La crepa dell’Occidente

su ‘L’ombrello di Nietzsche’

di Thomas Hürlimann (Marcos y Marcos, 2017)

 

di Maddalena Lotter 

 

[…] Oh, non perché ci sia felicità,
questo vantaggio precoce di una prossima perdita…
[…]
Ma perché essere qui è molto, perché sembra abbia bisogno
di noi tutto quello che è qui, l’effimero che
stranamente ci riguarda.

(R. M. Rilke, Elegie duinesi, VIII)

 

Lombrello-di-Nietzsche-webPensare di poter dire tutta la vita: questo è stato, per sommi capi, il delirio occidentale. Un delirio di tracotanza, poiché infatti ad esso la vita è sempre sfuggita, si è sempre spostata altrove proprio nel momento in cui l’abbiamo interrogata per comprenderla. Anche oggi, a distanza di più di un secolo, vale la pena di ricordare come un monito quant’è facile cadere nella presunzione che un’unica visione sul mondo (molto spesso la propria) possa essere quella esatta. Ne L’ombrello di Nietzsche (Marcos y Marcos, 2017) Thomas Hürlimann definisce questo atteggiamento d’indagine filosofica sulla realtà come la ‘crepa’ dell’Occidente, attraverso la figura travolgente, pionieristica e un po’ folle che è stata, per la nostra cultura, quella di Friedrich Nietzsche.
«Nietzsche», scrive Hürlimann in questo che è un breve saggio e al contempo un quadro biografico che ci restituisce in poche pagine (circa 60) l’atmosfera di un’epoca di grandi spostamenti d’asse, «Nietzsche si accinge alla trasvalutazione dei valori. Ciò che fino a quel momento era stato considerato puro, l’idea di Dio o di una più alta verità, non lo era più. E ciò che fino a quel momento era stato considerato impuro, come l’egoismo o la menzogna, tornava improvvisamente ad apparirgli puro, viscerale, naturale» (p.37).
L’operazione iniziata da Nietzsche e proseguita da altri (o potremmo dire piuttosto che tutti, dopo Nietzsche, hanno dovuto dialogare con Nietzsche) è delicatissima: mettere in crisi il sistema di una metafisica che si fonda su una concezione dualistica della vita e su una distinzione precisa fra soggetto e oggetto. Ad entrare in crisi sono i volti del bene e del male, della vita e della morte, del giusto e dello sbagliato, del noto e dell’ignoto, visti in un’eterna e sterile contrapposizione. Così Hürlimann ci presenta in Nietzsche un ribelle: «…La metafisica è anche ciò che Platone, il pensatore che precede Aristotele, aveva chiamato ‘Mondo delle idee’, l’essere eterno e vero che si inarca come un cielo sopra la nostra esistenza terrena. Nietzsche è interessato principalmente al concetto di scissione contenuto in questo modello. Egli non può e non vuole accettare che il pensiero significhi differenza, divisione, separazione, scissione» (p.21).
Non è un caso che Nietzsche si sia interessato al concetto greco misterioso e inafferrabile del ‘dionisiaco’, scorgendo nell’irrazionale una possibilità altra di comprensione del mondo, una visione che non è data dalla luce ma che proviene piuttosto dalla cecità degli occhi, la visione dell’indovino Tiresia, che non vede il mondo e quindi lo vede più a fondo. E’ questa la visione introspettiva del poeta, se vogliamo, e dell’oracolo, che di fronte alle domande sulla vita «non dice e non nasconde, ma significa» (Eraclito).
Nietzsche viaggia, Nietzsche pensa: «Sul Piz Surlej gli piomba addosso come un fulmine l’idea che non ci sia un confine tra i due mondi, che il presunto mondo superiore e il nostro mondo terreno siano la stessa cosa. Per questo Nietzsche si definisce il primo dei nichilisti» (p. 43).
Ci eravamo sbagliati. Il logos non comprende tutta la verità; semmai la riduce a qualcosa di comprensibile, ma pur sempre la riduce; e non vi è un primato delle idee sulla realtà sensibile, esse sono semmai facce diverse della stessa situazione. L’essere non è lontano dalla sua apparizione, dal suo emergere in una manifestazione tangibile: insomma, l’oggetto ‘mela’ non è altro dall’essenza della mela. Nietzsche apre le porte anche a questa consapevolezza che sarà poi propria della riflessione dei fenomenologi e in particolar modo di alcuni fra loro, come Maurice Merleau-Ponty, che si pongono sul limite fra esistenzialismo e fenomenologia.
Non è un caso, comunque, che il nichilismo sia nato e proliferato in Europa, nel contesto della storia del pensiero occidentale; in Oriente, ad esempio, tutto questo sconforto di fronte a una realtà che non è come avremmo voluto che fosse, non è mai avvenuto. Ma per parlare di questo servirebbero pagine e pagine di riflessione. Ci basti ora pensare che, in effetti, il nichilismo potevano elaborarlo solo quelli che avevano elaborato per secoli una metafisica della scissione: il mondo del pensiero e la realtà sensibile avvertite come separate. Al momento della caduta dei dualismi, l’Io (occidentale) si trova di fronte alla sua hybris e di fronte a un baratro in cui i punti di riferimento si sgretolano.
L’ombrello perduto del titolo interviene allora come l’immagine di «un concetto di verità che è messa alla berlina», secondo Derrida, ma è anche il simbolo che ci consente di tessere una nuova dialettica della relazione, e non dell’opposizione, fra la terra e il cielo, fra realtà tangibile e mondo del pensiero. Il gatto Mufti (di cui non vi svelo niente se non che in queste pagine vi condurrà con delicatezza e seduzione feline nei meandri dell’essere) è invece l’incarnazione di una percezione: poter cominciare da qui un nuovo cammino nella Verità, non più tanto nel tentativo illusorio di definirla e contenerla in un unico discorso, quanto piuttosto nella possibilità di attraversarla e di esserne attraversati in un viaggio che non ha meta.
Il viaggio stesso è la meta; è il relazionarci con le cose che ci avvicina al vero, poiché la Verità non è ‘qualcosa’: la Verità è un rapporto.
A questo proposito, si rivela fondamentale la traduzione italiana di Mariagiorgia Ulbar, qui in veste di germanista traduttrice, ma pur sempre una poetessa, la cui capacità di scegliere il vocabolo più preciso e al contempo illimitato ci restituisce la grande apertura e il valore di questo continuo rapporto misterioso con il vero. Poiché poi il testo di Hürlimann si trova intriso di poesia e di visione, emerge da questo lavoro anche la possibilità di considerare il linguaggio letterario, e specialmente quello poetico, come la forma di indagine filosofica più onesta e più vicina al complesso fenomeno della vita.

Thomas Hurlimann è nato nel 1950 a Zug, in Svizzera. Ha scritto numerosi romanzi, racconti e testi teatrali. ‘Signorina Stark’ è uscito nell’agosto 2001, guadagnando rapidamente i primi posti della classifica dei best seller tedeschi. Vincitore di numerosi premi tra cui il Joseph-Breitbach-Preis (2001), il Jean-Paul-Preis (2003), il Thomas-Mann-Preis (2012) e l’Hugo-Ball-Preis (2014), le sue opere sono state tradotte in ventuno lingue.

 

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