Bobrowski? Chi è costui?
Oggi chi conosce questo grande autore, poeta e scrittore, a parte Davide Racca che ha curato un libro di sue poesie per Di Felice Edizioni (2013)?
(Anche qui: Davide Racca n.2 )
Non saprei, così come non saprei se quel libro, pubblicato da un piccolo editore, oggi sia ancora in commercio, nelle librerie, o in vendita on line.
Certo, si potrebbe cercare su internet, nelle varie librerie on line, dove si trova quel libro esaurito, o reperibile in molto, troppo tempo (tre settimane) per non pensare che sia esaurito pur comparendo in catalogo.
Bobrowski, autore estinto. Non si trovano i suoi libri qui in Italia, la sua opera non vive sulla carta. Si può ancora cercare in rete, dove si trova, in un blog di Rainews, una bella recensione di quel libro, “Poesie”, a firma di Nadia Agustoni, che riporto:
Poeta intenso, da fare male, e di pochi luminosi libri Johannes Bobrowski, è qui tradotto in modo impeccabile da Davide Racca. “Poesie” raccoglie una serie di testi usciti nei volumi 1 e 2 dell’opera completa edita dalla Deutsche Verlagsanstalt in sei tomi, come dice una nota finale di questo smilzo libretto, il cui peso però si fa sentire.
Bobrowski ha combattuto durante la Seconda Guerra Mondiale nell’esercito tedesco sul fronte orientale e i paesi da lui allora attraversati rivivono nella sua poesia, che con un lirismo rinnovato si propone di rendere una sorta di giustizia della parola ai torti reali inflitti con la guerra ai popoli a est della Germania: “Il vecchio pallido/ nel caftano consunto./ I ricci alle tempie come un tempo. Aronne,/ allora conobbi la tua casa./ Portavi via la cenere nella scarpa.”
Un lirismo che sembra piegarsi sulle cose, toccarle per preservarle in una distanza. Ogni anelito al bene sembra sconfitto in partenza e le immagini s’innervano al suono della lingua e a un mai placato chiedere conto dei disastri, delle stragi. Bobrowski non pone domande direttamente, ma c’è sulla pagina un “perché” non pronunciato sapendo subito che una risposta non è possibile.
Nei versi, di una ricchezza singolarissima e di una perfezione formale che fa capire come il poeta abbia tenuto fede al suo proposito di “elevare il livello della poesia lirica” (p. 9) nel suo paese, rimane aperta infatti la questione cruciale che le guerre del XX secolo hanno lasciato in eredità a tutti: se un mondo viene a mancare e se l’uomo stesso viene meno, cosa ci aiuta a vivere?
(In Qui Libri maggio-giugno 2014 – N. 23)
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Johannes Bobroski.
Traduzione di Davide Racca
LETTISCHE LIEDER
Mein Vater der Habicht.
Großvater der Wolf.
Und der Ältervater der räubrische Fisch im Meer.
Ich, unbärtig, ein Narr,
an den Zäunen taumelnd,
mit schwarzen Händen
würgend ein Lamm um das Frühlicht. Ich,
der die Tiere schlug
statt des weißen
Herrn, ich folg auf zerspülten
Wegen dem Rasselzug,
durch der Zigeunerweiber
Blicke geh ich. Dann
am baltischen Ufer treff ich den Uexküll, den Herren.
Er geht unterm Mond.
Ihm redet die Finsternis nach.
[Anmerkung von J. Bobrowski
Ein Herr von Uexküll stand im 17. Jahrhundert wegen Ermordung eines seiner Knechte vor dem Rigaer Rat.]
CANTI LETTONI
Mio padre l’astore.
Progenitore il lupo.
E l’antenato il pesce predatore nel mare.
Io, sbarbato, un matto,
barcollante agli steccati,
con mani nere mentre
strangolo un agnello alle prime luci d’alba. Io,
che sferzai le bestie
invece del padrone
bianco, io seguii il corteo
sferragliante su slavati sentieri,
vado attraverso lo sguardo
delle zingare. Poi
sulla riva baltica incontro Uexküll, il padrone.
Lui incede sotto la luna.
Gli fa eco la tenebra.
[Nota di J. Bobrowski
Un nobile von Uexküll fu processato davanti al senato di Riga nel XVII secolo a causa dell’omicidio di un suo servo.]
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Johannes Bobrowski, “Poesie” Di Felice Edizioni, 2013
Il viandante
Di sera,
risuona il torrente,
il greve respiro dei boschi,
cielo, solcato in volo
da uccelli urlanti, lidi
delle tenebre, antichi,
su questi i fuochi delle stelle.
Da umano ho vissuto,
di contare ho scordato le porte,
quelle aperte. A quelle sbarrate
ho bussato.
Ogni porta è aperta.
Chi chiama sta a braccia
distese. Accostati dunque alla tavola.
Parla: risuonano i boschi,
i pesci attraversano in volo
il torrente che respira, il cielo
trema di fuochi.
Johannes Bobrowski, dalla raccolta Schattenland, Ströme (“Paese d’ombre, fiumi”, 1962)
(traduzione di Anna Maria Curci)
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Der Wanderer
Abends,
der Strom ertönt,
der schwere Atem der Wälder,
Himmel, beflogen
von schreienden Vögeln, Küsten
der Finsternis, alt,
darüber die Feuer der Sterne.Menschlich hab ich gelebt,
zu zählen vergessen die Tore,
die offenen. An die verschlossnen
hab ich gepocht.
