di Marta Cutugno
“Ti voglio con me durante i miei giorni cattivi”. Desiderarla sempre ed ancora, di notte, di giorno e quando sarà andata via. Una simbiosi ossessiva quella vissuta e consumata nella vita vera da Oskar Kokoschka ed Alma Mahler nella Vienna dei primi del Novecento, una storia d’amore che troverà il suo curioso epilogo nell’adorazione di un simulacro. “La creatura del desiderio” di Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale – una produzione Teatro della Città di Catania in collaborazione con Must Musco Teatro – è spettacolo affascinante, articolato e di non semplice struttura, andato in scena alla Sala Strehler del Biondo di Palermo dal 27 novembre al 1 dicembre. La trasposizione drammaturgica resta fedele in buona misura al testo del Camilleri edito da Skira, riportandone non soltanto la successione temporale dei suoi capitoli come blocchi in sequenza, ma anche lunghi passi e stralci di lettere tra i due. E come rende noto lo stesso autore, la scrittura di Kokoschka era piuttosto contorta, a tratti affannosa e dai nodi intricati. Straordinaria la bravura degli attori in scena, chiamati a cristallizzare i caratteri dei personaggi e le loro re-azioni, mantenendo, a monte, la struttura narrativa della corrispondenza ed una adesione sentita al testo di riferimento. Un quadro dopo l’altro, David Coco e Valeria Contadino raccontano, con palpabile sentimento, la passione di fuoco che colse i due amanti e che è impressa sulla tela più nota del pittore secessionista, “La sposa del vento” del 1914, un turbine amoroso, materico e spigoloso nella forma, che li travolge e li protegge al tempo stesso, opera pittorica oggi conservata al Kunstmuseum di Basilea. La regia di Dipasquale si manifesta rispettosa ed in funzione del testo scritto, muovendosi per interessanti lampi luminosi che avrebbero certamente scatenato maggiore effetto se maggiore fosse stata la distanza tra il pubblico in sala e lo spazio scenico. Tra i momenti più intensi, sicuramente vi è l’immagine dell’artista/Coco che, con le spalle rivolte al pubblico, tiene la mano alta e ferma nel gesto di dipingere quella significativa tela, un labirinto doloroso che prende anche il nome di “Tempesta“, in proiezione sul fondo scenico. Molto belle le scelte musicali di Matteo Musumeci, con incursioni di noto repertorio come il Waltz n. 2 di Šostakovič.
“Mi piacerebbe passeggiarti nel sangue“. La vicenda ha inizio nel 1912, a Vienna. Alma Mahler, rimasta vedova del celebre compositore delle dieci sinfonie, è una donna bella e molto desiderata che vuole soddisfare la curiosità di incontrare il giovane pittore Kokoschka, noto ai più come un pazzo ed un degenerato. A sipario chiuso, il bravo Davide Sbrogiò, prima di vestire i panni di un cameriere dai bianchi guanti già in servizio presso castelli principeschi, introduce la storia con il “quasi prologo“, un excursus di storie vere o di pura fantasia che raccontano di bambole e di feticci, dall’euripideo simulacro di Elena di Troia a “La moglie di Gogol'” di Landolfi. Il richiamo forte alla simbiosi, alla “cosa sola” è presente anche nel minimalismo delle scene firmate da Erminia Palmieri che sceglie di fondere tavoli e sedie in un unico corpo. Di sua cura sono anche i pertinenti costumi. David Coco è eccezionale nel ricostruire l’inquietudine di Oskar, ne lascia emergere l’incontrollabile folle passione che subito si fa debolezza e dipendenza ossessiva nei riguardi della donna. È geloso del suo trascorso, della figura del defunto Mahler per il quale auspicherebbe la damnatio memoriae ed è in conflitto con la famiglia. A portare in scena la donna e la bambola è una straordinaria Valeria Contadino: le due visioni, quella pulsante di vita e quella inanimata di Alma che prende forma attraverso i movimenti di Donatella Capraro, si incontrano fino a perdersi completamente l’una nell’altra.
“La signora silenziosa“. Ma i due amanti hanno anime fragili e presto il loro delicato equilibrio verrà meno. La gelosia acceca Kokoschka, Alma non regge ed esce dalla casetta nel Semmering per non tornare mai più. Il pittore si perde nella sua malinconia, conosce l’orrore della guerra da volontario, viene ferito e dopo lunghi ricoveri si stabilisce a Dresda. Ma il desiderio dell’amata non lo ha mai abbandonato, e così, in lui matura l’idea-oggetto dello spettacolo. Per parlarle, per accarezzarla ancora, commissiona ad Hermine Moos, un’artigiana di Monaco, la copia perfetta di Alma, dandole indicazioni precise su cosa e su come fare. “Sono di mese in mese sempre più impaziente di vedere questa creatura del desiderio che lei riuscirà sicuramente a ottenere con astuzia da tutti i suoi sensi, in modo tale da poter conseguire il mio obiettivo di venire illuso“. La Moos ci impiega nove mesi e finalmente Kokoschka può rivivere memorie, pensieri, illusioni di colloqui, condivisione intellettuale ed intimità. Nella sua follia, Kokoschka trova l’appoggio incondizionato dei suoi due servitori, Hans e Reserl, la cui figura assume contorni piuttosto diversi rispetto al testo letterario. Hulda, che Kokoschka chiamava Reserl abbreviando in austriaco il nome Teresa, era una “deliziosa ragazzetta sassone“, ora serva ora amante occasionale del pittore. Nella messinscena, invece, per il personaggio di Reserl, che è ottimamente interpretata da Antonella Scornavacca, si punta alla fedeltà cieca e scevra di malizia verso Kokoschka ed alla partecipazione attiva al gioco immaginario con la bambola, eliminando il rapporto più carnale tra i due. Solo Oscar ed Alma, che prima era donna e adesso ricreata immagine, bambola di compagnia. Per Oskar ed il simulacro non mancarono cene, feste, uscite pubbliche e serate all’opera, fin quando quel gioco assurdo ed immaginario non incontrò il delirio di una notte. Il linciaggio da feticcio a fantoccio. Era soltanto una bambola.
In copertina foto di Dino Stornello