L’inVerso fotografico di oggi è astratto, solitario e silenzioso. L’assenza che tradisce la rarefatta presenza. L’eliminazione dell’orpello, lo zittire il frastuono per concentrare l’occhio e l’orecchio su ciò che tace e si nasconde ai sensi. Cosi provi ad aprire gli occhi al buio. L’assenza della luce disorienta e l’inganno dei sensi suscita il panico dell’essere indifesi e impotenti. Il silenzio e l’oscurità impediscono la naturale definizione di ciò che accade e la mente facilmente scivola nella fantasiosa percezione di creature nel buio. Adesso chiudere gli occhi è anche peggio. Cosi li riapri e tendi le mani avanti come a voler anticipare un pericolo. Avanzi scansando gli ostacoli col cuore gonfio e null’altro che il tatto a guidare il cammino. Poi gli occhi si abituano alla solitudine, alla privazione della luce e nell’ombra scorgono ciò che rimane, il tenue chiarore fuori dalle finestre, il ricordo di un sole tramontato o forse un riflesso di luna sfuggita alle nuvole nere.
Il minimalismo astratto e surreale delle immagini di Egor Shapovalov , un giovane fotografo russo, descrivono perfettamente il mio immaginario della solitudine, della privazione di ogni riferimento sensoriale e dell’essere sprofondati nel buio della coscienza. In quest’epoca buia la solitudine e il trascorrere del tempo vengono ritratti da Shapovalov in luoghi algidi e desolati, silhouettes emergono da orizzonti abbandonati, figure si incastrano nel paesaggio mimetizzandosi tra i colori di panorami silenziosi, personaggi che emergono da sfumature tenui di colore, si fanno spazio nello sfondo e sembrano sussurrare qualcosa, delicatamente, nella penombra di un istante.L’essenziale che diventa tutto negli occhi di chi lo sa intravedere.
Le ombre si incontrano la sera, la città buia tace, una cupa armonia penetra l’anima. Dopo cento anni dalla sua morte, i versi del poeta tedesco Georg Trakl sono tornato in auge grazie al film La vita oscena di Aldo Nove, presentato recentemente alla Mostra del Cinema di Venezia. Era nato a Salisburgo nel 1887. Influenzato da Charles Baudelaire e dai simbolisti si inserì nel solco dell’espressionismo.
Il fanciullo Elis non guardi più al cielo né al volo degli uccelli. Il silenzio è una nera caverna. Una tempestosa tristezza che gronda nera rugiada che non spegne la sete dell’azzurra sorgente, il bianco autunno del cuore, l’ultimo oro delle tramontate stelle.
Canto serale
La sera, se andiamo per oscure vie,
smorte ci incontrano le nostre ombre.
Ora chi ha sete
beva le bianche acque dello stagno,
dolci i lamenti della nostra infanzia.
Morti in riposo sotto il folto sambuco
guardiamo grigi gabbiani.
Nubi primaverili coprono la città buia
che tace i tempi di monaci eletti.
Quando io presi la tua mano esile
battesti piano gli occhi rotondi:
ora è perduto.
Ma se una buia armonia penetra l’anima
appari tu bianca ai paesi autunnali del cuore.
Lamento
Sonno e morte, le cupe aquile
sussurrano la notte, intorno al mio capo:
che dell’uomo l’aurea immagine
sommerga la gelida onda
dell’eternità? Ai paurosi scogli
schiantasi il coro purpureo.
E lamenta la cupa voce
sopra il mare.
Sorella di tempestosa tristezza
guarda: un impaurito battello affonda
dinnanzi a stelle,
al muto volto della notte.
Al fanciullo Elis
Quando il merlo nel nero bosco chiama, Elis
questo è il tuo tramonto.
Le tue labbra trincano la frescura della azzurra sorgente.
Lascia, quando la tua fronte lieve sanguina,
le antiche leggende
e l’oscuro significato del volo degli uccelli.
Ma tu con tenui passi entri nella notte
piena di tralci purpurei
e tu più bello muovi le braccia nell’azzurro.
Un roveto risuona
dove sono i tuoi occhi lunari.
Oh, da quanto tempo, Elis, sei morto!
Il tuo corpo è un giacinto
in cui un monaco immerge le ceree dita.
Una nera caverna è il nostro silenzio.
Ne fuoriesce talvolta un mite animale
lungamente abbassa le pesanti palpebre.
Sulle tue tempie sgocciola nera rugiada,
L’ultimo oro delle tramontate stelle.
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