Jedes Tor ist offen.
Der Rufer steht mit gebreitenen
Armen. So tritt an den Tisch.
Rede: die Wälder tönen,
den eratmenden Strom
durchfliegen die Fische, der Himmel
zittert von Feuern.
Sempre da definire
Sempre da definire:
l’albero, l’uccello in volo,
la roccia rossastra, dove il torrente
scorre, verde, e il pesce
nel bianco fumo, quando scende la sera
sulla foresta.
Segni, colori, è
un gioco, sono dubbioso
che non finisca in modo
giusto.
E chi mi insegna
ciò che dimenticai: della
pietra il sonno, il sonno
dell’uccello in volo, degli
alberi il sonno, nel buio
procede il loro discorso?
Ci fosse qui un Dio
e fosse carne
e mi potesse chiamare, andrei
tutto intorno, un poco
aspetterei.
Johannes Bobrowski (9 aprile 1917-2 settembre 1965), da Schattenland Ströme
Traduzione di Anna Maria Giachino, in Poesia tedesca del Novecento, Rizzoli, Milano 1977, p. 229
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Immer zu benennen
Immer zu benennen:
den Baum, den Vogel im Flug,
den rötlichen Fels, wo der Strom
zieht, grün, und den Fisch
im weißen Rauch, wenn es dunkelt
über die Wälder herab.Zeichen, Farben, es ist
ein Spiel, ich bin bedenklich,
es möchte nicht enden
gerecht.Und wer lehrt mich,
was ich vergaß: der Steine
Schlaf, den Schlaf
der Vögel im Flug, der Bäume
Schlaf, im Dunkel
geht ihre Rede -?Wär da ein Gott
und im Fleisch,
und könnte mich rufen, ich würd
umhergehn, ich würd
warten ein wenig.
Johannes Bobrowski (Tilsit 9 aprile 1917 – Berlino 2 settembre 1965).
«I titoli delle prime due raccolte poetiche – le uniche pubblicate in vita – di Johannes Bobrowski definiscono immediatamente l’oggetto centrale della sua opera – Sarmatische Zeit (Tempo sarmatico, 1961) e Schattenland Ströme (Terra d’ombre fiumi, 1962). Ciò che viene evocato dai titoli è la terra natale di Bobrowski, ovvero la storica «Sarmazia», regione di «fiumi» tra Vistola e Volga in cui, per citare il poeta, «i tedeschi vivevano in stretta vicinanza assieme a lituani, polacchi e russi, e in cui il numero di ebrei era molto elevato». Ma il paesaggio della Sarmazia è anche e soprattutto «tempo», ovvero storia, e una storia di conflitti, di quelle mortuarie «ombre» che evocano la colpa tedesca nei confronti dei popoli dell’est.
Bobrowski nacque infatti a Tilsit, nella Prussia orientale, nel 1917, e nel 1928 si trasferì assieme alla famiglia a Königsberg. Nel 1943 si sposò con la lituana Johanna Buddrus e pubblicò le sue prime poesie nella rivista “Das Innere Reich”. Nel 1938 la famiglia si trasferì a Berlino, e un anno dopo Bobrowski venne inviato al fronte. Fatto prigioniero dai russi, alla sua liberazione, nel 1949, tornò a Berlino-Friedrichshagen, nella Germania orientale. Svolse lavoro redazionale nell’Altberliner Verlag die Lucie Groszer e poi nello Union Verlag, la casa editrice della CDU, il partito cristiano-democratico di cui Bobrowski era membro. Nel 1955 Peter Huchel pubblicò nella rivista “Sinn und Form” cinque poesie di Bobrowski che presentarono il poeta all’attenzione dei lettori e della critica. All’inizio degli anni Sessanta, anche grazie all’aiuto di scrittori occidentali, uscirono – quasi contemporaneamente a Ovest e a Est – le due raccolte di poesie Sarmatische Zeite Schattenland Ströme. Nel 1962 ricevette il premio del Gruppo 47 e nel 1963 pubblicò il romanzoLevins Mühle (Il mulino di Levin), in cui delineò la problematica dei conflitti etnici e della specifica questione ebraica. Bobrowski morì nel 1965 in seguito ai postumi di un intervento chirurgico. Subito dopo la morte, nel 1966, uscì la raccolta di liriche Wetterzeichen (Segni del tempo).
Partendo da Hölderlin e Klopstock, ma attingendo soprattutto alla tradizione simbolista, Bobrowski distilla una lingua ermetica, fatta di immagini naturali dal valore mitico-evocativo. Ciò che il poeta in tal modo ricostruisce – testimoniando una fiducia nella poesia come veicolo e deposito di memoria – è un paesaggio di figure leggendarie e di una natura arcaica, ma nella quale sono visibili le tracce indelebili di una immane tragedia storica.»(da: Antologia della poesia tedesca, a cura di Monica Lumachi e Paolo Scotini. Introduzione di Patrizio Collini, E-ducation.it, S.p.A., Firenze 2004, pp. 744-745).
Chi conosce oggi Bobrowski? (continua)