1. C’è un luogo nella Barbagia di Ollolai che ha il nome di Orani. Risonanze misteriose, fascinanti, arbitrarie, del tutto arbitrarie, lo so, e ariose: oracolo, orazione, Orano d’Algeria, os/oris : bocca che dice e che canta.
Nell’Ogliastra Ulàssai: ulivo, Ulisse, ultimo.
2. Maria Lai spiega che ha imparato da suo padre la regola delle 5 esse per la coltivazione dell’ulivo: sasso (l’ulivo ha bisogno di terreno sassoso per crescere forte e durare nei secoli), sole (è il sole che lo fa vivere), solco (ma è il lavoro dell’uomo che lo cura), scure (l’ulivo va sfrondato, ripulito, modellato), sale (l’ulivo ha bisogno del mare affinché i suoi frutti siano dolci). La coltivazione dell’ulivo è un’arte ed è atto (comunitario) di civiltà.
3. Nel suo bellissimo Isolatria (viaggio nell’Arcipelago della Maddalena, Laterza, Bari, 2013) Antonella Anedda ricorda Maria Lai e Costantino Nivola: nomi eroici, mitici, li definisce, come lo è il Maestro di Castelsardo, volto perduto nell’addensarsi del passato (pag. 86).
4. Tessere, intessere: quando Odisseo s’avvicina alla casa di Circe ode la maga cantare mentre lavora al telaio; all’opre femminili intenta la Maga, nel poema pur vinta dall’eroe, è memoria della grande Dea mediterranea, distorta e ridotta alla funzione di malefica ingannatrice domata e dominata dal maschio portatore della cultura indoeuropea, ma, se si risale alle origini, facitrice di civiltà e di pace, esperta conoscitrice dell’arte del tessere e si tessono abiti, tappeti, stoffe da usare in casa o nel rito, tessuti di cui adornarsi e si tessono / s’in-tessono anche i racconti, i canti. Maria Lai recupera la funzione non-subordinata del tessere, la connette con l’elaborazione della cultura e della memoria, la riscatta dalla plurisecolare condanna a essere attività da gineceo inteso quale luogo di segregazione e di controllo sulla donna. Tessere, intessere: Maria Lai tende tra le mani con le dita aperte fili ch’ella contempla con religiosa attenzione. Con i fili dell’amicizia lega tra di loro le famiglie, le porte, le pareti di Ulassai, lega il paese alla sua montagna.
5. Le migrazioni mitiche dei Sardi, la civiltà nuragica, i Fenici e i Romani sull’isola, l’era insieme luminosa e contraddittoria dei Giudicati, Eleonora d’Arborea, Catalogna e Spagna, la trasmissione da cantore a cantore di quest’abissale concatenazione di storie: Sergio Atzeni scrive, come posseduto dal dio del racconto, la vertiginosa bellezza di Passavamo sulla terra leggeri; già l’Apologo del giudice bandito aveva mostrato una Sardegna indagata con occhio non ingenuo, ma non dimentico della tradizione; il nuovo libro, donatoci pochissimo prima che lo scrittore scomparisse nel mare tanto amato e cercato, rapisce la mente del lettore, come Cent’anni di solitudine, come Paradiso di Lezama Lima, come Texaco di Patrick Chamoiseau, come Grande Sertão compie il miracolo di far rivivere l’arte dei rapsodi. Come Lémistè del poeta martinicano Monchoachi.
6. Immagino Costantino Nivola rivolgersi all’amico Henri Cartier Bresson:
“Ho bussato alla porta d’una città meravigliosa di pietre antichissime materiata e piazze quadrate come cisterne neolitiche ho scolpito bassorilievi nei muri delle case e i paesani stavano a guardare ho visto mammelle e vulve nella pietra perché sono figlio della terra ti ho portato con me perché sei figlio della luce tu disegni con gli occhi ficcàti nella Leica io scolpisco con gli occhi incarnàti nelle mani immobili ci guardano la matriarca e il patriarca saliva della mia isola seduti e nobili come lo saranno stati ai tempi dei Giudicati”.
