di Marta Cutugno
“Empio è colui che rispettando il Dio, distrugge se stesso”
La rassegna “Atto Unico. Scene di Vita Vite di Scena” chiude il ciclo di appuntamenti della sua quarta edizione con il sold-out di “Prometheus. O del fuoco, maestro di ogni arte”, scritto e diretto da Auretta Sterrantino, assistente alla regia Elena Zeta. Lo spettacolo, andato in scena alla Sala Laudamo in prima assoluta, è dedicato al maestro Fernando Balestra, ex-sovrintendente dell’Inda, Istituto Nazionale del Dramma Antico, dal 2005 al 2012, regista, giornalista, drammaturgo – scomparso prematuramente lo scorso giugno – con cui i fondatori di QA, Auretta Sterrantino e Vincenzo Quadarella, hanno collaborato per un lungo tempo.
Al momento dell’ingresso in sala, lo spettatore trova gli attori già in scena, a sipario aperto: si aggirano guardinghi, respirando un’aria sospesa tra semioscurità e sonorità inquiete, un preludio necessario, che si avverte come parentesi catartica e di preparazione ai fatti che seguiranno.
Nell’ombra fitta risuonano i versi ungarettiani, “Si sta come/d’autunno/sugli alberi/le foglie“. Scenografia e costumi, curati da Valeria Mendolia, si sposano eccellentemente con le atmosfere instaurate dal muto preludio. Il cratere, la parte più profonda della fucina di Efesto, è elemento scenico dominante, scelta minimale ma esaustiva e pregna di carica simbolica, così come i costumi, curati nel minimo dettaglio. Le luci di Stefano Barbagallo raccontano suggestioni fortissime e le musiche, composte da Filippo la Marca, impiegano sonorità ferrose e lucenti a testimonianza di una più che accurata ricerca sonora che determini la giusta trepidazione in un panorama post-apocalittico. Il confronto acceso tra Efesto e Prometeo è sommo cardine dell’intero testo drammaturgico, lotta tra potere e libertà, tra morte e vita. “È la vita stessa il fine ultimo e non il mezzo“.
Sergio Basile è un Efesto di sublime intensità. Sguardo spento ed anima accesa dalla volontà ferma e dal rispetto dell’armonia. Trascina il suo passo, con energia lieve ma decisa, padrone di un’espressività interpretativa che rapisce. Oreste De Pasquale traccia i contorni di un ottimo Prometeo, presente e tumultuoso nella sua irriverenza, in rapida e sincera sintonia con il personaggio interpretato.
Dal condotto del cratere si fa strada una figura di donna, è Bios, Vita, Madre e Fuoco, “cuore della Terra, nero e spento“, sofferente e combattiva, in netta contrapposizione alla violenta Bia celebrata nel dramma di Eschilo, composto intorno al 460/470 a.c. Bios è l’intensa Loredana Bruno che, nell’eloquenza del movimento, in un vortice di ansimi e potente gestualità, si fa silenziosa ed espressiva messaggera della sua forza vitale.
Inconsueta ed originale l’angolazione da cui prende vita la riscrittura del Prometeo sterrantiniano che pur mantenendo radici nella tragedia antica si apre, di converso, a riflessioni e letture moderne. Il punto di forza di questo spettacolo sta, appunto, nella capacità di non snaturarne il mito, rendendolo attuale e, lontano da invadenze e forzature, più vicino alla realtà del nostro tempo.
“Prometheus” rappresenta – afferma la regista e drammaturga Auretta Sterrantino – «la fotografia di una passività tutta moderna, attraversata contemporaneamente dalla tragedia del pensiero, o meglio dell’assenza di pensiero. Noi restiamo impotenti ad osservare lo scorrere inesorabile del tempo e della vita, come se fosse energia che si disperde. Collaboriamo alla sua distruzione, concorriamo ad accelerare il processo, ci esimiamo da ogni forma di responsabilità attiva».
foto di Domenick Giliberto
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