Recensione di Felicia Buonomo
Chi diceva, parlando dell’arte dell’immagine statica, che «fotografare è scrivere con la luce», aveva più volte ragione. E allora Paola Setaro ha deciso di scrivere e riscrivere – con le parole in versi e con le immagini fotografiche – l’esperienza della perdita. Così viene introdotto il lavoro editoriale compiuto dalla Setaro con “Non potevo metterci anche l’orizzonte”, edito da Edizioni La Gru. Ma è molto di più che questa esperienza a essere raccontata. È lo sguardo prismatico sull’esistenza. La cura di dettagli che si credono memoria passata, ma che finiscono col diventare orma indelebile, per quanto ricusata.
«La sinossi è breve / senza troppe capriole: / c’è chi scrive per resuscitare / io lo faccio per dimenticare», scrive l’autrice, stringendoci attorno al suo dire, che non ci dà tregua, nel quale ci si può riconoscere certo, ma al tempo stesso ci si vuole rinnegare.
La narrazione in versi di Paola Setaro parla di un personale universo emotivo che si dispiega inarrestabilmente, senza curarsi dell’ambiente; lo si percepisce in versi come: «Non mi ispiro a nessuno / mi riconosco sola / in una corsa tutta mia / verso la sottrazione / da colpe e negazioni».
La lirica è asciutta, così come i suoi componimenti. Piace pensare che sia una sorta di prosecuzione – e ci perdonerà se non trova questa proporzione teorica aderente ai suoi intenti – della scrittura fatta con le fotografie, ugualmente a sua firma, dove il “gioco” del chiaroscuro fa leva sullo spazio in cui l’osservatore – o lettore – vuole o preferisce posizionarsi. E così si passa dalla catastrofe all’attesa, dal centro metropolitano alla periferia dei pensieri. Le immagini sono l’architrave della poesia e Setaro le maneggia con cura, con la “cautela dei cristalli” (ricordando Mariangela Gualtieri), non graffia mai nel suo dire, ma accompagnandoci, persiste.
«Se tu hai messo il silenzio / io non potevo metterci anche l’orizzonte», scrive Paola Setaro. E noi rispondiamo che lo sguardo teso verso l’immaginario (individuale o collettivo che sia) lo possiamo e vogliamo mettere noi. E non sarà la perdita di cui parla l’autrice a dominarci, sarà l’umano rimanere, cogliendo l’invito dello scrittore argentino Cortàzar, quando ci diceva che «il gesto umano per eccellenza è rimanere».
Perché è davvero come lei dice, quando scrive che «il dolore è elementare», e come tale ci livella, non distingue, non risparmia, niente e nessuno. In alcuni casi si trasforma. E diventa, come per il testo della Setaro, voce collettiva.
Felicia Buonomo
Siediti
ne dobbiamo parlare seduti,
non precipitiamo così
in vortici, decisioni,
simulazione di intenzioni.
Torniamo ad abitare per errore
il nostro unico corpo cieco
così come si torna
per un remoto e fisiologico
senso del dovere,
giusto il tempo di rifugiarci
nella sconveniente messinscena
di reciproche anguste promesse.
Tanto lo vedi pure tu
attraverso gli steccati,
che il prossimo spiraglio
non è poi troppo lontano?
Da “Non potevo metterci anche l’orizzonte” – Edizioni La Gru