PRESENTATO IN ANTEPRIMA ALL’ORTIGIA FILM FILM FESTIVAL
Il documentario di Gaetano Di Lorenzo, realizzato dall’Associazione Arknoah con il contributo della Sicilia Film Commission e di Scalia Group, proiettato in concorso a Siracusa e già selezionato al San Giò Verona Video Festival.
Un ritratto inedito del grande Totò, dagli esordi teatrali fino all’abbandono del palcoscenico avvenuto a Palermo per il riacutizzarsi dei problemi alla vista. A prescindere…Antonio De Curtis è un viaggio nella memoria di uno dei più grandi artisti del ‘900, con interviste inedite, materiali di repertorio rari e un’originalissima ricostruzione d’epoca.
Diretto da Gaetano Di Lorenzo, autore di numerosi documentari premiati in diversi festival, il film è stato selezionato per l’undicesima edizione dell’Ortigia Film Festival e proiettato in anteprima assoluta il 18 luglio, nell’ambito del Concorso Internazionale Documentari. Il prossimo 28 luglio sarà proiettato come grande evento di chiusura al San Giò Verona Video Festival. La produzione è dell’associazione culturale “Arknoah” di Messina, con produttore esecutivo Francesco Torre, e il lavoro – tratto dal volume di Giuseppe Bagnati “Totò, l’ultimo sipario”, edito Nuova Ipsa, è stato realizzato con il contributo di Sicilia Film Commission e Scalia Group.
I fatti
Palermo, 3 maggio 1957. La motonave Calabria della Tirrenia, proveniente da Napoli, entra nel porto di Palermo. E’ una bella mattina di sole. A bordo della nave c’è Totò con la sua compagnia di rivista. Alle 21.15 sarà al teatro Politeama per la prima delle cinque recite di “A prescindere”. Gli altri spettacoli sono in programma sabato 4, quindi domenica 5 matinée alle 17 e serale alle 21.15, infine lunedì 6 serata in onore e addio a Totò, come recita la pubblicità di quei giorni. Ma questa serata non si farà mai. Totò, quella mattina al porto, non poteva immaginare che a Palermo avrebbe chiuso la sua carriera teatrale.
Dopo oltre sei anni in cui si dedica al cinema, Totò torna al teatro nel 1956 con A prescindere. L’attore è all’apice della sua popolarità. Le prime repliche al Sistina di Roma sono un trionfo, e la tournée si prevede lunga e di inaudito successo. La prima tappa è Salerno, poi Napoli e in seguito Livorno, Torino, Milano, le grandi e medie città della Lombardia, del Veneto, dell’Emilia Romagna. Infine, il viaggio in Sicilia, con prima destinazione Palermo. Totò è molto felice di tornare nel capoluogo siciliano, città cui è molto legato innanzitutto perché diede i natali alla madre Anna Clemente, ma anche per un ricordo lontano nel tempo, risalente al 1922 e collegato al Maestro (e grande amico del nostro) Eduardo De Filippo.
In quell’anno i due recitavano a Palermo in due teatri diversi: De Curtis al Politeama, De Filippo all’Olympia. Alloggiavano, però, nella stessa pensione e quando Eduardo si ammalò e fu costretto a letto per giorni, Totò gli fece da sostituto e da infermiere, con una generosità e un affetto che Eduardo gli riconobbe per tutta la vita.
La prima dello spettacolo A prescindere al Politeama di Palermo è un enorme successo. Mentre in sala scrosciano gli applausi, però, dietro le quinte si consuma un dramma. Il male agli occhi, già accusato in passato da Totò e diagnosticato come una pericolosa retinite, si riacutizza. Il pubblico non percepisce nulla ma alcuni sketch vengono eseguiti praticamente “alla cieca” e Franca Faldini, all’epoca compagna di Totò, racconta di pianti e scene di disperazione.
Il giorno dopo il Principe si sottopone ad un’attenta visita medica. Gli viene intimato il riposo ma Totò decide comunque di andare in scena, tenendo fede al programma, che per la domenica prevedeva addirittura due spettacoli. Questa volta il pubblico palermitano comincia a capire: l’attore spesso brancola, tende le braccia come per trovare un sostegno. Di fatto, la recita serale del 5 maggio chiuderà per sempre la sua carriera teatrale.
