Simone Consorti sta per pubblicare il suo nuovo libro, Le ore del terrore, per i tipi dell’Arcolaio di Gianfranco Fabbri – ho il privilegio di anticiparne alcuni testi cui mi permetto di scrivere qualche parola introduttiva.
Si tratta di un libro totalmente immerso nei nostri anni di terrore: gli atti di terrorismo, appunto, le morti violente, quelle accidentali, gli atti di violenza generati dall’intolleranza o dal fanatismo religioso e/o politico o dalla disperazione. E Simone sceglie una modalità di scrittura che, priva di ambiguità e vezzi retorici, focalizza dall’interno ogni voce narrante, facendo esplodere senza indugi e senza pietà di volta in volta la situazione e i moventi di chi è carnefice, oppure lo stupore o il dolore di chi è vittima; attraversare questo libro è graffiarsi continuamente ai rovi dolorosissimi della storia di questi nostri anni, affondare dentro una scrittura impietosa che non concede vie d’uscita o consolanti oblii, ma la quale, anzi, si rifiuta d’essere indulgente, consolatoria, accondiscendente – c’è qualcosa del lucido sguardo del Mario Benedetti di Umana gloria e di Tersa morte, del Pasolini attentissimo alla storia a lui contemporanea, del Sereni di Stella variabile e degli Strumenti umani, del Fortini di Foglio di Via e Paesaggio con serpente: tutti autori che hanno allontanato da sé l’insignificante io per trasformare il proprio rapporto psicologico, storico e politico col mondo in un’assunzione di responsabilità e di consapevolezza che tentasse di oggettivare tramite la scrittura un’esperienza sempre dolorosa e mai pacificata proprio perché, per autori come Consorti, non può essere data conciliazione con la violenza, né con l’offesa, siano queste di matrice storica, politica o esistenziale.
E la forte espressione “Dio ha usato” oppure “Dio non ha usato il preservativo” che compare in un paio di luoghi del libro non suggerisce affatto una concezione più o meno religiosa del mondo e dei suoi accadimenti, bensì sembra rimandare all’idea di un male insito nella struttura stessa della realtà – la parola “Dio” di molti testi o è giustificazione da parte del carnefice delle proprie azioni o è accusa rivolta contro la presenza di un’assenza: quella di Dio, appunto, ma non perché Consorti senta nostalgia o bisogno di Dio, invece perché l’autore vuole dare la misura di un mondo deprivato di giustizia e d’amore nel quale l’essere umano possiede, in ogni caso, responsabilità e consapevolezza. Simile a una pellicola in negativo il libro può essere letto, allora, come il calco in negativo di una storia che dovrebbe e potrebbe essere positiva (cioè giusta, pacifica, solidale, umana) o come il referto di uno e più fallimenti storici, culturali, politici e sociali. Risultato di tutto questo è sempre il terrore che nelle pagine di Simone Consorti trova espressione in una scrittura d’ineludibile serietà e d’impietosa determinazione a dire. Potrebbe infastidire gli spiriti delicati questo libro (cosa che mi auguro), far scoprire loro che la poesia è uno sguardo diretto dentro l’inferno del terrore. Ma la poesia che vuol fare i conti con la realtà nulla ha a che fare con le pie sartine stile Ottocento.
Articolata, partecipe e illuminante la prefazione di Anna Maria Curci.