7. Una foto mostra Costantino Nivola issato sulle impalcature mentre traccia graffiti sulla facciata della Madonna de sa Itria di Orani e gli abitanti del paese lo guardano lavorare; commentano, gli danno consigli, lo interrogano e Nivola riporta come per miracolo nel cuore del Novecento l’artista-manovale che lavora in mezzo alla sua gente. Ho pensato spesso alle maestranze che lavorarono alle grandi cattedrali romaniche o agli edifici pubblici del Rinascimento: lavoratori spesso sfruttati, probabilmente, ma sapienti nella loro arte, coscienti di un ruolo (scalpellini, mosaicisti, carpentieri, vetrai …..), mastri appunto capaci di riconoscersi in un intento comune rappresentato dall’edificio in costruzione.
8. Henri Cartier-Bresson diviene amico di Costantino Nivola, ne è ospite in Sardegna; insieme hanno già lavorato negli Stati Uniti, Costantino gli fa conoscere la sorgività di una cultura contemporaneamente antichissima e modernissima, lo accompagna nei lavatoi di pietra, nelle cappelle isolate tra i pascoli e tra le campagne, gli mostra la pietra che suona al passaggio del vento.
Costantino pareva cantare nella sua parlata sarda, avrà cantato anche parlando l’inglese, dicendo sea e trees e stone, pietre affioranti nel mare degli alberi.
E l’altro grande amico di Antine Nivola, Le Corbusier, spesso ospite nella casa newyorkese dei Nivola, dipinge il muro della stanza di soggiorno dell’artista sardo: praticano entrambi il rigore del pensiero, pensano l’essere umano quale misura degli spazi.
9. Dalla Sardegna giungono i suoni della pietra: Pinuccio Sciola, è lui a scolpire le pietre che suonano, che vibrano, voci della pietra, vento che sfiora la pietra (il vento traverso l’allineamento dei menhir a Kermorvan in Bretagna facendo giungere fin qui la voce di Celan). Mano che passa su pietra e pietra che sfiora la pietra: preghiera della pietra nell’immaginazione di Vladimír Holan, arcano linguaggio:
Paleostom bezjazy,
madžnûn at kraun at tathău at saün
luharam amu-amu dahr!
Ma yana zinsizi?
Gamchabatmy! Darsk ādōn darsk bameuz.
Voskresajet at maimo šargiz-duz,
chisoh ver gend ver sabur-sabur
theglathfalasar
bezjazy munay! Dana! Gamchabatmy!
10. Elegia per legare per sciogliere dall’odio ma legare, legare alla pietra vivente elegia per ricordare e legare memoria con l’andare sogno con l’intessere elegia d’allegrezza (non vorrebbe toni mesti Maria del legare) elegia del respirare con le mani il fare con la mente l’andare nodo a nodo nel filo non interrotto camini del cuocere e cammini del léggere elegia per legare la mente alla montagna (per Maria Lai, dunque).
11. Un velo di pietra, veste dispiegata come vela o riparo (la Madonna del Parto di Monterchi?), due mani, forse, o due seni appena accennati e Costantino Nivola sguardo mediterraneo (le “Veneri” paleolitiche? i cantori cicladici?)
12. La mente raccoglie il tempo, ne intesse sulla parete le trame. Spesso Maria Lai dipinge parole sulla parete o su listarelle di legno, ella ama le parole della poesia. Ed era atto naturale dipingere o incidere parole sul muro: basta entrare in una moschea, osservare i basamenti degli edifici a Delfi. Nelle nostre città disumanate le parole sui muri si trovano nelle insegne commerciali o nei cartelli pubblicitari; forse nei graffiti è dato sorprendere, talvolta, la bellezza libertaria della parola scritta sul muro. Nell’arte di Maria la parola sta alla pari con la pietra il legno il metallo e il filo. Il grande telaio sospeso sulla fontana che canta di Nivola dentro il lavatoio di Ulassai usa anche il suono come materiale, cosicché l’arte esalta i materiali per costruire, la parola e il suono. Poi si ferma a riflettere.