Il giorno dopo, infatti, visitato dal professore Giuseppe Cascio, Totò riconosce la gravità della propria situazione medica, annulla l’ultima replica a Palermo e con essa la tournée. La decisione non è certo ben vista né dalla produzione dello spettacolo né dai teatri che avrebbero dovuto ospitarlo dopo Palermo. Lo stesso Cascio racconta di un tentativo di corruzione effettuato da alcuni impresari di Caltagirone, affinché il referto medico venisse rivisto in forma più lieve. Un altro imprenditore catanese, Salvatore Mazza, intenta causa allo stesso Totò per i mancati guadagni (aveva venduto già 14 milioni di vecchie lire in biglietti). La decisione, però, è irreversibile: «Totò quasi cieco scioglie a Palermo la compagnia», titola il giornale L’Ora in prima pagina nell’edizione dell’8 maggio.
La notizia fa ben presto il giro d’Italia. 850 sono i telegrammi con auguri di pronta guarigione che Totò riceve una volta ritornato a Roma. Circa 60, come testimonia anche Maurizio Costanzo, le persone che si offrono disponibili a donare un proprio occhio al Principe della risata. Questi, ai giornalisti, minimizza, dicendo che si trattava solo di pinzillacchere. Ma intanto sono tre i progetti cinematografici che deve abbandonare, la convalescenza dura sette lunghi mesi, accompagnata peraltro da altri disturbi, e il ritorno sul set non è affatto una passeggiata. Il suono del ciak, però, sembra sempre avere un effetto miracoloso sulla sua malattia. Ne darà una commossa testimonianza anche Federico Fellini nel suo libro Fare un film.
«Vedo Donzelli, un attore napoletano, che guida Totò verso il muretto dove c’è un po’ di sole, lo portava per mano, un passo alla volta, come si conduce un ammalato, un cieco. Totò aveva il volto nascosto quasi completamente dietro i grandi occhiali neri che da parecchi anni ormai portava sempre. (…) Adesso vengono due della produzione a prenderlo uno da una parte e uno dall’altra, lo fanno camminare quasi sollevandolo, come se portassero un santo in processione, una reliquia. Spinto da una curiosità insieme scientifica e sentimentale entro anch’io nello studio, voglio vedere come si fa a lavorare in quelle condizioni, non posso crederci.
Nello studio tutto è pronto. (…) Si accendono le luci. Motore! Ciak! E solo a questo punto Totò si toglie gli occhiali ed è il miracolo. Il miracolo di Totò che improvvisamente ci vede, vede le cose, le persone, i segni di gesso che limitano i suoi percorsi, non due occhi ma cento che vedono tutto, perfettamente. E salta, piroetta, corre sgusciando via in un salotto pieno di mobili. (…) Stop. La scena è finita, si cambia inquadratura. Nel caos che segue ogni fine ciak Totò si rimette lentamente gli occhiali e tende le braccia in attesa che qualcuno venga a prenderlo, e lo portano via infatti, piano piano, facendogli fare attenzione ai cavi, alle pedanine, alla gente. E’ tornato quella creaturina incredibile che prendeva il sole poco fa in giardino, un esserino incorporeo, un dolcissimo fantasma che ritornava nel buio, nell’oscurità, nella solitudine».
Note Artistiche
Totò è indiscutibilmente la più popolare maschera comica del cinema italiano. Il suo enorme corpus filmografico (massicciamente rappresentato da farse ma reso eterogeneo da non poche incursioni nei territori della grande commedia italiana e del cinema d’autore), l’identità ostentatamente anarchica o quantomeno extra-ideologica dei suoi alter-ego in celluloide, la straordinaria mimica, l’invenzione di una particolarissima lingua italiana fortemente connotata delle origini dialettali del nostro, sono fattori che hanno permesso una divulgazione intergenerazionale e socialmente stratificata della sua figura artistica. Operai e imprenditori, nonni e nipoti, uomini e donne, analfabeti ed eruditi: se c’è un elemento che unifica il popolo italiano aldilà della nazionale di calcio, questo è proprio, ancora oggi, Totò.
