, come tu ora la vivi e l’hai vissuta, dovrai viverla ancora una volta e ancora innumerevoli volte, e non ci sarà in essa mai niente di nuovo, ma ogni dolore e ogni piacere e ogni pensiero e sospiro, e ogni indicibilmente piccola e grande cosa della tua vita dovrà fare ritorno a te, e tutte nella stessa sequenza e successione – e così pure questo ragno e questo lume di luna tra i rami e così pure questo attimo e io stesso. L’eterna clessidra dell’esistenza viene sempre di nuovo capovolta e tu con essa, granello della polvere! »
La Gaia Scienza, F. Nietzsche
Così, seguendo il corso del fiume, lo scorrere del tempo verso l’eterno ritorno, l’InVerso fotografico di oggi mi porta ad accostare le immagini di Battiston alle poesie di Nietzsche, tutta la forza del pensiero filosofico nietzschiano passa, infatti, anche attraverso la sua produzione poetica.
Sentenza d’uccello
L’altro giorno a ristorarmi
stavo sotto cupe fronde
e un sommesso ticchettio
cadenzato uddi, piacevole.
Mi adirai, feci le smorfie
ma alla fine pur cedetti
ed anch’io come un poeta
cominciai a far tictac.
Mentre anch’io nel fare versi
fra le sillabe saltavo,
hoplà, mi scoppiò da ridere,
per un quarto d’ora risi,
tu un poeta, tu un poeta?
hai la testa fuori posto? –
“Signorsì, lei è un poeta!”
– così parlò Uccello picchio.
Verso nuovi mari
Laggiù voglio andare; d’ora in avanti
avrò fiducia in me stesso e nel
mio braccio.
Il mare è aperto; nell’azzurro
vaga la mia nave genovese.
Tutto a me splende sempre più nuovo,
il meriggio dorme sullo spazio e
sul tempo;
solo il tuo occhio enorme
mi fissa, o infinità.
*
La parola
Io amo le parole viventi:
balzan fuori così gaie,
salutano con una nuca così graziosa.
Sono amabili anche nella goffaggine,
hanno sangue dentro, possono sbuffare
di cuore,
strisciano persino all’orecchio
del sordo
e si contorcono e svolazzano.
La parola rende divertente ciò che si fa.
Ma la parola è una creatura delicata,
presto malata, ma anche presto guarita.
Se vuoi lasciarle la sua piccola vita,
devi prenderla con leggerezza
e con garbo,
non toccarla balordamente
e schiacciarla;
spesso muore per un’occhiata
cattiva,
e allora giace così informe,
così inanimata, così povera e fredda,
il suo piccolo cadavere sformato,
maltrattato dalla morte e dal morire.
Una parola morta è una cosa orribile,
ha un secco e vuoto tintinnio.
Onta a tutti gli orribili mestieri
nei quali la parola muore!
Il pino e la folgore
Troppo, io crebbi al di sopra
degli uomini e degli animali;
e quando parlo, nessuno parla con me.
Troppo solitario e troppo alto
sono cresciuto:
ora attendo. Che cosa aspetto mai?
A me troppo vicina è la dimora
delle nuvole,
la prima folgore attendo.
Friedrich Nietzsche, Poesie, Piccola casa editrice Acquaviva.