Tra i tanti scritti che leggo e che mi mandano, ogni tanto capita una piacevole sorpresa. Nella gara ad apparire, ad esserci, a mostrarsi (come se poi questo influenzasse la qualità della scrittura) ci sono degli autori/trici che autenticamente si dedicano alla poesia (scrivendo ma soprattutto leggendo!!!) . Una di queste è Francesca Marica che dal suo lago mi manda parole che diradano nebbie e paesaggi autunnali. Non ha ancora pubblicato niente la Marica (tutti i suoi scritti sono uno “studio” ) ma si sta occupando anche di altre cose critiche. Nei suoi versi c’è il riverbero accennato di biografismo che esula dal soggettivismo povero e poetichese. Una capacità analitica verso i sentimenti con coup de theatre che diventano naturali, tra un quotidiano odiato ma desiderato. È interessante la sua penna e credo che possa riservare ulteriori sorprese. Qui alcuni suoi componimenti sempre in via di aggiornamento.
parlami con la voce,
raggiungimi,
che la carne diventi suono,
e il suono colpisca l’anima
facendone nido,
riparo dal mondo di là fuori.
raggiungimi,
diventa nido insieme a me
l’abbraccio di una prima mattina
le parole da dire e la paura di non ricordare
lasciare carta bianca alle mani,
consegnare le carezze alla voce –
imbastire fitti dialoghi di necessarie intuizioni
ti porto qui dentro di me
all’altezza del cuore – no, lì sarebbe banale, qualche centimetro
più in su, esattamente non saprei collocare –
dove la notte non fa più rumore
e quel che ho da dirti non ha paura di
sembrare una confessione
ti porto qui dentro di me
quando la casa vuota vorrebbe parlare
ma io la zittisco con mano pesante
per paura di non sopportare
ti porto qui dentro di me
quando sbatto la porta, alzo la voce e poi
prendo a scappare, chè non sempre riesco a
tollerare chi non odora di mare
il mio ventre di donna
ha occhi e singhiozzi bambini
vede senza avere accolto
parla senza avere pianto,
del dolore – quello che ogni donna
dovrebbe provare – non ha ricordo né traccia.
è difficile provare a ringraziare un
corpo che non si è fatto ancora madre
In autostrada, sospesa tra i ponti,
pensavo al tuo colore, al tuo odore.
le gru all’altezza di Genova sembravano fenicotteri
dalle lunghe gambe innamorati
sulla spiaggia di Sestri ti ho cercato
tra le pieghe più nascoste delle cose
vicino alle barche coperte di sale
ho immaginato un tuo sorriso a una smorfia
un rimprovero a un mio riso
ti ho scritto che il mare avvolto dalla
nebbia parlava una lingua dolcissima,
e si è fatto burlone per il sole