Divulgata per le masse e ampiamente brandizzata, la figura artistica di Totò ha però subito negli anni un processo di mitizzazione e conseguente stereotipazione in cui non hanno trovato cittadinanza né l’intima e spesso biografica produzione poetica in lingua napoletana, né tantomeno la lunghissima carriera teatrale. Slogan linguistici di rara efficacia come “Vota La Trippa”, “Noio volevam savuar”, o gag visive di grande potenza iconica come la sequenza della pastasciutta in “Miseria e Nobiltà”, si stagliano così nella memoria culturale nazionale ben più di “A’ livella” o del “Bel Ciccillo”, di “Vicoli” e di tutto il repertorio di varietà che ha costruito l’identità d’attore poi trapiantata al cinema. In pratica, così come su scala planetaria il l’immateriale personaggio Charlot ha finito per schiacciare con il suo enorme peso il fragile corpo dell’uomo e artista Charlie Chaplin, così il personaggio Totò ha del tutto marginalizzato la figura umana e artistica di Antonio De Curtis.
Senza negare o sottacere le ragioni storico-artistiche e i motivi ricorrenti della narrazione del mito Totò, il documentario “A prescindere…” si pone invece proprio l’obiettivo di porre finalmente al centro della scena Antonio De Curtis, l’uomo e l’artista, tramite il racconto di un episodio chiave della sua esistenza che, sebbene ampiamente riportato dai giornali dell’epoca e recentemente approfondito anche in tesi di laurea, ad oggi risulta quasi sconosciuto anche ai più appassionati fruitori dei film di Totò: il forzato addio alle scene teatrali dovuto all’aggravarsi di una grave forma di retinite che nel tempo finì per renderlo quasi completamente cieco.
La drammaticità dell’evento, come si può facilmente immaginare (ma ciò è confermato da tante testimonianze), fu tale da lasciar emergere appieno le qualità umane, le paure, le insicurezze, ma anche la grande forza d’animo, la generosità, il desiderio di affetto dell’attore, mai incline all’abbandono del suo comprovato “ruolo sociale” ma assai provato nell’anima e nel corpo. Un racconto “esemplare”, dunque, certamente universale nei valori di abnegazione e resilienza che riesce a tramandare ad un pubblico di ogni età, nazionalità ed estrazione sociale. Ma anche una storia privata, intima, restituita dalle voci dei diretti testimoni e dal materiale di repertorio.
Il tutto da far confluire in un ritratto inedito e filologicamente onesto, affettuoso ma non reticente. Un tassello dalla cromia inusuale, capace di rendere il mosaico De Curtis/Totò ancora più affascinante e di offrirne alle nuove generazioni di pubblico
un’immagine certamente più problematica, ma sicuramente anche più contemporanea.
Gaetano Di Lorenzo ( Regia )
Si forma sul campo come filmaker indipendente producendo e dirigendo diversi documentari e cortometraggi che analizzano il tessuto sociale e i fatti storici della Sicilia. Nel 2000, con “I gitani della mia città”, ambientato nel campo nomadi della Favorita a Palermo, vince il primo premio come miglior documentario al Festival “Prima Aziz”. Il suo “C’è molto da aspettare” (2003), ambientato un salone di barbieri, si classifica al 1° posto come miglior cortometraggio al festival Visionaria di Siena e a Un mare di corti di San Vito Lo Capo. Nel 2004 realizza il corto “Racconto di un successo”, dove si celebra la carriera del cantante neomelodico Enzo Scugnizzo. L’opera viene selezionata per il Festival Visioni Italiane di Bologna e vince il Premio Cinit a Eolie in Video di Lipari. Nel 2006 è la volta di “Miracolo a Ballarò”, la storia di un miracolato e della sua famiglia, con cui vince lo Zabut Film Festival, il Collecchio Video Film ed il Premio MINI support cinema a Eolie in Video. Nel 2009 realizza un documentario sull’Arte contemporanea in Sicilia dal titolo “Lo spirito del tempo” e nel 2010 il documentario che racconta la vita del pugile Pino Leto, Campione Europeo, dal titolo “Miricano – dalla strada al ring”. Ulteriori riconoscimenti nel 2012 raccoglie il cortometraggio a soggetto “L’Oro di Nicola”. Nel 2010 il Museo del cinema di Torino gli dedica una retrospettiva che poi viene proiettata anche a Parigi. Nel 2015 realizza “A proposito di Franco”, documentario di lungometraggio dedicato all’avventura umana e professionale di Franco Indovina, che verrà proiettato in anteprima a Bologna nell’ambito del Biografilm Festival 2015. L’anno successivo, con “Chiara Zyz – Un fiore nel cuore di Palermo”, partecipa alla Mostra Internazionale del Cinema di Venezia e vince il Pazmany Film Festival di Budapest.