di Ilaria Grasso
Se dovessimo attribuire a questa nostra epoca un genere letterario quasi sicuramente potremmo dire che il nostro è tempo del Giallo. Il giallo ha sempre un colpevole (un nemico) e questo un po’ rassicura e placa l’inquietudine dell’incertezza o meglio dell’angoscia del domani. Lo schema però è abbastanza piatto. C’è sempre una vittima, un colpevole e la sospensione del tempo fino all’unico colpo di scena del libro che di solito svela l’assassino. Dicevamo che è un genere che rassicura e rassicura perché c’è sempre un commissario che controlla e regola e soprattutto punisce. Il commissario Magrelli però è un commissario diverso da quello che ci aspettiamo perché non giudica e non punisce, anzi con grande ironia ed empatia, svela l’assurdo di alcuni di quei meccanismi difensivi che a volte corrispondono con la parola “giustizia”. Una cosa infatti è giusta quando corrisponde a delle regole o a dei valori che scegliamo grazie alla consapevolezza o a un pensiero strutturato e ben argomentato. Ma la maggior parte delle persone a volte si sente nel giusto anche in assenza di valori di riferimento o di una struttura del pensiero profonda e sono quasi infastiditi quando qualcuno gli rivolge domande sulla natura della giustizia delle cose. Allora forse meglio tagliar la testa al toro (o al ragionamento poco importa) o tirare un colpo dritto al cuore come ironicamente suggerisce Magrelli e continuare a vivere sempre e solo sulla superficie delle cose.
La cosa più noiosa
di certe sparatorie viste al cinema,
è il pistolotto che sbrodola il cattivo
invece di decidersi a colpire.
Ti prego, fammi fuori,
ma non dirmi perché.
Mi fido, ti capisco, ma mira al cuore: tutto,
purchè mi eviti un’altra spiegazione.
Da IL COMMISSARIO MAGRELLI – Giulio Einaudi editore
foto di Dino Ignani