Svenimenti a distanza, Mario Fresa – una recensione di Emilio Risso

di Emilio Risso

 

Analisi ironicamente sofferta dell’alienazione del presente e del continuo senso di perdita di identità dell’uomo contemporaneo, Svenimenti a distanza di Mario Fresa (Il Melangolo) è un libro eccentrico e nervoso, in cui l’autore si abbandona a un flusso metamorfico (sia espressivo, sia formale) che tiene sempre viva l’attenzione del lettore. Eugenio Lucrezi scrive, nel suo acuto saggio introduttivo: “Essendo un manufatto di parole, Svenimenti a distanza non può che svolgersi nell’estensione del suo corpo fatto di pagine, di racconto ed è il racconto di un’esperienza di sofferenza e perdita, anzi di sofferenza risultante da una successione di perdite”. Fresa, scrittore e traduttore di raffinata cultura, ama sperimentare e condurre la parola in labirinti di inesausta inquietudine, tessendo, con la sua scrittura, una ragnatela drammaturgica anarchica e bizzarra, “operistica” e paradossale, entro la quale si muove, con onirica stupefazione, “Una folla innumerevole di personaggi, di scenari, di ambientazioni, di detriti memoriali e di reperti provenienti da diverse storiografie” (Lucrezi). La scrittura polifonica e coltissima di Fresa (sottilmente piena di citazioni di cultura musicale, storica, psicoanalitica, filosofica) diventa allora “un atto di coraggio del tutto autonomo rispetto alle sanzioni del fine vita”. Si confondono e si rincorrono sempre, così, nella densa scrittura di questo libro (declinata ora in versi misteriosi e visionari, ora in prose surreali e imaginifiche) istanti e sensazioni di turbato sbigottimento, in cui l’io si moltiplica e si azzera (“sviene”, smarrisce il proprio nome) recuperando una sorta di momentanea follia redentrice; ma la potente essenza sovvertitrice del non senso e dell’illogico che percorre l’intera raccolta non è certo un intellettualistico gioco fine a se stesso: poiché essa, infatti, si rivela straordinariamente capace di far emergere, senza sosta, rinnovati (e altrimenti inconoscibili) particolari dell’esistenza, non di rado enigmatici e ambiguamente dolorosi: “Il rapporto tra noi è una gengiva azzurra; / e tanto si dimentica lo stesso. / Come i gamberi e l’acqua nodosa che li fanno diventare eterni. Ancora un ospite e odore di esempi finiti male. / Meglio svenire in qualsiasi continente che tra le tue braccia”.

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