DALLA SEZIONE “Le ore del terrore”:
Alla frontiera
La guardia di frontiera
ha detto che non sono io
e che neppure mi assomiglio
tantomeno mi potrei spacciare
per mio padre o per mio figlio
Mi intima di restare fermo
e per convincermi
mi mostra uno schermo
che qui chiamano specchio
Gli altri passano e mi guardano
facendo di no con la testa
Devo essere una brutta persona
se sono l’unico che resta
Mi studio di nuovo sul mio documento
ma la guardia mi spiega che è vecchio
e lo straccia
fissandomi con la mia faccia
A volte mi è fedele come un cane
Ho portato il mio corpo al mare
a respirare iodio
e a passeggiare
A volte mi è fedele come un cane
ma spesso vomita o piange
come un cavallo che non so domare
Per esempio fa pensieri
che non capisco
oppure blatera di gloria o di suicidio
Quando lo porto in montagna è una lagna
vorrebbe buttarsi di sotto
oppure spiccare il volo
Presto mi lascerà con la mia anima
completamente solo
Massacrare a tradimento dei bambini
che stanno guardando il cielo
Massacrare a tradimento dei bambini
che stanno guardando in cielo
i fuochi d’artificio
e considerare questo incesto
meritevole del Paradiso
Immagino i bimbi in quell’attimo
accecati e illuminati
da un firmamento di astri scoppianti
che non sarà più così vivo
Dio con te può solo pentirsi
di non aver usato il preservativo
Quest’uomo è un po’ più scuro
Quest’uomo è un po’ più scuro
e ha una barba un po’ più ispida
Poco fa ha pregato
con una concentrazione mistica
e ora al cellulare parla in arabo
Ha una camicia spiegazzata
che forse odora di polvere
dico polvere da sparo
e una borsa un po’ sformata
che tiene al riparo
Quest’uomo ha un sorriso velato
e uno sguardo buono e timido
nascosto
Sento che si offenderà
adesso che cambio di posto
Van Gogh
Nella morte voglio entrarci in incognito
incappucciato come un ladro
o sconosciuto come uno
che non ha mai venduto un quadro
Mi porterò con me una tela nera
e dipingerò il buio ogni giorno
tutte le volte la stessa notte
senza albe senza lune
soprattutto senza stelle
Vorrei gettare luce su me stesso
a prescindere da quelle
e vedermi senza occhi
Fa che le stelle si sciolgano
come neve a fiocchi
DALLA SEZIONE “Preghiere e bestemmie sincere”:
Un cero per Hitler
Se i miei non si fossero incontrati
in quel campo di sterminio
non sarei nato io
il merito è tutto di Hitler e di Dio
Per questo tengo accanto al letto
i loro quadri
Uno con la barba bianca e l’altro i baffi
Tutt’e due decisi
dal buio del loro covo
a dar vita a un mondo nuovo
Mio padre non l’ho mai conosciuto
ma me lo immagino un po’ come entrambi
ambizioso e vendicativo
sicuro di sé e terribile
Tutt’intorno era un eccidio
nessun uomo era più vivo
mentre lui si dedicava con fiducia
allo stupro collettivo
DALLA SEZIONE “Spoon River Italia”:
V.
Era Natale e giocavamo a tombola
e ovviamente chi sapeva niente
di quella bombola
Per noi le uniche perdite
erano quelle al gioco
Si era al corrente solo
che qui sotto ci stavano indiani
perché odoravano sempre un po’ di curry
i nostri natali
Da noi la gente è fumantina
il nostro è un quartiere popolare
Ci vuole proprio niente
per farlo scoppiare
Per questo voglio dire di non farne
una questione razziale
e anzi se possibile di usare
un po’ di perdono e pietà
perché quel che ci è accaduto
dico lo scoppio ed il crollo
è stato solo a causa della povertà
XIV.
Sono morto prima d’imparare
a parlare a cantare
a leggere a ingoiare
sono morto prima di capire
il meccanismo delle tabelline
I rigurgiti son rutti
ma molto molto più brutti
La vita ti rimane in gola
al primo boccone
e non puoi più respirare
da nessun polmone
Da allora mio padre e mia madre
non mangiano più
nemmeno due uova
Hanno già perduto trenta chili
e vorrei fargli fare una prova
Vorrei ingozzarli
di tutte le cose per ore
così vedono che capita
solo a un caso su un milione
XXVIII.
Il più bello dei mari
è quello dove non sono annegato
quello in cui sono rimasto
con le unghie aggrappato allo scafo
svenuto di freddo e di fame
in una notte nera di catrame
Le sirene all’inizio cantavano
a squarciagola
poi sempre più piano
fino a sibilare un’ultima parola
Le sirene mi hanno urlato in africano
poi in un dialetto strano
e infine la lingua dei morti
Solo allora sono arrivati i soccorsi
in tempo per compiangere i dispersi
e per trascinarmi a riva
unica carcassa viva
Il più bello e il mio unico mare
è quello che potrò dimenticare
L’immagine di copertina fa parte della serie fotografica “La pioggia a Cracovia” di Simone Consorti e resta proprietà del suo autore.
Un grazie profondo a Antonio Devicienti e complimenti all’autore (il nostro Simone) di questo interessantissimo libro. Un abbraccio anche ai gestori di questo importante spazio .
Gianfranco
Un talento evidente questo di Simone Consorti , che non “celebra” ma pronuncia con calibrata adesione emotiva al corpo della parola . Si spera ( non si dispera ) che la critica se ne accorga .
Un sentito grazie a Carteggi Letterari .