Secondo l’analisi dei flussi pubblicata dal Corriere, il M5S rispetto alla politiche ha perso molti voti a favore dell’astensione (38%), non del Pd (4%) – un 14% sarebbe andato alla Lega.
Si veda qui: Corriere – flussi voti
Come riportato dal Corriere: “poco più di un terzo degli elettori che avevano votato il M5S nel 2018, lo hanno rivotato domenica scorsa. Un altro terzo abbondante (circa il 38%) non è andato a votare , il 14% ha votato la Lega, solo il 4% ha votato il Partito democratico, mentre il 6% gli altri partiti. Quelli che sono «tornati a sinistra» sono dunque una quota ovunque trascurabile. L’elettorato proveniente da sinistra e che votò il M5S l’anno scorso non è tornato a sinistra (nonostante la figura «meno divisiva» di Zingaretti rispetto a quella di Renzi), ma si è rifugiato nell’astensione.”
Questo significa che una buona parte degli elettori di centrosinistra che alle politiche del 2018 è passata dal Pd al m5S ora si è astenuta, vale a dire: dopo essere stata delusa dal Pd, ora è rimasta delusa dal M5S. Dovrebbe essere, questa, una buona notizia per la sinistra, perché significa che ci sono ancora milioni di persone, potenziali, che potrebbero votare una nuova sinistra… se la vedessero!
I Wu Ming tentano un’analisi sugli astenuti sul loro blog, nel quale parlano di “variabile impazzita” riferendosi al popolo degli astenuti, che è quello che fa cambiare le sorti alle elezioni. Anche i Wu Ming sottolineano che il M5S ha perso soprattutto elettori che si sono astenuti. Poi si lanciano in una serie di considerazioni sugli astenuti che sarebbero attivi socialmente, su Renzi che era contestato dalle piazze (attendendo il turno di Salvini), sull’attesa che dal conflitto sociale sorga una nuova offerta politica… che mi sembrano molto vetero.
Per esempio, quando leggo Wu Ming commentare:
” Qui non c’è da attendere niente: c’è da fare lavoro politico e culturale nel mondo che non vota, o vota sempre più di rado. Lavoro politico e culturale non per convincere chi non vota a tornare a farlo – non avrebbe senso, dato che l’offerta politica fa cagare – ma perché il non-voto non sia vissuto come mera scelta individuale o, peggio ancora, come dettato da impotenza. Chi si astiene deve rendersi conto di essere parte di una potenziale massa d’urto, la «variabile impazzita» di cui sopra.. …Soprattutto, a noi interessa far notare che ci sono vita politica, attivismo sociale e cura della res publica anche tra chi non vota, anzi, la nostra impressione è che queste cose si incontrino con maggiore frequenza tra chi non vota…
Solo riconoscendo l’esistenza di queste forze ed energie si può capire come ricostruire un’opposizione sociale che sappia incidere a livello nazionale e oltre. Dopodiché, se dalle lotte sociali nascerà un’offerta politica credibile, chi oggi si astiene potrà tornare a votare in modo meno sporadico, ma la priorità non è affatto quella. Noi non ci auspichiamo tout court che l’astensionismo “diminuisca”. Allo stato attuale, non può succedere.
Chi non vota più non dovrebbe affatto sentirsi in colpa, anzi, dovrebbe vedere il proprio non-voto come l’inizio di qualcosa.”
Trasecolo per il linguaggio e lo scenario:
Lavoro politico e sociale nel “mondo che non vota” al fine di renderli consapevoli che fanno parte della variabile impazzita e non farli sentire in colpa? Cos’è, una terapia psicologica di gruppo? E dove pensano di trovare questo mondo? Tra chi non vota ci sarebbe più “attivismo sociale”? “Offerta politica” che potrebbe nascere “dalle lotte sociali”? Ecco, mi sembra un discorso da intellettuali innamorati di una loro “narrazione” della realtà, affascinante, come narrazione, ma che scorre parallela alla realtà.
Per fare una nuova sinistra c’è bisogno di intellettuali che agiscano.