13. Tra ruralità e metropolitanità, tra archetipico e digitale si dispiega quest’arte che traghetta il passato traverso il presente nel futuro.
14. Nei paesi d’Italia s’intesse luce con pietra pittura con poesia paesi lavàti nel tempo Maria Lai mente dolcissima tesse intesse libri e fili di refe nell’angolo assolato tra Matrice e pozzo benefiche streghe necessarie streghe dentro la tradìta modernità Assunta Finiguerra che danza amore ed offesa d’amore nel suo canto così antico così ficcato dentro il nostro noi Sarà per ascoltare e sarà per ritrovarci comunità se andremo nell’angolo di luna e latte tra Matrice e pozzo a bere a conversare a bere la conversazione a conversare mentre tessiamo intessiamo parole e sguardi fili di refe e carta scalpello sulla pietra affacciata sulla porta di casa Assunta ci porge un bicchiere d’acqua di pozzo seduta su un’antica sedia impagliata Maria ci spezza un pane con le mani ruvide e dolci sotto il lastricato della piazza gli antichi pesci adagiàti nella sabbia incomparabilmente più vetusta di Gerico.
15. Provo a portare nella mia lingua la voce di Paul Celan; essa dice di pietre-menhir allineate nella terra bretone, cosicché dal mare del Nord e dall’Atlantico fino nel Mediterraneo in catene d’eco risuona la sapienza del lavorare la pietra, innalzarla verso il cielo, riaffermare la chiarità della parola d’amore, della parola nell’amore:
DIE HELLEN
STEINE gehn durch die Luft, die hell-
weißen, die Licht-
bringer.
Sie wollen
nicht niedergehen, nicht stürzen,
nicht treffen. Sie gehen
auf,
wie die geringen
Heckenrosen, so tun sie sich auf,
sie schweben
dir zu, du meine Leise,
du meine Wahre –:
ich seh dich, du pflückst sie mit meinen
neuen, meinen
Jedermannshänden, du tust sie
ins Abermals-Helle, das niemand
zu weinen braucht noch zu nennen.
*
LE LUMINOSE
PIETRE attraversano l’aria, le bianco-
chiare, le portatrici
di luce.
Non vogliono
discendere, né precipitare,
né colpire. Esse vanno
sù,
come le piccole
rose selvatiche, s’aprono così,
ti si librano
incontro, tu mia Silenziosa,
tu mia Vera – :
ti vedo, tu le raccogli
con queste mie nuove, con queste mie mani
d’ognuno, tu le poni
nella chiarità ritrovata che nessuno
deve piangere o nominare.
16. Ancora per Maria Lai, a mo’ di congedo: questa piccola donna timida che s’avvia alla montagna e lo scialle dell’antenata sulle spalle trattenuto in gola dalle dita di sensitiva questa minuscola viaggiatrice del silenzio capinera dalle piume di vento fatta ora un nome disciolto nelle sue opere e un soffio levitante per i semi del pianoro questa pellegrina minuta e tenace antico volto materiato di tempo e acuto sguardo tessitrice di fili che illuminano le dita.
Tutte le immagini che nell’articolo riproducono le opere di Maria Lai (Ulassai, 1919 – Cardedu, 2013) compaiono per gentile concessione dell’ Archivio Maria Lai, luogo preziosissimo che invito a visitare e che ringrazio per la disponibilità e generosità; l’immagine di copertina (Le cinque S. China su carta, 1999) e quella che chiude l’articolo (Libro. Collage di stoffa e filo, 1991) sono fotografie di Pierluigi Dessì / Confinivisivi, mentre Il telaio del fuoco. Tecnica mista, 1972 appare per gentile concessione dell’Archivio Maria Lai.
Le immagini relative a Costantino Nivola (Orani, 1911 – Long Island, 1988) provengono dalla voce di Wikipedia a lui dedicata, ma anche in questo caso invito a visitare il sito del Museo Costantino Nivola di Orani.