“Stasera c’è un’aria che punge. Piccoli aghi sottili come capelli attraversano la pelle e puntellano i muscoli. Per liberarsene, bisognerebbe afferrarli uno a uno, strapparli poi con piglio deciso lasciando gemere quei piccoli fori vitali pronti a rimarginarsi, a occultare il male. Dicono che il freddo produca un effetto anestetico, ma in questa serata dai gradi in picchiata non allevia il mio dolore. Anzi, lascia intatte le due sensibilità: superficiale e profonda”. Con questa immagine cruda e poetica si apre il romanzo della scrittrice Elvira Morena “Le solite notti”, Marlin editore, II edizione. Un racconto amaro e coinvolgente che ha come protagonista Flora, in arte Audrey, nome preso a prestito dalla Hepburn, la bellissima diva holliwoodiana.
È Flora la voce narrante, è lei che racconta la vita di prostituta sua e delle altre come lei, ognuna confinata nel perimetro del recinto assegnato a ridosso della Pineta Grande alla periferia della città. “Samantha sostiene che un paio di lenti Richmond vanno inforcate anche al buio, così non si guarda la notte in faccia; che lo stilista Cavalli regali miraggi africani, ispirazioni tribali”. A controllare il lavoro c’è Peppe, un amico che l’ha accolta quando, da sola, è arrivata dal Sud. “Peppe ci disponeva in prossimità: una seguiva l’altra nei rettangoli di competenza. Adornate dalle cornici barocche che le tarme ostinate bucherellavano a ripetizione, lanciavamo gli ami ai clienti per agganciarne le carni. A seguito di brevi trazione, attrarli a noi”.
Lui lavora per Rosario, un compagno di scuola, divenuto un potente e temuto boss della malavita. Prostituzione, spaccio di droga, locali notturni fanno parte della sua holding. Un mondo dove conta il potere e il denaro, il cinismo e la ferocia. Un mondo dove non c’è spazio per i sentimenti, anche quando se ne sente la mancanza e si vorrebbe crederci.
Di questa sordida realtà parla l’autrice, con una scrittura che ha ritmo, immaginazione, carattere. Tutto avviene nell’oscurità della notte con squarci di ombre rischiarate dai fari delle auto dei clienti che passano in rassegna i corpi per “consumare l’amore a cottimo”. Spesso non mancano le sorprese, variabili del campionario dei vizi e delle fantasie. Flora, “tortora” per un momento, racconta al curioso giornalista il ventaglio di uomini che le “cascano addosso” ogni notte. lei che batte la strada da dieci anni, non avendo altra alternativa che ritornare nel paese dove nessuno l’aspetta. Clienti i più disparati: capi dei clan e capetti del branco dei cani randagi in pineta, maschi che soffrono l’handicap dell’impotenza e insultano picchiano per sfogare la propria rabbia.
Non meno strane le fantasie: dal ragioniere che le strappa le vesti a morsi, incominciando “a batterla come fosse un tappeto infestato da acari”, al vecchio fascista che vuole indossi “vestitini da scolaretta e fiocchi tricolore appuntati al reggiseno” p.174. Con la coccarda sempre agganciata al reggicalze. Solo quando la curiosità riguarda il boss, la tortora diventa falco, perché “anche per la battona di strada, è difficile penetrare la mente di un boss”.
Una vita a perdere quella di Flora, priva di amici veri, di affetti stabili, di parenti. Quello che conta è vendersi e rendere economica la notte. “Quando i clienti scarseggiano, manca la serenità. Viene meno, simbolicamente, il pane. Peppe li conta ogni sera. Appena il numero decresce, minaccia il licenziamento. Così, su due piedi!”. Allora la competizione si fa più serrata. La solidarietà femminile una balla. Fino all’alba, con il freddo che gela le pozzanghere, l’umidità che sgretola le ossa, gli uccelli notturni che divorano il buio. E il sonno, che “una volta smarrito non si recupera mai”.
Sequenze di solitudini diverse, tra sigarette che si accendono, bottiglie di birra che si svuotano, palline di neve bianca che danno l’illusione di fuggire dal dolore. Ogni notte a chi lavora sulla strada non si sa mai cosa riserva. E se non sono le richieste dei clienti, ci sono gli interrogatori in Questura, gli extra gratis per i capi, la concorrenza delle prostitute di colore, la difesa del rettangolo conquistato. In ballo c’è l’unica fonte di sussistenza. Allora il sangue scorre e la Pineta Grande viene chiusa allo spaccio e alla prostituzione, mentre le ruspe la preparano per altri affari da spartire. “Il male si ciba di altro male e mai arriva a collassare per la sazietà”. L’unico scampo è l’immaginazione, quella che permette a Flora di estraniarsi dalla crudeltà in cui vive per condividere con Audrey Hepburn, il cui ritratto è appeso alla parete di casa, la sua coscienza. Perché “la libertà è felicità”.
Lorenzo Marotta, scrittore e critico letterario