di Ilaria Grasso
Nell’atto creativo, l’artista, molti dicono che sia un bene che rimanga al margine dell’opera o comunque il più distante possibile. Ma l’atto creativo non trascende mai lo sguardo, la visione di chi crea. L’ispirazione anche non nasce sic et simpliciter. Necessita infatti di un atto contemplativo, di una meditazione, di una prolungata e intensa applicazione delle proprie facoltà intellettuali e spirituali. C’è infatti nelle immagine di un dipinto o di una scultura o nelle parole di un poeta prima di tutto un processo evocativo. Chi crea riesce ad ispirarsi utilizzando in maniera più o meno inconscia, la memoria e il pensiero come scrive in maniera puntuale Marco Caporali, in questi versi. L’atto creativo, in tal senso, è la rappresentazione dell’esperienza e del pensiero che si racconta. In natura, l’atto creativo, non considera questi elementi. Due individui, ad esempio, quando mettono al mondo un bambino, né pensano e né ricordano. Si lasciano semplicemente andare durante l’atto d’amore all’interno nel quale mescolano gli umori che danno vita ad un altro essere umano. Facendo ciò gli donano una prospettiva che come genitori hanno il dovere di custodire e sostenere.
Per quanto laterale sia nel quadro
presenza umana è sempre presenza di un artefice
che contemplando crea
a propria immagine
e tutto riporta a ragione e memoria.
Invece in natura una vita
accondiscende all’altra,
se ne sta nel proprio peso
e si possiede nel lasciarsi andare.
Se s’apre una via nel rigoglio
si schiude un orizzonte e chiede all’occhio di restarvi attorno.
Da ALLA FINE DEL SOLCO – Edizioni Empiria
In immagine di copertina: Marco Caporali, foto di Dino Ignani